Copenhagen alle battute finali
A tre giorni dalla chiusura del vertice siamo ormai al rush finale. Stanno per arrivare i leader di mezzo mondo, compresi i grandi player, che nelle prossime ore si giocheranno la difficile partita da cui forse dipende anche l’equilibrio futuro del nostro ecosistema.
Dopo la minaccia di abbandono, rientrata nella serata di lunedì, dei rappresentanti dei paesi africani, il negoziato si è concentrato sul tentativo di trovare compromessi tra “ricchi e poveri” attraverso gruppi informali ristretti. In particolare, la presidente della conferenza Connie Hedegaard ha creato cinque gruppi di contatto che lavorano sui temi più controversi: i target di emissione dei paesi in via di sviluppo, il target di emissione di lungo termine, i finanziamenti per gli sforzi di mitigazione e adattamento, l’emission trading e gli altri meccanismi di mercato e le emissioni legate al trasporto aereo e navale.
Ogni gruppo è coordinato da due ministri, uno dei Paesi sviluppati e uno dei Paesi in via di sviluppo, che hanno il compito di facilitare il raggiungimento di posizioni consensuali. L’UE svolge un ruolo importante in questi gruppi ed è ben rappresentata dai ministri del Regno Unito, della Germania e della Spagna.
I co-facilitatori dovranno poi riportare sui progressi conseguiti a un’assemblea plenaria informale presieduta dalla Hedegaard. In parallelo continuano le discussioni sui nuovi target per i Paesi sviluppati.
Al Gore, il grande comunicatore del clima che si è guadagnato il Nobel, insiste nel dimostrare che il tempo è meno di quanto si pensi, che i ghiacciai si ritirano di tre metri l’anno e che fra 10 anni non vi saranno più ghiacci al Polo Nord. Se davvero avesse ragione e anche i ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartico scivolassero progressivamente in mare, l’innalzamento degli oceani potrebbe essere più drammatico del previsto.
Anche considerata la posta in gioco e la pressione dell’opinione pubblica internazionale, la sensazione è che nessuno voglia davvero rompere e che difficilmente si potrà parlare di fallimento di Copenhagen. Il livello di ambizione ed efficacia dell’eventuale compromesso politico raggiunto è invece un’altra storia. E non è per nulla certo che il 18 dicembre i grandi del mondo potranno annunciare un accordo politico davvero ambizioso e utile a garantire, con margine di sicurezza, che la fatidica soglia dei due gradi non venga superata.
Ma un accordo politico di natura “universale”, ossia a cui aderisca la grande maggioranza della comunità mondiale, sarebbe in ogni caso un successo storico. E darebbe comunque un quadro certo per orientare lo sviluppo tecnologico, industriale e i flussi di investimento in una direzione sempre più irreversibile. In altre parole, un accordo politico ragionevole, anche se di compromesso al ribasso, sarebbe inevitabilmente il vero inizio della nuova rivoluzione verde verso un’economia mondiale sempre più a basso tenore di carbonio.
Fonte. Carlo Corazza- Direttore della Rappresentanza a Milano