Un approccio globale
La comprensione di fenomeni diversi è spesso resa difficile dalla mancanza di una visione globale, che impedisce di comprendere la vera natura delle cose. La complessa evoluzione dei media risulta difficile da comprendere se non si valutano attentamente le relazioni tra fattori tecnologici, economici e comportamentali. Uno sguardo globale, una passione per l’osservazione dei segnali deboli, un approccio interdisciplinare costituiscono gli ingredienti di un metodo in grado di farci comprendere i fenomeni con grande anticipo, variabile fondamentale per impostare qualsiasi strategia. Con questo tipo dio approccio proviamo a guardare all’evoluzione della comunicazione nell’era che Zygmunt Bauman ha definito “della società liquida”.
La comunicazione nell’era digitale
Per secoli la comunicazione ha conosciuto una sola modalità di diffusione: “da uno a molti”. Lo sviluppo della radio e poi della tv ci ha portato nell’era dei mass media, caratterizzata dal broadcast, ed intorno alla metà degli anni 90 lo sviluppo di internet, accompagnato e favorito da grandi innovazioni tecnologiche. I canali di comunicazione, che fino ad allora erano adibiti a veicolare ciascuno una specifica tipologia di contenuti (parola, immagini, testi, video) si sono fusi in un solo canale in banda unica, resa accessibile grazie allo sviluppo della tecnologia informatica. La conseguenza è stata una nuova grande rivoluzione: il passaggio della comunicazione “da-uno-a-tutti” alla comunicazione “da-tutti-a-tutti”. Attraverso l’interattività si è creata la possibilità di interloquire, approfondire, e con la nascita dei social network, di partecipare attivamente con propri contenuti. E’ nata così l’era dei Massive Media, dove più che a grandi cluster di popolazione si comunica a tante singole individualità, a microgruppi, a piccole tribù che dialogano tra loro. Mentre ieri si maneggiavano segmentazioni di popolazioni codificate in macro-aggregazioni ben definibili, oggi l’audience si frammenta con la richiesta di contenuti di nicchia, dedicati, e la disponibilità a interagire con essi sempre e ovunque. Con l’avvento del digitale, la nascita dei motori di ricerca, lo sviluppo di streaming e networking, il rischio dell’Information Overload è diventato un fattore critico: più aumentano le opzioni di fruizione di contenuti e la massa di dati a disposizione, più cresce la difficoltà nel cercare, scegliere, valutare, usare, sviluppare, imparare.
Qualche dato: 20 ore di video caricati su You Tube ogni minuto, 247 miliardi di e-mail spedite ogni giorno, di cui l’81% è classificabile come spam, 6 milioni di pagine viste al minuto su Facebook – 37 migliaia di miliardi ogni anno. E stiamo parlando di attività svolte da meno di un terzo della popolazione mondiale.
Come rimedio a questa complessità soprattutto le giovani generazioni stanno modificando il loro modo di rapportarsi con i media, diventando multitasking. Si tratta di una mutazione genetica, perché la possibilità di svolgere più compiti contemporaneamente offerta dai sistemi informatici sta diventando sinonimo di un’attitudine dell’uomo, di una predisposizione a seguire più attività contemporaneamente. Molte ricerche hanno però dimostrato che il multitasking, nato per il computer, non è purtroppo concepito per il cervello umano. Di conseguenza più si moltiplicano le fonti cui prestare attenzione, più si riduce la capacità di analisi e di memorizzazione. Si stima che i dati di internet occupino circa 5 milioni di Terabyte, mentre in media un cervello umano può contenere 5 terabyte. Il che significa che per contenere tutto internet ci vorrebbero milioni e milioni di cervelli umani.
Il tempo è uscito dai cardini. Dannata sorte essere nato per rimetterlo in sesto. (Shakespeare, Amleto)
Ogni contenuto, ogni messaggio si deve contendere ferocemente con molti altri stimoli l’attenzione dei neuroni del destinatario. Si comincia a parlare di costante attenzione parziale, ulteriormente complicata dalla cronica mancanza di tempo. Il nuovo rapporto con il tempo (oltre che con lo sviluppo delle tecnologie) è quindi il fattore che accompagna le innovazioni del passaggio dall’analogico al digitale, dell’avvento della comunicazione multimediale, dell’interattività e del networking. Il peak-time, momento pregiato tipico della tv generalista in cui milioni persone guardano tutte insieme lo stesso programma, lascia il passo al my-time, momento in cui milioni di persone si fanno il proprio palinsesto tra migliaia di opzioni.
Dedichiamo sempre meno tempo ad osservare, e questo minor tempo lo dedichiamo ad un sempre maggior numero di singoli pezzi di media: e così collezioniamo frammenti. Occorre quindi riflettere sul tempo e sull’uso che ne fa l’uomo di oggi.
Gli effetti sulla comunicazione e sul marketing
La convergenza dei diversi driver cui abbiamo accennato sta provocando un cambiamento nella catena del valore dei media. Se prima la creazione, la confezione, la distribuzione dei contenuti erano strettamente connessi tra loro, oggi, sotto la pressione digitale le singole attività si stanno differenziando e frantumando. Mutando la catena del valore, molti modelli di business sono entrati in crisi, mentre i modelli nuovi devono ancora prendere corpo e consolidarsi. Passando dal broad-casting, al narrow-casting, all’interattività, al networking, gli attori coinvolti in un processo di comunicazione diventano sempre più numerosi. I fruitori stessi giocano un ruolo attivo di passa-parola. Di conseguenza un qualsiasi progetto di comunicazione deve prevedere una quantità di competenze specifiche e interdisciplinari, in grado di padroneggiare tutti i mezzi di comunicazione e di far agire nel contempo gli stessi fruitori. I driver della comunicazione sono oggi mobilità e geolocalizzazione, user-generated content, conversational media, rifiuto della pubblicità troppo commerciale, potenzialità della ricerca e delle segnalazioni da amici e influenzatori, riaggregazione personalizzata dei contenuti.
L’efficienza della comunicazione tradizionale è diminuita, perché la frammentazione dei target e l’attitudine pull comportano una sempre minore tolleranza del consumatore ai messaggi “one size fits all”. I ritmi della conversazione sono sempre più dettati da ciascun utente e non più da un solo media. Il target non va più profilato con criteri socio-demografici, ma a seconda degli atteggiamenti mentali.
Padroneggiare la complessità
Una tale complessità può essere padroneggiata attraverso il “back to basics”.
Per tanti anni si è parlato di comunicazione integrata, quasi sempre è rimasta una teoria. Oggi gli sviluppi tecnologico-comportamentali permettono di realizzarla: flash mob, spot, guerrilla marketing, branded entertainement, comunicazione virale, social networking: come in un gigantesco I-Pad anche per la comunicazione sono solo aumentate le applicazioni. A causa della frammentazione dell’audience è impensabile provare a colpire ogni singolo target con i meccanismi tradizionali, perché i costi sarebbero eccessivi. Il processo della comunicazione integrata va reindirizzato come se si dovesse attivare una vera e propria reazione a catena. Non parliamo solo di “viralità”, perché è un processo impossibile da attivare in maniera scientifica, ma un approccio ancora più strutturato, meglio, stratificato alla comunicazione. I messaggi devono far scatenare la reazione a catena in modo da attivare gli influenzatori dei diversi gruppi-target, siano essi molto numerosi o nicchie iper-specialistiche, ma molto hip/trendy e capaci di amplificare e diffondere il concept. Potrebbe sembrare più facile a dirsi che a farsi, ma la creatività nello sfruttare ogni opportunità secondo nuovi paradigmi può portare nuove soddisfazioni ai comunicatori.
Affrontare la discontinuità
Imprese, media e agenzie di comunicazione devono affrontare sempre più spesso la discontinuità. Si può stringere i denti e cercare di “sopravvivere alla crisi”, tentando di comprendere e padroneggiare gli strumenti e i linguaggi che andranno a costituire un più tranquillo domani. E’ più probabile che la lunga transizione in corso sia ben lontana da approdare ad un nuovo e tranquillizzante periodo di stabilità. Non ci resta che prendere atto di questo stato di costante flusso, e puntare all’adattabilità e allo sviluppo quotidiano di competenze sempre nuove, piuttosto che alle rendite di posizione, tipiche di una situazione di stabilità, che probabilmente non tornerà tanto presto, e forse mai più.
(Alberto Contri, Presidente di Pubblicità Progresso
da 5° Internet Sales Forum)