“Sei mia – una riflessione sulla maschilità e la violenza contro le donne” è il titolo dell’incontro di alcune personalità del mondo culturale che si è svolto al Piccolo Teatro Studio di Milano nei giorni scorsi. Al centro del convegno alcuni psicologi, le associazioni di settore e voci di esperienze diverse, che hanno proposto un’analisi di quella parte della maschilità contemporanea che ha scelto la violenza come unico linguaggio praticabile nella relazione con il mondo delle donne. Ampia la partecipazione del pubblico, per cercare di capire le origini di quelle orribili storie e di quei fatti violenti, che le cronache di giornali e televisioni denunciano quasi ogni giorno.
La “donna oggetto” non esiste più, da quando le donne hanno conquistato livelli di libertà e di autonomia che le sottraggono a una condizione di passività e di dipendenza. Almeno così crediamo, e speriamo. E allora dove affonda le radici la violenza contro le donne? Si può partire da molto lontano e risalire ai primordi della storia dell’umanità con una analisi tra la biologia e la cultura. Luigi Zoja, psicoanalista di fama internazionale, presente Convegno, nel suo libro “I Centauri. Alle radici della violenza maschile” ha esaminato le ragioni di certe arcaiche barbarie e ha constatato che l’identità maschile, già in tempi remoti, era molto meno definita e definitiva di quella della donna. In effetti nella scala evolutiva, da sempre le femmine si dedicano alla cura dei piccoli e di conseguenza si evolvono con i molti atti quotidiani che compiono per la crescita e la difesa dei figli, mentre i maschi si limitano a competere tra loro per la sfida dell’accoppiamento e la conquista della femmina. E non maturano. L’identità maschile è molto meno elaborata al confronto della realtà di quella della donna, ed è dunque più fragile. Anche oggi i maschi sono spesso i più deboli nei rapporti con una donna. Ma non è facile capire quando e come scatta l’impulso aggressivo dell’Eros. Si può constatare però, che i casi di violenza sono più frequenti negli ambienti culturalmente ed economicamente a livello più basso, ed emarginati. Ma anche in certe epoche, in cui predomina un’immagine forte e virile del maschio, si sono verificati e si verificano violenze e soprusi. Ad esempio in epoca fascista, quando si è affermato un maschilismo prepotente e violento. Ma si deve anche constatare e prenderne atto, che una certa libertà e indipendenza conquistata dalle donne, in diversi casi anche economica, facilita oggi il sorgere di nuove ansie e timori nell’uomo.
Per il filosofo Salvatore Veca l’indiscutibile principio che si devono rispettare le persone, e in particolare le donne, non è solo un principio etico, ma anche una ragione e una regola politica, e del vivere civile, che va assolutamente rispettata sia nella vita pubblica sia in quella privata. È la fragilità maschile, la debolezza dell’uomo la causa del fatto che a volte le donne, nei rapporti di coppia, vengono usate come degli oggetti, degli arnesi di cui impossessarsi. Molte donne avvertono la dipendenza e il disagio, ne sono consapevoli, ma spesso non riescono a liberarsi da quei rapporti, da quei legami malati, per ragioni sentimentali e affettive. Le diverse forme di violenza maschile sulla donna, che possono manifestarsi quando il rapporto malato peggiora, non sono solo prepotenze, ma possono diventare atti distruttivi. Perché l’uomo, nella sua fragilità, ha paura della perdita della relazione, e della condanna alla solitudine, reale o immaginaria, qualora la donna prenda la decisione di abbandonarlo. E allora la perdita della donna – moglie, compagna, fidanzata – è vissuta come perdita del sé, di se stesso. Anche per il filosofo dunque il dominio e la violenza dell’uomo sulla donna, è una barbarie che viene esercitato paradossalmente con più forza, proprio nei momenti di maggior fragilità e incertezza dell’uomo, del maschio. Cosa che, in alcuni casi, purtroppo accade ancora anche oggi.
Secondo la psicologa Silvia Vegetti Finzi, che è intervenuta nel convegno, le radici della violenza sessuale sono molto profonde e se si riattivano ora, dopo millenni di civilizzazione, significa che in questa epoca di crisi hanno trovato un terreno favorevole al loro incremento. Occorre mettere in luce il lato oscuro del rapporto tra i sessi e cercare di capire le origini e le motivazioni dei tanti casi di violenza maschile sulle donne, che sono forse alimentate nell’uomo da una perdita di potere e di possesso e da una certa libertà della donna, come è avvenuto con il tramonto del patriarcato. E cercare di ribellarsi, come hanno fatto recentemente molte donne denunciando le molestie, le avances, talora le violenze di uomini ricchi e potenti. Una ribellione delle donne che è avvenuta in altri termini e contesti, anche negli anni Settanta, soprattutto da parte dei movimenti femministi. Oggi è molto importante lavorare anche sulla prevenzione, perché i motivi della violenza degli uomini sono tanti, e sono spesso residui del passato. Nella ricerca delle motivazioni della violenza del maschio, Silvia Vegetti Finzi fa riferimento alle ricerche dell’importante psicoanalista inglese Donald Winnicott, che ha messo in luce nei suoi scritti l’originaria paura dell’uomo di dipendere totalmente dalla figura materna, quindi dalla donna. Una paura che risale a quando era bambino e era legato totalmente dalla madre, una dipendenza da cui crescendo non è riuscito psicologicamente a liberarsi. Alle spalle di ogni prevaricatore, dobbiamo dunque scorgere un neonato inerme e la sua paura dell’abbandono. La paura di questa dipendenza dalla figura di una donna-madre si fa viva nell’uomo-fragile nel momento dell’abbandono della donna che a modo suo ha amato. E da questa paura può nascere la sua violenza.
Rappresentanti di associazioni civili come la Caritas Ambrosiana e la Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate, hanno portato testimonianze dirette del loro impegno quotidiano contro la violenza. Ed hanno espresso qualche dubbio sulla “debolezza” e sull’effettivo interrogarsi da parte di molti uomini sul perché possano ricorrere in certi casi a gesti violenti. È certo che molti uomini, anche in caso di sofferenza, non amano consultare uno psicologo o farsi curare. Già molti anni fa Simone De Beauvoir, nel suo saggio “Il secondo sesso”, un’opera che attingeva a fonti letterarie, storiche, filosofiche e antropologiche aveva formulato un concetto base, che può essere un’utile indicazione: “Nessuno è più arrogante, aggressivo, sdegnoso – e spesso violento – di fronte alle donne, dell’uomo malsicuro della propria virilità”.
A conclusione possiamo consolarci con due versi della poetessa Emily Dickinson: “Che l’amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell’amore”. E con una frase della scrittrice Barbara Pym da “Un po’ meno che angeli”: “Quando si ama un uomo, il massimo della tenerezza che si prova per lui è nel momento in cui ci appare inerme e svantaggiato nella cruda luce del mattino”.