Le politiche per la conciliazione
Conciliazione è un termine che comincia ad essere introdotto nei documenti ufficiali dell’Unione Europea agli inizi degli anni Novanta. Con tale termine si intende la volontà di predisporre direttive, informative, raccomandazioni, suggerimenti ai diversi paesi perchè adottino misure in grado di salvaguardare la possibilità di conciliare la vita familiare con la vita lavorativa.
La necessità di mettere a punto sistemi di conciliazione tra tempi della famiglia e tempi del lavoro retribuito nasce dalla convergenza di due fattori: da un lato le trasformazioni delle strategie di vita e delle identità delle donne e degli uomini, soprattutto giovani; dall’altro le trasformazioni del mercato del lavoro.
Le politiche per la conciliazione rappresentano un importante fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali e si ripropongono di fornire strumenti che consentano a ciascun individuo di vivere al meglio i molteplici ruoli che gioca all’interno della società .
Interessano gli uomini, le donne e le organizzazioni, toccano la sfera privata, ma anche quella pubblica, politica e sociale e hanno un impatto evidente sul riequilibrio dei carichi di cura all’interno della coppia, sull’organizzazione del lavoro e dei tempi delle città nonché sul coordinamento dei servizi di interesse pubblico.
Il tema è complesso perché chiama in causa fattori diversi per la trasversalità delle sue misure che abbracciano tutte le politiche che riguardano la vita quotidiana. Potremmo definire il sistema di conciliazione come un ecosistema che si basa su tre sistemi complessi che devono trovare delle interazioni.
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Da una parte i singoli individui, considerati nella pluralità delle loro relazioni e dei loro bisogni familiari. In questo caso le politiche devono aumentare la condivisione del lavoro familiare tra uomini e donne
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Dall’altra le aziende con i loro sistemi di organizzazione del lavoro e di orari. Le politiche aziendali devono quindi andare nella direzione di una maggiore flessibilità tale da favorire la conciliazione tra il tempo del lavoro e le incombenze familiari.
Poi ancora la città e il territorio circostante con il complesso dei servizi a disposizione e della rete di trasporti. Spetta quindi al soggetto pubblico una progettazione che rifletta e non sacrifichi le esigenze dei cittadini.
Non esistono strategie in assoluto utili alla conciliazione, ma è necessario calibrare ogni intervento sulla base delle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori, delle caratteristiche dell’impresa e dell’offerta territoriale. Solo una sinergia tra questi tre sistemi potrà determinare una modifica reale di modelli sociali e culturali.
La legge
In Italia la legge per la conciliazione lavoro-famiglia, promulgata l’8 marzo del 2000 – legge 53 – si intitola “ Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi di città”
Essa prevede l’erogazione di contributi, in favore di aziende che intendono attuare azioni positive per la flessibilità e di lavoratori autonomi o titolari d’impresa che si propongono di sviluppare azioni per la conciliazione tra vita familiare e lavorativa.
Le disposizioni contenute a sostegno della maternità e della paternità, si inseriscono nella più generale normativa sulle pari opportunità in quanto finalizzate a consentire ai genitori una reale distribuzione dei compiti di cura dei figli, con un sistema di tutele molto più ampio di quello previsto dalle precedenti norme.
L’obiettivo di tale strumento è quello di agevolare la conciliazione dei tempi di vita familiare e professionale attraverso incentivi finanziari a fronte di progetti che introducano nuove modalità organizzative e gestionali dei tempi di lavoro o servizi capaci di qualificare l’azienda come “family friendly”.
In particolare, l’art. 9 della legge ha introdotto forme di flessibilità dell’orario, con riferimento – in via prioritaria, ma non esclusiva – alla cura dei figli, prevedendo contributi a favore di aziende che applicano accordi contrattuali nei quali sono previste azioni positive per la flessibilità.
I punti fondamentali della legge sono:
1. l’istituzione dei congedi dei genitori e l’estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap;
2. l’istituzione del congedo per la formazione continua e l’estensione dei congedi per la formazione;
3. il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarietà sociale.
Sono vari gli strumenti della conciliazione, cioè le forme che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro (part-time, telelavoro, job-sharing, banca delle ore); e gli strumenti rivolti alla gestione del tempo familiare (congedi parentali, strutture e servizi per l’assistenza all’infanzia e alla vecchiaia);
Strumenti per conciliare vita e lavoro
Gli strumenti di conciliazione sono obbligatori o facoltativi. Del primo gruppo fanno parte i meccanismi di legge o contratto – orari flessibili e tutela della maternità . Degli strumenti facoltativi fanno parte : part time, asili nido, telelavoro etc.. Tutto ciò che consente la conciliazione tra vita e lavoro.
Quando si parla di donne e lavoro si pensa che per avere più donne al lavoro occorrono più asili nido. E anche più part time. Ma basta veramente questo a permettere alle donne di avere le stesse condizioni di accesso ed arrivare al vertice di un’azienda? L’esperienza dice no. Non è sufficiente, se non si fissano obiettivi precisi, non si controlla che vengano rispettati e se non si premiano (o sanzionano) i responsabili. Estremizzando, con un termine che non piace quasi a nessuno, se non si stabiliscono delle «quote» da raggiungere e non si verifica che vengano rispettate.
Da un’analisi dei maggiori gruppi italiani e stranieri in Italia pubblicata sul Corriere della Sera il 15 luglio 2008 emerge, infatti, che a parità di quello che potremmo chiamare «portafoglio di conciliazione», cioè gli strumenti che aiutano a tenere insieme lavoro e famiglia, i risultati si dividono.
L’’inchiesta del Corriere è andata a toccare tutti i punti cruciali della conciliazione tra lavoro e famiglia attraverso un questionario con circa 100 domande rivolte a 150 grandi gruppi a proprietà italiana e a proprietà estera rappresentativi di un milione di dipendenti e mille top manager. Ne è nata una classifica che è stata incrociata con la presenza di donne al vertice per capire se ci fosse, e quale fosse, la relazione con l’effettiva crescita professionale delle donne.
In testa le multinazionali
Tra i dieci gruppi che hanno ottenuto il maggior punteggio, otto sono stranieri e due italiani. Dai dati emerge omogeneità dei meccanismi di assicurazione della diversity ma soprattutto, emerge una forte attenzione alla meritocrazia.
Ai primi posti della classifica Microsoft, che ritiene la diversity uno dei parametri da rispettare nelle selezioni e nei piani di successione . Negli ultimi anni il numero di donne in Microsoft in Italia è cresciuto dal 24% del 2006 sino a sfiorare il 30% ed è volontà dell’azienda incrementare l’inserimento di personale femminile, soprattutto figure tecniche e specialistiche».
Discorso analogo in Ikea dove l’obiettivo è il 50% uomo-donna al vertice. «I parametri sono verificati annualmente . Nell’ultimo anno le donne rappresentavano il 58% del totale dei collaboratori Ikea e il 41% dei manager.
Il gruppo bancario Unicredit percepisce invece il tema della diversità come un fattore di competizione, sostenendo che avere persone diverse per genere, cultura, età e provenienza geografica aiuta ad avere punti di vista diversi e a rispondere meglio ai bisogni da soddisfare.
Rcs Mediagroup, la società che edita il Corriere della Sera ritiene che la diversità è un valore in termini di business, per questo è oggetto di così grande attenzione. Non è un caso che se ne discuta soprattutto in un momento di crisi come l’attuale, in cui il modello tradizionale ha mostrato i suoi limiti.
La conclusione di questa inchiesta identifica in un “sistema integrato” il migliore strumento per la conciliazione.
Gli strumenti pratici – asilo interno o part time- sono importantissimi. Ma quello che occorre, almeno a vedere i risultati delle imprese del campione, è un sistema più complesso e integrato. Le aziende che dichiarano di avere politiche di tutela della diversità nel 29% dei casi hanno anche un direttore generale donna (di cui 5 multinazionali e una italiana), un dato che si riduce al 10% in loro assenza. Uno strumento molto usato nelle aziende internazionali e che sta iniziando a diffondersi anche in Italia è il network di discussione: il 40% delle aziende che ha politiche per la diversità di genere ha anche un network di discussione e nel 90% dei casi si tratta di multinazionali.
Quali sono le nuove modalità organizzative?
Tenuto conto delle realtà aziendali e delle loro specifiche esigenze le nuove modalità organizzative possono essere:
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L’introduzione di forme di flessibilità di orario – come ad esempio il part-time
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L’attivazione di servizi aziendali a supporto della conciliazione – come ad esempio gli asili nido
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La progettazione di azioni per la formazione al rientro dalla maternità o dai congedi di maternità / paternità /cura
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L’individuazione di forme contrattuali che meglio consentono la conciliazione
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La sperimentazione di iniziative di “management della diversità” capaci di mettere a punto processi innovativi di gestione di iniziative integrate di conciliazione quali:
– interventi di affiancamento per i processi di sostituzione – processi formativi a distanza per il mantenimento del potenziale professionale – strutture e strumenti per la comunicazione a distanza – informazione durante il periodo di assenza- percorsi formativi al rientro- pianificazione di sviluppo alla carriera mediante anche una programmazione di formazione continua
Dall’applicazione di tali modalità organizzative emergono impliciti vantaggi anche all’impresa che godrà di minore conflittualità, minore tasso di assenteismo e turn over ed infine una buona immagine dell’impresa .
Tra le strutture per l’assistenza all’infanzia merita una citazione particolare l’Asilo Aziendale . Questo infatti garantisce un ambiente di lavoro sereno e crea i presupposti per ridurre il tasso di assenteismo e di turn-over per i dipendenti che utilizzano il servizio di nido interno rispetto ad uno esterno, ottenendo di conseguenza un rendimento migliore, la diminuzione di richieste di permessi e un aumento della produttività.
La realizzazione di un Nido permette all’azienda di dedurre i costi di start-up. La somma erogata dal datore di lavoro ai dipendenti per la frequenza dei figli al nido non concorre a formare il reddito dei dipendenti stessi.
Il Nido aziendale, è una priorità per l’Azienda ed è sinonimo di alta qualità che rafforza l’immagine dell’azienda sul mercato, sul territorio, verso i propri dipendenti e i sindacati. La scelta del Nido legata ai programmi di work/life balance dell’azienda fidelizza il dipendente. L’azienda sostiene la gestione familiare favorendo la possibilità di sviluppo e carriera delle donne lavoratrici.
Il Nido Aziendale permette un rientro dalla maternità senza la preoccupazione di cercare una soluzione per il proprio figlio, senza lo stress di liste di attesa, senza lunghi viaggi casa-nido-ufficio. Niente sensi di colpa, quindi, per le mamme che dopo la maternità tornano subito al lavoro.
Alcuni esempi di progetti finanziati dall’art. 9 della legge 53/2000
1Il primo esempio riguarda la flessibilità organizzativa che si è resa necessaria a causa dello spostamento di sede dell’azienda fuori città. La società è la CAD Italia, ha sede in provincia di Roma e ha 14 dipendenti. Il progetto ha voluto introdurre la soluzione del “telelavoro” , per rispondere alle esigenze di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro per tutti coloro che si trovano nella condizione di dover affrontare il problema della distanza dal luogo di lavoro. I dipendenti interessati al progetto “telelavoro” sono uomini, padri, dotati di alta autonomia operativa e in grado di autogestire la suddivisione del lavoro secondo tempi e ritmi autonomi pur mantenendo la reperibilità durante il normale orario di lavoro.Il lavoro svolto con questa modalità viene monitorato dalla società stessa e dal sindacato per poter valutare i risultati nell’arco di 6 mesi.
Attraverso questo progetto si intende ottenere un miglioramento della qualità della vita sia privata che professionale dei dipendenti che, non dovendo più sostenere costi economici e di tempo per il raggiungimento della sede di lavoro avranno un tempo maggiore e migliore da dedicare alla propria famiglia. Tra i risultati possibili l’azienda ha anche previsto di ottenere maggior attenzione, responsabilità e contrazione dei tempi medi di consegna dei lavori.
2 Il secondo esempio riguarda la sostituzione del titolare per astensione obbligatoria dovuta alla maternità. E’ avvenuto a Padova, in Veneto , e la società interessata è la Geneconsult, specializzata nel settore della formazione e della consulenza aziendale. Il progetto prevede la sostituzione della socia titolare d’impresa per tutte le attività, i ruoli e la responsabilità aziendali, per un periodo i cinque mesi. La figura professionale del sostituto è individuata in un pari livello con le stesse competenze della socia in maternità. L’ingresso di una figura equivalente che possa garantire l’efficienza e l’efficacia delle mansioni da lei normalmente svolte si pone come obiettivo la continuità nella produzione aziendale.
Cosa dovrebbero fare le diverse associazioni no profit su questa problematica? dovrebbero essere sensibili ad individuare problematiche non risolte che interessano una trasformazione profonda della vita civile di donne e uomini e di salvaguardia dell’istituto familiare. In particolare è compito delle associazioni:
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puntare sullo sviluppo della cultura della conciliazione a tutti i livelli (persone, scuola, mondo del lavoro) e quindi favorire il confronto, analizzare dati anche a diversi livelli territoriali per capire meglio il fenomeno e soprattutto le ricadute delle diverse soluzioni adottate
seguire con attenzione la ridistribuzione dei ruoli familiari che è alla base di un riequilibrio dei tempi di cura della famiglia e di quelli del lavoro. In particolare sarebbe utile valutare come l’identità maschile possa recuperare aspetti legati alle incombenze familiari. A questo proposito il fatto che l’istituto dei congedi parentali non sia stato molto utilizzato dagli uomini dimostra che non è una misura sufficiente se non cambia la cultura diffusa. -
Infine, non dovremmo nasconderci che esiste comunque un problema di fondo: allevare un figlio coincide con l’età migliore per utilizzare le proprie capacità, soprattutto in alcuni settori lavorativi, come ad es. nella chirurgia. Restare a casa con il bambino significa sia perdere delle occasioni che potrebbero non ripresentarsi, sia non essere “in esercizio” dal punto di vista professionale e questo vale per donne e uomini. Insomma vanno bene tutte le forme di agevolazione possibile, ma c’è comunque un elemento di scelta di cui bisogna essere consapevoli.
Contributo di Annamaria Galleani
Foto di Matteo Carassale