Capita probabilmente a tutti di essere colti da un impulso, una voglia di tornare indietro, sui propri passi, a un momento ormai trascorso della propria vita per riviverne un frammento o per vedere se esso sia sempre lì, modificato oppure no
Un desiderio, questo, che può avere molte ragioni: per esempio la voglia di ricollegarsi al passato, ricercando sicurezza e conforto nella familiarità del già noto, oppure un sentimento di nostalgia che ci fa pensare affettuosamente a certi momenti trascorsi (nell’immagine di apertura: Felice Casorati)
Tutto questo può esercitare su di noi un certo fascino, senza che ne sia sempre chiara la motivazione, mentre è chiara, invece, la speranza di poter ritrovare qualcosa, come se il tempo non trascorresse, come attratti da un richiamo a rivisitare ciò che un tempo, fosse anche solo per un breve attimo, ha fatto parte della nostra vita.
Questo richiamo non è solo una fantasia estemporanea, a volte un poco bizzarra dal momento che tutti sappiamo fin troppo bene che il tempo se ne va, ma rispecchia qualcosa che esiste realmente in noi, che non viene da fuori, ma sta nella nostra interiorità.
Noi viviamo come desiderio di ritrovare qualcuno o qualcosa una tendenza a ripetere che è presente in noi stessi, in ognuno di noi in modo naturale, che conferma il sentimento di identità personale e ci garantisce che, comunque, siamo sempre noi.
Alle volte questo desiderio può anche assumere aspetti grotteschi fino a diventare una necessità irresistibile, non più controllabile, e allora ci può creare problemi anche gravi: possiamo sentirci costretti a tornare continuamente sui nostri passi per combattere un senso di pericolo o di catastrofe imminente, per controllare che non ci siano errori e che le cose stiano come noi riteniamo che dovrebbero essere.
In alcuni casi l’esistenza di certe persone si cristallizza, allora, in una ripetizione continua di verifiche, di cose sempre uguali, sterili, prive di vita.
Di questo però non trattiamo ora.
Ritornare con maggiore esperienza, quella che abbiamo oggi
Il passato possiede un fascino intrinseco, un’aura di emozione che ci spinge a riconsiderare i percorsi già battuti indipendentemente dal fatto che essi fossero piacevoli o meno. Succede a tutti di trovarsi alle prese con un interrogativo: “Chissà cosa (o come) è diventato tutto questo?” e cercare poi di dare un seguito alla propria curiosità. Un classico è quello dei vecchi compagni di scuola che si ritrovano per scoprire, spesso con rammarico, di non avere quasi più nulla da dirsi, di essere divenuti degli estranei in una realtà diversa dal ricordo che ognuno porta in sé. In fondo tutti lo sanno, ma questo non impedisce di tentare.
Occorre sempre tenere a mente un’altra cosa che tutti sappiamo: la memoria è una specie di artista eccentrica, che trasforma i ricordi a volte in modo piuttosto capriccioso. Quindi, non sempre la nostra aspirazione sarà soddisfatta e quello che ritroveremo nei nostri viaggi retrospettivi, nel tempo e nello spazio, potrebbe non corrispondere, più o meno esattamente, a quanto avevamo lasciato e ci aspetteremmo di ritrovare.
Non si tratta, però, solo degli inganni della memoria, vi è dell’altro, perché l’idea della realtà, quella che sta nel nostro ricordo, è solo un’idea.
La realtà è diversa dalle nostre idee su di essa. Lo è sia la realtà esterna sia anche la nostra realtà personale che, anche, muta nel tempo. È quindi ragionevole ritenere che sia piuttosto difficile che l’impressione che riceveremo ritrovando qualcosa corrisponda alle nostre attese. Raro e parziale: nella norma le cose e le persone non sono mai come le avevamo immaginate e come vorremmo ritrovarle.
Il modo in cui vivremo la discrepanza tra il ricordo e la realtà trovata dipenderà da noi, in fondo oscillando fra due estremi: un senso di piacere per quello che permane oppure di delusione o anche di irritazione per quello che, invece, manca. Comunque le cose non si ripetono mai totalmente allo stesso modo, semplicemente non è possibile per diversi motivi.
Un primo punto
Ricapitolando: un conto è la tendenza a tornare indietro che esiste come fatto in sé per tutti noi, un altro è la forma che noi le daremo e che dipende da molte circostanze diverse che fanno parte della nostra storia individuale. Si potrebbe dire che, a fronte di una parte generale, che appartiene al vivente che noi siamo, ne esiste, invece, un’altra specifica del singolo essere umano. In questo senso pare utile toccare un paio di punti, non di più, per tentare di dare un ulteriore senso al tutto.
È noto che già i bambini, in occasione di qualsiasi separazione, per esempio al rientro da una vacanza, vogliono assicurarsi regolarmente che le cose stiano come le hanno lasciate, che tutto sia al suo posto e che non manchi nulla. Si tratta di un modo di esprimere sia il timore di una perdita, di una mancanza che è sempre in agguato dentro di noi in occasione di qualsiasi separazione, anche minima, anche se voluta e promossa da noi stessi, e il sollievo nel vedere che nulla si è mosso.
Quando constatiamo, infatti, che un timore non si realizza, proviamo un senso di sollievo che dà piacere. Nel caso dei bambini appare evidente che nel nostro “teatro” interiore non si tratta di sapere chi sia l’autore del distacco e chi lo subisca, ma contano solo le possibili conseguenze, gli effetti. In questo senso, staccarsi e prendere distanza, significa sempre che qualcosa viene meno, che si perde anche solo per un breve istante, ma nel fondo di noi stessi quell’istante si può allungare a dismisura. Da questo punto di vista, ha senso il detto che tutti conoscono: partire è un po’ morire.
Vivere
La nostra vita è costellata di perdite che accadono “per sempre” .Esse scandiscono la nostra maturazione e, anche se è bene che sia così, ciò non significa che la nostalgia del passato, di quando, cioè, le cose stavano diversamente, non si faccia sentire.
Un esempio banale: arrivato a un certo punto della propria crescita, un piccolo, femmina o maschio che sia, rifiuterà di farsi imboccare perché vorrà cominciare a provvedere da sé. Si tratta di un passo minimo, ma, se ci pensiamo, per nulla trascurabile perché è senza ritorno. Da quel momento in poi, infatti, l’adulto che si incaricava di nutrire, imboccandolo, un piccolo essere non esiste più, è finito, perso per sempre, finanche morto potremmo dire, perché la nuova competenza acquisita dal piccolo/a lo rende inutile, almeno per quanto riguarda quella specifica mansione. Non che non si possa ricorrere ancora alla mamma che ti imbocca, ma non sarà più la stessa cosa.
Inoltre, il ricordo di quella relazione di una intimità così speciale rimane in noi e lo ripeteremo: non solo i bambini piccoli si possono imboccare reciprocamente, per esempio alla scuola materna, imitando attivamente qualcosa che hanno subito passivamente, ma credo di non sbagliare pensando che simili forme di scambio avvengano anche fra persone adulte.
Di norma poi, nella prima parte della nostra vita avvengono anche realizzazioni in grado di compensare le rinunce e le perdite alle quali si è obbligati per procedere nelle proprie scelte: per esempio, se perdiamo l’adulto che ci imbocca possiamo, però, da lì in poi mangiare come e quando vogliamo, almeno in parte.
Nella seconda parte invece, con il trascorrere della vita, i distacchi e le perdite aumentano fatalmente, a volte per sempre, come accade lungo il corso del tempo, accumulandosi in modo che è più complicato compensare. È un fatto che, come sappiamo bene anche se preferiamo distogliere la nostra attenzione, la vita ha un limite, il corpo si usura col tempo e le perdite, i vuoti, specialmente nel campo degli affetti, sono all’ordine del giorno.
Ricercare e anche ritrovare il proprio passato, per parti più o meno estese, è anche un modo di combattere il sentimento che il vuoto possa diventare sempre più vasto fino a prendere il sopravvento. Tuttavia, proprio perché lo combattiamo, quel timore vive in noi: sarebbe difficile lottare contro qualcosa che non c’è.
La nostalgia del passato e anche la curiosità di verificare come stanno le cose, quanto di esse permanga e quanto si sia modificato, questo desiderio che ci portiamo dentro da sempre, funge, dunque, anche da tentativo di rassicurazione: le nostre cose sono sempre lì, non ci lasciano, possiamo ritrovarle.
Nello stesso tempo, però, tutto questo ci dice anche indirettamente della preoccupazione e del dolore per quello che lasciamo, del sentimento che esso sia perso per sempre come ci succede da piccoli quando i distacchi sono catastrofi inimmaginabili per un adulto: avete presente lo spavento, fino alla disperazione, di certi piccoli il primo giorno di scuola?
L’esperienza
Non cambiano solo gli oggetti che popolano la nostra esistenza: cambiamo anche noi. Molto concorre a creare la voglia di ritrovare quello che fa parte della propria storia. Qualcosa rende praticamente impossibile la realizzazione di questo desiderio, ma non è detto che tutto questo abbia solo un senso negativo.
Se volessimo dare un nome a questo “qualcosa”, potremmo, infatti, parlare correttamente di “esperienza”, quel sedimento che lasciano in ognuno i fatti della vita, la traccia di ciò di cui essa è fatta che le conferisce uno spessore il quale è anche la sua ricchezza. Ad ogni fatto che ci accade, quando esso assume per ognuno di noi un senso anche minimo, noi restiamo segnati e non siamo più quelli di un momento prima. Di conseguenza, il nostro modo di vedere le cose, le stesse cose, non sarà più completamente lo stesso, semplicemente non è possibile: quando noi cambiamo, anche le cose del nostro mondo si presenteranno in modo diverso.
Nel caso che stiamo brevemente considerando, quello del tornare al passato, quando rileggo un libro che già lessi o quando ritrovo una persona o altro ancora, non sono più quel primo lettore o spettatore, ma un lettore che già si è nutrito, male o bene, poco o molto, anche di ciò che quel libro gli ha trasmesso. Non solo: si sono aggiunte altre situazioni per cui quello che rilegge non può essere la stessa persona e, quindi, troverà, di quello che va cercando, solo una parte, mentre il resto apparirà sotto una luce diversa.
Per riprendere l’esempio di poc’anzi: la mamma che non può più imboccare sarà diversa da quella di prima, ma anche il bambino/a non sarà più lo/a stesso/a.
Se non fosse così significherebbe semplicemente che nulla è successo, che la nostra vita è solo un susseguirsi di vuoti senza compensi, ma questo vorrebbe dire pure che noi stessi siamo rimasti fermi, che non abbiamo vissuto. In certi casi è proprio quello che accade.
Per fare esperienza, infatti, non basta il trascorrere del tempo, ma occorre che ci appropriamo delle modifiche che la realtà ci impone, che le accettiamo. Per certe persone questa è una cosa molto difficile e sembra che non riescano praticamente mai a trarre vantaggi da quanto succede loro.
Accettare non è solo una parola, ma riguarda il fatto di saper cogliere i vantaggi dei mutamenti che accadono, andando oltre gli svantaggi che indubbiamente esistono. Le conseguenze della capacità di “fare esperienza”, ossia come si dice comunemente di “maturare”, sono sempre notevoli e qui si pone anche il secondo punto di cui dicevo, un elemento estremamente curioso e interessante al quale in genere si presta poca attenzione.
Un curioso personaggio: Io
Per definire noi stessi, per parlare di noi, ciascuno usa una breve parola, “io” un pronome che serve a designarci, come ci viene insegnato a scuola quando già lo usiamo da tempo.
Noi designiamo come ”io” tanto la bambina o il bambino piccoli che siamo stati tempo addietro, che la persona matura (o anziana come nel mio caso) di oggi, in fondo dando per scontato che esista una continuità che permane al di là delle evidenti modifiche che si verificano fatalmente nel tempo.
“Io” è l’indicatore di una continuità che ci caratterizza al di là delle evidenti mutazioni che ognuno di noi subisce col passare del tempo sia dal punto di vista fisico, materiale, sia da quello psicologico o affettivo, o anche spirituale se si preferisce.
Detto altrimenti: “Io” è questo di oggi e quello di ieri, lo stesso anche se diverso. La cosa è abbastanza sorprendente ma costituisce un ulteriore elemento per capire che quello che cerco di ritrovare riguarda una persona che sono io, ma un io diverso da quello di un tempo anche se ha lo stesso nome. Questa differenza dà senso alle variazioni emotive che possiamo provare di fronte alle cose ritrovate: felicità, soddisfazione, sorpresa o sollievo, commozione o anche amarezza, delusione, rifiuto.
Questo fenomeno, il persistere del senso di noi stessi riferito a esseri evidentemente diversi nel tempo, sfida qualsiasi spiegazione e in genere non gli prestiamo molta attenzione salvo nel caso di mutamenti drammatici.
Breve conclusione di uno psicoanalista
Tornare sui propri passi è un’affermazione corrente, purtroppo indietro, però, non si torna. O, forse, per fortuna. Se ci interroghiamo ogni tanto sul senso e sul posto di ogni cosa sia nella nostra mitologia personale, sia in quella che ci circonda, ci apparirebbe abbastanza chiaro la curiosità o la nostalgia che riveste il passato di un alone di attrazione, esprime spesso anche l’incerto interrogarsi su quelle “porte scorrevoli” che, aprendosi di continuo in un senso piuttosto che nell’altro ci costringono a scegliere, a percorrere un cammino invece di un altro pure possibile. Da qui un certo senso di sospensione e di curiosità di cui la nostra vicenda umana è piena: cosa sarebbe accaduto se invece di….? E cosa è accaduto ad altri? Come ammobiliamo lo spazio e il tempo, a volte vuoti, della nostra vita?
Come meglio riusciamo, non sempre come ci sarebbe piaciuto, ma non è nulla di eccezionale. Capita a tutti così!
Il tema del desiderio di ritornare al passato ha affascinato registi e pubblico per decenni
L’idea di tornare indietro nel tempo, che sia per rivivere momenti perduti o cambiare il corso degli eventi, ha ispirato alcuni dei più grandi capolavori della storia del cinema. Questo tema universale, come abbiamo appena letto, tocca corde profonde: il rimpianto, la nostalgia, la curiosità per le strade non percorse. Ecco cinque film emblematici che lo raccontano con maestria.
1. La rosa purpurea del Cairo (1985) – Woody Allen
Un capolavoro che mescola commedia e dramma, La rosa purpurea del Cairo affronta il desiderio di evasione e l’incapacità di accettare la realtà. Siamo negli anni ’30, durante la Grande Depressione. Cecilia (interpretata da una commovente Mia Farrow) è una cameriera infelice che trova conforto nei film. Il suo sogno diventa realtà quando Tom Baxter (Jeff Daniels), un personaggio del film che sta guardando, esce letteralmente dallo schermo per unirsi a lei. L’opera esplora con brillante ironia la nostalgia di un passato ideale, quello del cinema classico, e la disillusione che accompagna il ritorno al mondo reale.
2. Ritorno al futuro (1985) – Robert Zemeckis
Un’icona del cinema pop anni ’80, Ritorno al futuro trasforma il viaggio nel tempo in un’avventura rocambolesca e piena di invenzioni narrative. Marty McFly (Michael J. Fox) viene catapultato nel 1955 grazie alla DeLorean, una macchina del tempo ideata dal bizzarro scienziato Doc Brown (Christopher Lloyd). Qui incontra i suoi genitori da giovani e rischia di compromettere il proprio futuro. Zemeckis esplora il desiderio di scoprire (e correggere) il passato attraverso un perfetto equilibrio tra comicità e tensione, ponendo domande profonde sulla causalità e sul potere delle scelte individuali.
3. Midnight in Paris (2011) – Woody Allen
Un’altra gemma di Woody Allen, questo film celebra la Parigi degli anni ’20 e il mito della “età dell’oro”. Gil (Owen Wilson), uno sceneggiatore in crisi creativa, durante una vacanza a Parigi scopre che a mezzanotte può viaggiare indietro nel tempo. Qui incontra artisti leggendari come Hemingway, Dalí e Fitzgerald, ma presto si rende conto che anche i personaggi di quell’epoca idealizzano un passato ancora più remoto. La pellicola mette in discussione l’idea che il passato sia intrinsecamente migliore del presente, un’illusione che molti condividono.
4. The Curious Case of Benjamin Button (2008) – David Fincher
Tratto da un racconto di F. Scott Fitzgerald, questo film straordinario racconta la vita di Benjamin Button (Brad Pitt), un uomo nato anziano che ringiovanisce con il tempo. L’opera, che unisce un’estetica impeccabile e una narrazione profonda, esplora l’idea di vivere “al contrario” e il desiderio di tornare a momenti passati. La struggente storia d’amore tra Benjamin e Daisy (Cate Blanchett) è al centro della narrazione, sottolineando la fugacità del tempo e il rimpianto per ciò che non può essere cambiato.
5. C’era una volta in America (1984) – Sergio Leone
Epico e struggente, il capolavoro di Sergio Leone intreccia i ricordi di David “Noodles” Aaronson (Robert De Niro), un gangster che ritorna nella sua vecchia città dopo decenni di esilio. Attraverso una narrazione non lineare, Leone ci immerge nel passato di Noodles, tra amicizie, tradimenti e amori perduti. Il film esplora il rimpianto per le scelte fatte e l’impossibilità di cambiare il corso degli eventi, sottolineato dalla malinconica colonna sonora di Ennio Morricone. C’era una volta in America non è solo un viaggio nella memoria, ma un’esplorazione poetica e dolorosa del peso del tempo.
Questi film, pur con stili e registri diversi, condividono un filo conduttore: il desiderio umano di tornare al passato per riparare, comprendere o semplicemente rivivere. Ogni opera ricorda che, per quanto il passato possa essere affascinante, la sua perfezione è spesso un’illusione, mentre la realtà del presente è ciò che resta da affrontare.
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