San Rocco è il santo protettore del paesino sulle colline tortonesi dove da più di quarant’anni vado a passare scampoli di estate, quando ho bisogno di fresco, di verde, di pensiero e di scrittura. Ma da più di dieci anni ci vado anche con i miei nipoti, prima bambini e oggi adolescenti, di 15 anni appena compiuti e di 11. Ho ritrovato oggi qui un vecchio foglio con le filastrocche che inventavamo quando erano piccoli: San Rocco, san Rocco/non fare l’allocco/proteggici tu/che non ne possiamo più/ Giovanni s’è urticato/ e presto va salvato/la gamba di Pietrino/finita è nel tombino/San Rocco scendi giù/che la tiriamo su….ecc. ecc. Episodi realmente accaduti, ma trasfigurati delle risate e dall’ironia. Quanto ci siamo divertiti, quanto abbiamo cantato e giocato e camminato e riso.
Ma oggi loro sono adolescenti e io più vecchia. E quando siamo venuti in giugno, le risate e l’allegria erano storia da ricordare, ma non realtà. Eravamo cambiati. Io e loro. Loro, asserragliati nei loro device, io che cercavo vanamente di creare un’atmosfera di quiete, di solidarietà, di gioco, anche di fare operoso. Io persa nel mio sogno, loro perennemente con le cuffie, restii a fare qualsiasi cosa, decisi a dichiarare chiusa ogni volontà di comunicazione.
La pandemia, dice Charmet, ha fatto due vittime: gli anziani li ha fatti fuori e gli adolescenti li ha malmenati. I ragazzi lo facevano già prima, di chiudersi nel virtuale e con il lockdown e la Dad il fenomeno si è ancora più radicato. E lo hanno pagato con disturbi alimentari, apatia, trasformazioni della propria immagine di sé.
Molte sono state le diagnosi sul malessere degli adolescenti, ma come trasformare queste diagnosi dalla teoria alla pratica quando per un po’ di tempo li hai vicini? Non basta rifugiarsi nel ritornello consolatorio di “questa è l’adolescenza, passerà”. Mi ha soccorso un pensiero: ho capito che io che per prima dovevo mettermi in discussione e interrogarmi sulle mie reazioni. Per esempio mi sono accorta di un’animosità crescente nei confronti dei loro cellulari, tablet e compagnia bella. Erano i miei nemici, li trattavo come nemici, ma per proprietà transitiva diventavano miei nemici anche i ragazzi. Reagivo con arrabbiature, sfuriate o, alternativamente, con richieste di comprensione e di compassione nei miei confronti. Era il muro. Allora ho capito che dovevo cominciare a guardare il muro che mi opponevano, osservarlo intensamente per vedere se c’era qualche fessura, qualche crepa in cui infilarsi… Esercitare la pazienza, saper aspettare. Dare a loro il messaggio che li rispetti, che rispetti anche il loro silenzio. Che pensi di poter ascoltare anche quello che qualche volta ti riportano dal loro mondo segreto, dalle avventure spaziali o guerresche in cui sono immersi. Accettare la sfida di imparare anche il nuovo. E farsi insegnare qualcosa, là dove sono più esperti. Accoglierli, accettare la risposta, qualunque essa sia, non troncare la comunicazione. Mettersi in gioco anche con le proprie emozioni. Apprezzare e sottolineare i momenti di attenzione nei tuoi confronti.
Facile a dirsi, più difficile a farsi. Ma ci può soccorrere il pensiero che adolescenza e vecchiaia molto si somigliano. Come scrive Francesco Stoppa in “Le età del desiderio”,“l’adolescenza e la vecchiaia rappresentano le età per antonomasia della vita, perlomeno se pensiamo le età come soglie critiche che ci costringono a rinegoziare il rapporto con noi stessi e con il mondo. L’adolescenza e la vecchiaia sono paragonabili a delle vere e proprie unità di crisi dove il soggetto deve prendere atto che esistono pezzi di sé che incorrono in graduali o repentine mutazioni o che addirittura gli si staccano di dosso, ma dove allo stesso tempo, ha potenzialmente modo di non subire ma di “fabbricare” il suo rapporto con la vita . Momenti di una soggettività entrata in crisi ma che interroga se stessa”. Se loro, gli adolescenti, vivono per lo più con rabbia questo terremoto, siamo noi per primi che, sapendo quanto è difficile accettare la nostra mutazione, dobbiamo aprirci a capire la loro mutazione, accoglierla, accettarla. Non c’è altra via.