Quando si decide di assumere una badante in nero lo si fa pensando di risparmiare denaro. Ma si tratta di un rischio elevato che non è bene correre
Negli studi legali capita non si rado di ricevere clienti che dopo aver affidato per lungo tempo i loro familiari alle cure amorevoli di una badante consenziente, spesso straniera, in assenza di un regolare contratto, ricevano dalla stessa – dopo anni dalla cessazione del rapporto di lavoro – la richiesta di importanti somme di denaro con la minaccia, in caso di rifiuto, di rivolgersi alle autorità e raccontare tutto.
Quando si decide di assumere una badante in nero lo si fa pensando di risparmiare denaro. Ma spesso è un rischio che non vale la pena correre perché le cause legali oltre a portare via denaro, portano via tempo e aumentano le preoccupazioni. Pagando uno stipendio in nero, si rischiano delle sanzioni pecuniarie importanti. Ma non solo: alcuni comportamenti possono risultare penalmente rilevanti.
Quali i rischi per il datore di lavoro di una badante in nero?
Iniziamo con il dire che poiché l’assunzione non “risulta” in alcun modo, i rischi possono essere non di poco conto.
Conseguenze della mancata comunicazione all’INPS. Nel momento in cui una famiglia decide di assumere una colf o una badante diventa un vero e proprio datore di lavoro e quindi è tenuto a comunicare all’Inps la avvenuta assunzione, eventuali variazioni e al termine la cessazione del rapporto di lavoro. Nel caso in cui la comunicazione non sia stata inviata o sia stata inviata in ritardo è previsto il pagamento di una sanzione amministrativa al Centro per l’Impiego, che può variare da un minimo di 200 euro ad un massimo di 500 euro per ogni colf o badante.
La mancanza della comunicazione di assunzione all’Inps comporta un’altra sanzione a carico del datore di lavoro che verrà applicata dalla Direzione Provinciale del lavoro una ulteriore sanzione che va dai 1500 euro ai 2000 euro per ogni lavoratore. Questa sanzione è destinata ad aumentare di 150 euro per ogni giorno di lavoro effettuato in nero.
Contributi non versati. In questo caso la famiglia andrà incontro a una multa al tasso del 30% su base annua per i contributi che sono stati evasi, con un massimo che non supera il 60%. L’importo minimo da pagare, comunque, è pari a 3.000 euro. Laddove, invece, le famiglie decidano di regolarizzare le colf e le badanti i contributi verranno pagati in ritardo e si dovranno applicare le sanzioni pecuniarie previste dall’Inps, con un massimo del 40% rispetto all’importo dovuto. Il pagamento viene considerato effettuato in ritardo e quindi sanzionato come abbiamo appena previsto, solo e soltanto se il saldo viene effettuato spontaneamente entro dodici mesi dal termine dovuto.
Se la badante in nero non ha il permesso di soggiorno?
In questo caso viene commesso un vero e proprio reato, che può essere punito con l’arresto da tre mesi fino ad un anno. Da mettere in conto, poi, anche un’ammenda da 5.000 euro per ogni collaboratore domestico assunto senza permesso di soggiorno.
Pagamento di tutte le somme non retribuite. Assumere un lavoratore a nero, che poi fa causa, comporta anche il pagamento di tutte le spettanze non retribuite quali: tredicesima, quattordicesima, Trattamento Fine Rapporto (liquidazione) e le ferie non godute. Non solo, oltretutto se i pagamenti dello stipendio della badante in nero sono in contanti, si devono integrare anche le mensilità con quanto dovuto secondo il Contratto Collettivo Nazionale.
Come difendersi
Il miglior modo per difendersi da una badante in nero che minaccia una vertenza è quello di riconoscere alla lavoratrice ogni diritto previsto da Ccnl (retribuzione a ferie, permessi, malattia), procedendo ad una regolare assunzione. Inoltre, anche se nell’ambito del lavoro domestico non è obbligatorio pagare su conto corrente, é buona regola chiedere sempre che venga rilasciata una ricevuta di avvenuto pagamento, perché dobbiamo essere in grado di provare il pagamento.
In caso contrario, qualora ci siano delle contestazioni, non saremo in grado di dimostrare di aver effettuato pagamenti puntuali e regolari. La badante potrà chiedere ogni stipendio dal primo all’ultimo, compreso di interessi, tfr, ferie non godute, differenze retributive e naturalmente i contributi di previdenza.
Cosa rischia la badante in nero?
In linea generale non è prevista una sanzione per il lavoratore nel caso in cui venga scoperta l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato non dichiarato; ciò per spingere il lavoratore a denunciare la prassi di una mancata regolarizzazione. Tuttavia, sono previsti delle eccezioni in cui anche il dipendente viene sottoposto a sanzioni e viene segnalato alla Procura della Repubblica se insieme allo svolgimento del lavoro nero vengono percepite le seguenti indennità:
- richiesta di disoccupazione all’INPS;
- soggetto che ha ottenuto l’indennità di disoccupazione NASpI;
- percezione del Reddito di Cittadinanza.
Nel primo caso, il reato configurato è quello di “Falso ideologico ai danni della pubblica amministrazione”. Si determina nel momento in cui si dichiara di essere disoccupati, anche se in realtà si lavora in modo continuato o part-time per un’azienda.
Nel caso in cui un lavoratore percepisca l’indennità di disoccupazione NASpI, ed effettui nello stesso periodo una prestazione di lavoro in nero, commette il reato penale di “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato“, con la reclusione da 6 mesi a un anno. In caso di somma inferiore ai 4.000€, la pena si commuta in una multa con un minimo di 5.164€ e un massimo di 25.822€.
Da ultimo , nel caso in cui il lavoratore in nero percepisca altre forme di sostegno, come il Reddito di Cittadinanza, si prevede il reato di appropriazione indebita del Reddito di Cittadinanza quando:
- omette informazioni necessarie a determinare la valutazione del benefico: reclusione da 2 a 6 anni
- omette la dichiarazione delle variazioni del reddito: reclusione da 1 a 3 anni.
Il reato si determina sia nel caso in cui l’attività in nero si svolgeva prima della richiesta del sostegno, sia se la condizione si è verificata successivamente. In tutti i casi, sarà necessario restituire l’importo indebitamente percepito.
Come si denuncia il lavoro in nero
Il lavoratore irregolare può denunciare il lavoro in nero a mezzo di
- denuncia al Sindacato
- comunicazione all’Ispettorato del Lavoro
- denuncia alla Guardia di Finanza.
Diversi possono essere i motivi per cui una lavoratrice domestica/badante decida di fare una denuncia contro il proprio datore di lavoro. Le più frequenti sono:
- Lavoro nero: rapporti di lavoro senza un contratto
- Sotto-inquadramento: quando le mansioni richieste dal datore di lavoro non corrispondono a quelle indicate nel contratto
- Mancato pagamento di straordinari, ferie, riposi e TFR
- Licenziamento senza il riconoscimento e il pagamento dei giorni di preavviso
- Ferie non riconosciute, quando il datore di lavoro non concede le ferie dovute
- Permessi rifiutati, quando il datore di lavoro non concede i permessi dovuti per legge
- Malattia non riconosciuta, quando il datore di lavoro non riconosce le indennità stabilite dalla legge per la malattia
- Infortunio non riconosciuto, quando il datore di lavoro non riconosce le indennità stabilite dalla legge per infortunio.
Quali tempi ha il lavoratore per far valere i propri diritti?
Se la badante/colf non è stata assunta con un contratto regolare ha tempo 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro per proporre la vertenza nei confronti del suo datore di lavoro. Questo termine non cambia sia che la cessazione del rapporto di lavoro sia avvenuta per dimissioni volontarie che per licenziamento da parte del datore di lavoro. La diffida inviata entro 5 anni al datore di lavoro interrompe la prescrizione e fa decorrere un nuovo termine quinquennale. Quindi il termine per avviare la vertenza di lavoro può risultare maggiore dei 5 anni se la badante invia una raccomandata con ricevuta di ritorno , per rivendicare i propri diritti.
Per contestare un licenziamento in caso di regolare contratto, invece, la vertenza sindacale deve essere introitata entro 60 giorni dalla data di ricezione della lettera di licenziamento.
Se la colf non è stata “denunciata” alle autorità del lavoro, può esigere dal datore di lavoro i contributi previdenziali. L’azione si prescrive anche in questo caso entro cinque anni che decorrono dalla fine del lavoro. Bisogna ricordare, a questo proposito, che il termine di prescrizione diventa pari a 10 anni solo nel caso in cui il lavoratore abbia presentato formale denuncia di omessa contribuzione all’Inps.
Al di là della scadenza dei termini di prescrizione, occorre evidenziare che il lavoratore può comunque denunciare l’omesso versamento allo scopo di intentare una azione di risarcimento danni nei confronti del datore di lavoro inadempiente, in base all’articolo 2116 del Codice civile. Ecco spiegato il perché quando si ha bisogno di una seria assistenza domiciliare è bene informarsi prima di decidere di prendere a servizio una badante in nero.