Gli approfondimenti dell’Ispi: Trump e Clinton, se i candidati vincono ma non convincono

Pubblicato il 16 Marzo 2016 in , da redazione grey-panthers

Lo hanno ribattezzato il “mega–Tuesday”, il secondo appuntamento elettorale più importante delle primarie statunitensi di quest’anno. Dopo il voto di ieri, in campo democratico la nomination sembra concretizzarsi per Hillary Clinton, mentre in campo repubblicano si rischia una spaccatura del partito. Il candidato repubblicano considerato più “presidenziabile”, Marco Rubio, abbandona la competizione dopo aver subito una sonora sconfitta nello stato di cui è senatore, la Florida. Trump consolida il suo vantaggio sul campo ma rimane inviso all’establishment del partito, che potrebbe ora decidere di convergere su Ted Cruz, aprendo lo scenario di una “brokered convention”.
L’ISPI continua a monitorare la corsa elettorale sul blog U.S. Election Watch.

Fuori Rubio, Trump inarrestabile

Donald Trump ha vinto praticamente ovunque, tranne che in Ohio, stato di casa di John Kasich, il quale ha vinto i 66 delegati in palio. A dare un significato aggiuntivo alla vittoria di Trump è il fatto che in tutti gli stati in cui si è votato questa notte – tranne che in North Carolina – i delegati repubblicani vengono assegnati con il metodo del winner–take–all, assegnando dunque tutti i delegati in palio a chi ottiene la maggioranza dei voti. Nel dettaglio, Trump ha stravinto in Florida, aggiudicandosi tutti i 99 delegati in palio e umiliando Marco Rubio, che giocava in casa, e costringendo quest’ultimo al ritiro; si è imposto in Illinois, conquistando i 24 delegati in palio, e nelle Isole Marianne Settentrionali, dove ha conquistato altri 9 delegati. In North Carolina, dove i delegati vengono assegnati con il sistema proporzionale, Trump ha distanziato di quattro punti percentuali Ted Cruz, conquistando 29 delegati rispetto ai 26 vinti dal rivale. Testa a testa invece in Missouri, dove i conteggi sono ancora in corso ma dove Trump sembra essere avanti di 0,2 punti percentuali rispetto a Ted Cruz. In palio ci sono 52 delegati.

Clinton verso la nomination

In campo democratico, Hillary Clinton ha vinto in tutti gli stati in cui si è votato: in alcuni casi con un’ampia maggioranza, come in Florida (124 delegati contro i 60 vinti da Sanders) e Ohio (75 contro 54), in altri casi di misura, come in Illinois (66 Clinton; 64 Sanders), Missouri (dove lo spoglio è ancora in corso ma Clinton sembra avanti di 0,2 punti percentuali) e North Carolina (59 Clinton; 42 Sanders). A differenza dei repubblicani, in questa tornata elettorale i democratici hanno assegnato i delegati con metodo proporzionale, dunque non si è avuto l’effetto dirompente registratosi in campo repubblicano. Bisogna però ricordare che Clinton può contare sul supporto di 467 superdelegati (membri del partito che, a differenza dei normali delegati, alla convention possono votare per il candidato di loro scelta, indipendentemente dai risultati ottenuti durante le primarie) che voteranno per lei alla convention di luglio. Questo sembra chiudere di fatto i giochi tra i due candidati alla nomination democratica: con 1094 delegati vinti finora (più 467 superdelegati) Clinton distanzia in maniera potenzialmente irreversibile Sanders, fermo a 774 delegati (più 26 superdelegati)

Come fermare Trump?

Ritiratosi Rubio, il candidato più “presidenziabile” tra i partecipanti alle primarie, l’ultima speranza del Partito repubblicano per impedire l’assegnazione della nomination a Donald Trump sembra essere la “brokered”, o “contested”, convention. Si ha una “brokered convention” nel caso in cui nessun candidato arrivi al termine delle primarie con il numero di delegati necessari a vincere la nomination (che per i repubblicani sono 1237). In questo caso, durante la convention si procede a diversi scrutini fino a che la maggioranza dei candidati non converge su un candidato. L’obiettivo dunque da qui a luglio potrebbe essere quello di impedire che Trump raggiunga quota 1237 (attualmente si trova a 621). Per ottenere ciò, una tattica potrebbe essere quella di mantenere in gara sia Cruz che Kasich, in modo da poter disporre di uno spettro più ampio per attrarre delegati e sottrarli così a Trump. C’è però anche una parte dell’establishment che preme per il ritiro di Kasich, sostenendo che sia necessario convergere su Cruz, il candidato più vicino a Trump, che può quindi prendere i suoi voti. In ogni caso, occorre ricordare che per far sì che vi sia una brokered convention occorre che i candidati vincano la maggioranza dei delegati in almeno otto stati, traguardo già raggiunto da Trump (che finora ha vinto in diciannove stati), e che sembra raggiungibile da Cruz, che al momento è a quota cinque stati vinti, mentre sembra fuori portata per Kasich, che finora ha vinto solo in Ohio.

Se i candidati vincono voti ma non scaldano cuori

Nel momento in cui sembra profilarsi come inevitabile lo scenario di uno scontro Trump–Clinton, a meno del verificarsi dell’ipotesi della “brokered convention”, è interessante rilevare come mai come oggi i candidati che con ogni probabilità vinceranno la nomination del partito e si contenderanno dunque la presidenza del paese non stiano dimostrando una grande capacità di entusiasmare gli elettori.  Un sondaggio Gallup rivela che il 53% degli elettori americani ha un’opinione negativa di Hillary Clinton, mentre il 63% ha un’opinione negativa di Donald Trump. Fino a oggi, il record di non gradimento nei sondaggi per un candidato spettava a George Bush (il 57% di opinioni sfavorevoli nell’ottobre 1992); nello schieramento politico opposto, però, c’era un candidato che accendeva gli entusiasmi degli elettori, Bill Clinton (solo il 38% non aveva una buona opinione di lui). Oggi, invece, si assiste, secondo il New York Times, a uno scetticismo diffuso nei confronti dei candidati che emergeranno come vincitori delle primarie in entrambi gli schieramenti. Trump, nonostante stia inanellando un successo dietro l’altro, spaventa lo stesso establishment del proprio partito; Clinton, in maniera contraria ma speculare, sembra in difficoltà nell’attrarre i consensi di chi non fa parte dell’establishment: giovani e liberal che, infatti, votano per Sanders.

 

(Fonte: ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale)