A Milano riapre la mostra “Le Signore dell’Arte: storie di donne tra 1500 e 1600″, occasione per conoscere da vicino le opere di Artemisia Gentileschi
La mostra dedicata ad Artemisia Gentileschi, a Milano a Palazzo Reale intitolata “Le Signore dell’ Arte: storie di donne tra 1500 e 1600″, aperta a marzo e sospesa a causa del lockdown, si è riaperta al pubblico il 27 aprile e si protrarrà fino al 25 luglio. Una mostra che offre l’occasione per conoscere da vicino le opere di una grande e famosa artista, la pittrice Artemisia Gentileschi, e riflettere sulla sua storia. Artemisia è un personaggio noto, oltre che per la sua pittura e la straordinaria personalità che ha dimostrato in vari episodi della sua carriera di pittrice, anche come donna che si è battuta per una vita professionalmente indipendente con un equo riconoscimento economico.
Ed è stata considerata da molti una storica e precoce rappresentante del femminismo, per il suo spirito battagliero di autonomia dalla famiglia, dal padre, e dalla forte presenza maschile nel settore dell’arte. Un atteggiamento decisamente insolito negli anni in cui è vissuta. Artemisia Gentileschi è nata a Roma nel 1597, figlia del pittore di origine toscana Orazio Gentileschi, è rimasta orfana della madre quando aveva appena 8 anni, ed è cresciuta con il padre, frequentando il suo studio, imparando molto presto a combinare i colori, a dipingere e a fare copie dei dipinti e delle xilografie che il padre possedeva, o di cui era autore. E ha dimostrato un precoce interesse per la pittura e l’arte. Si suppone che più volte sia persino intervenuta in alcuni dettagli delle tele paterne, date le grandi capacità pittoriche che Artemisia aveva velocemente acquisito fin dalla adolescenza.
Da Caravaggio ad Artemisia Gentileschi
Molti artisti in quegli anni all’inizio del Seicento, negli ambienti romani erano condizionati dalla eredità lasciata dalla pittura “ realista “ del Caravaggio, e fra questi c’era anche il padre di Artemisia, Orazio Gentileschi, considerato il maestro del movimento pittorico detto “ Caravaggismo”.
Sembra che Orazio Gentileschi avesse conosciuto e frequentato il Caravaggio, quando l’artista lombardo era a Roma e dipingeva, nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, “San Matteo e l’Angelo” e altri splendidi quadri. Roma nei primi anni del Seicento era un grande centro artistico e l’atmosfera della città era satura di cultura e di arte. Un’atmosfera stimolante per una giovane artista che amava la pittura, come Artemisia.
E Orazio Gentileschi, padre di Artemisia, incaricò il pittore Agostino Tassi, che frequentava il suo studio, e aveva particolare capacità nel definire le prospettive e le ombre dei personaggi, di insegnare alla figlia che era ancora adolescente nuovi modi di dipingere, di farle insomma da maestro.
A quei tempi alle donne aspiranti pittrici non era concesso di andare a studiare, o a lavorare in uno studio fuori casa. Agostino Tassi a Roma, in certi ambienti era conosciuto come un uomo dal carattere violento e un personaggio di cui era meglio non fidarsi. Ma Orazio Gentileschi non ne era a conoscenza, e affidò al Tassi il compito di insegnare ad Artemisia questi nuovi metodi di usare i colori, le ombre, le ambientazioni. E in questo ruolo di maestro fu bene accettato da Artemisia, dato il suo grande interesse per i segreti della pittura e le soluzioni pittoriche Ma Tassi, sfruttando il suo ruolo di maestro e la sua autorità acquisita su Artemisia, tentò più volte di sedurre la fanciulla, con false promesse amorose di un futuro matrimonio, lottando a lungo contro la volontà e i decisi rifiuti della ragazza. Scoperta e denunciata la violenza anche dal padre, Artemisia Gentileschi dovette subire un lungo e vergognoso processo pubblico, che Orazio Gentileschi intentò nel 1612 contro Agostino Tassi, che “aveva deflorato la figlia e l’aveva forzata a ripetuti atti carnali”. La stessa Artemisia raccontò la violenza subita con grande crudezza e dovizia di particolari.
Nella scura sala del tribunale papale, a Roma, piena di folla curiosa, Artemisia fu processata e sottoposta a prove umilianti e dolorose. Come quella di una sorta di laccio delle mani e delle dita con delle cordicelle che le venivano tirate ad ogni domanda, per forzarla a dire la verità. Un interrogatorio che risultò alla fine molto doloroso, perché le provocava uno schiacciamento dei pollici delle mani. E in un’altra seduta fu sottoposta anche a un esame fisico della verginità, per cui in un angolo del salone del tribunale affollato di pubblico, delle infermiere che avevano il compito di comportarsi come delle levatrici le scoprirono le gambe e gran parte del corpo, per accertare con le mani se fosse rimasta intatta, nonostante gli incontri con Agostino Tassi. Il processo si svolse in più sedute, nella Roma papalina, e durò diversi mesi. Ma Artemisia, durante tutto il tormentoso interrogatorio, dimostrò una notevole dose di coraggio e di forza di carattere.
Alla fine Agostino Tassi fu condannato per “sverginamento” e gli furono imposti 5 anni di prigione, o in alternativa l’esilio da Roma, oltre a una sanzione pecuniaria. Il Tassi, come era prevedibile, scelse l’esilio, ma in realtà non scontò mai interamente la pena, dato che i suoi potenti committenti romani lo protessero, esigendo spesso la sua presenza in città.
Artemisia Gentileschi va a Firenze
Artemisia appena terminato il processo, accettò il matrimonio riparatore con Pierantonio Stiattesi, un pittore di modesta levatura che la rese però libera di vivere e dipingere lontana dal padre. E alla fine di quel tormentato anno si trasferì con il marito a Firenze, dove strinse rapporti con l’ambiente artistico, conobbe anche Michelangelo Buonarroti, il giovane nipote del celebre artista che la introdusse nel bel mondo culturale della città, poi in altre città.
Il soggiorno a Firenze per Artemisia fu molto soddisfacente e prolifico. In molti casi le fu possibile dimostrare pienamente la sua personalità pittorica. Ma la sua vita privata fu avara di soddisfazioni, e i rapporti con il marito erano legati alle convenienze, anche quando nacquero delle figlie. Inoltre Pierantonio Stiattesi era un pessimo gestore del patrimonio della moglie, che lei aveva costruito in gran parte con le commissioni ricevute e i compensi ricavati dalla sua pittura. Trascorso qualche anno, Artemisia decise di rientrare a Roma, dove era cresciuta e dove molti artisti e amanti d’arte italiani e stranieri ammiravano il suo talento artistico. Poi dopo un viaggio e alcune soste a Venezia e Genova dove le furono commissionate “figure” imprecisate, si trasferì a Napoli, capitale del viceregno spagnolo e città dal grande fervore artistico, dove continuò con profitto la sua carriera d’artista e non perse mai l’occasione di affermare la sua volontà di vita indipendente dedicata alla pittura. E le commissioni furono tante per tutti gli anni della maturità, fino alla sua morte avvenuta a Napoli durante la terribile peste che devastò Napoli nel 1656.
Molti sono i libri e gli articoli che sono stati dedicati ad Artemisia Gentileschi, sia sulla sua attività artistica perché molto presto è riuscita ad affermare la sua forte personalità pittorica, che sulla storia di donna indipendente, in chiave femminista. E le sono stati dedicati anche alcuni documentari, fra i quali un docufilm del 2020 intitolato “Artemisia Gentileschi, pittrice guerriera” del regista Jordan River. Da ricordare un romanzo degli anni Cinquanta di Anna Banti, moglie dello storico dell’arte Roberto Longhi, intitolato “Artemisia “che si sofferma su tanti aspetti della sua vita, ed è stato ripubblicato più volte. Storico è l’articolo di Roberto Longhi, che fu uno dei primi a considerare l’importanza di Artemisia come donna, e le sue qualità di pittrice, scrivendo che era. “L’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità”. Tra i testi più recenti da ricordare un suggestivo saggio di Alexandra Lapierre intitolato “Artemisia” del 1999 che mette in rilievo il suo carattere. E soprattutto una biografia romanzata della scrittrice americana Susan Vreeland intitolato “La passione di Artemisia” del 2002, che mette in luce il carattere di Artemisia e tanti episodi affettivi della sua vita. Esistono tante citazioni sul personaggio che rappresenta Artemisia e la sua modernità, come donna indipendente. Recentemente anche Dacia Maraini, in un suo libro appena edito da Rizzoli intitolato “Corpo felice”, riflettendo sulle numerose ingiustizie subite dalle donne nel corso dei secoli, ricorda anche Artemisia Gentileschi e condanna le violenze che ha subito.
Grazie Signora Bolgeri, molto interessante il suo articolo. E stato un piacere leggerlo.
Anna Galvano
Grazie a lei per il riscontro. Le suggeriamo altri articoli di Laura Bolgeri, a questo link: