Vittorio Sgarbi, critico d’arte, saggista, opinionista e personaggio molto noto, invitato al Teatro Franco Parenti di Milano per una lectio magistralis sul tema “L’autunno degli artisti e la loro creatività”, di fronte a una sala colma di pubblico e avvolgente come un abbraccio, non si è limitato a parlare di storia dell’arte, ma ha raccontato anche storie legate alla letteratura e alcune storie personali, sorprendendo e coinvolgendo la platea. Nella vita e nell’anno, l’autunno è la stagione migliore perché ha ancora un po’ del calore dell’estate che è appena passata, e in compenso ha una certa morbidezza. Che è un po’ come quella di una donna matura piena di esperienza, ha sottolineato con una certa consapevolezza il critico, nell’esordio. Quindi nella pienezza della maturità, l’autunno è il momento della nostra maggiore capacità di riflettere. Ed è una stagione che ha un grande valore nella vita di un uomo, perché generalmente si ha più tempo per meditare, e si possono raccontare le cose compiute nella giovinezza e avvalersi dell’esperienza elaborata in una quantità di incontri e conoscenze passate. E’ l’età che Vittorio Sgarbi ha adesso: 66 anni. Lo ha confessato con un certo orgoglio. Ed è l’età, la sua o quella più tarda, che possiamo cercare di analizzare negli artisti, nei grandi scrittori, nei grandi pittori, in coloro che hanno raggiunto un punto di “cottura” giusto per riuscire a capire meglio la vita e il mondo. Ed è per questo che Vittorio Sgarbi ha intitolato la lezione (che sono poi diventate due e forse ne seguiranno altre ) “L’autunno del nostro talento”. Un talento che spesso si manifesta, cresce e diventa più forte nell’autunno della vita. Una stagione densa di significati, che trae beneficio da tutto quello che abbiamo vissuto e imparato negli anni.
Questo arricchimento negli anni che passano, e portano all’età matura e alla vecchiaia, dovrebbe valere per tutti. Ma esistono anche molti artisti che, quando vivono e sperimentano la loro creatività intensamente, esauriscono le loro esperienze in un ciclo vitale molto breve, senza arrivare alla vecchiaia. Come ad esempio Giacomo Leopardi, che è morto a soli 39 anni. Ma il grande poeta con i suoi scritti, le sue poesie, i suoi pensieri, aveva raggiunto un punto molto alto di riflessione sull’esistenza e sulla condizione umana, già molto giovane. E allora giovinezza, maturità e vecchiaia si condensano. Come si può constatare nella penultima lirica del poeta intitolata “La ginestra”, scritta quando il poeta aveva 39 anni, e pubblicata postuma nel 1846. Una lirica che può essere considerata il testamento filosofico del poeta sui grandi quesiti esistenziali, sui mali del mondo, e la ricerca di una solidarietà.
Un caso letterario molto noto – che Sgarbi ha citato come esempio di un’opera di valore scritta in maturità – è quello del romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, un nobile siciliano del primo Novecento, molto colto. Il libro narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società siciliana durante il Risorgimento. Elaborato a lungo, e scritto negli anni 1954-1957, quando l’autore aveva circa sessant’anni, il romanzo in un primo tempo fu rifiutato dagli editori Mondadori e Einaudi, ma poi è stato pubblicato da Feltrinelli per merito di Giorgio Bassani, che ne aveva scoperto il valore. Il libro ebbe un grande successo di pubblico, prima in Italia e poi in Europa e in tutto il mondo. Luchino Visconti ne trasse un film memorabile con Burt Lancaster.
Vittorio Sgarbi, storico dell’arte e personaggio apparentemente algido, durante la conferenza si è dilungato a raccontare anche un caso letterario molto significativo per la creatività che si è svelata in vecchiaia, e che riguarda suo padre e la sua famiglia. E lo ha fatto con parole gonfie di emozione, leggendo alcune pagine dei libri del vecchio padre e ricordandolo con affetto. Così ponendo l’accento sul fatto che il talento può rivelarsi a volte anche solo in tarda età, ha raccontato che il padre Giuseppe Sgarbi, farmacista tutta la vita a Ro, nella provincia ferrarese, raggiunta la vecchiaia, negli ultimi anni della sua vita, quando aveva più di novant’ anni, ha cominciato a scrivere storie legate all’ambiente ferrarese, forse anche sollecitato dalla figlia Elisabetta. E ha poi pubblicato quattro libri, uno dopo l’altro. Sono racconti, memoriali, pieni di ricordi molto intensi, che riguardano la sua famiglia e soprattutto la moglie tanto amata Caterina (la madre di Vittorio Sgarbi). In particolare, leggendo alcune pagine dell’ultimo libro scritto dal padre prima di morire, quando aveva 97anni, intitolato “Lei mi parla ancora”, Vittorio Sgarbi non ha nascosto una intensa commozione, che ha sorpreso e coinvolto anche il pubblico.
Ma per riprendere in mano l’argomento “dell’autunno del talento” degli artisti, pittori e scultori che in vecchiaia hanno compiuto opere importanti, Vittorio Sgarbi, in una seconda lezione, sempre al Teatro Parenti, ha ricordato un grande pittore “maestro dei maestri della pittura italiana del Quattrocento”: Giovanni Bellini. L’artista è nato a Venezia nel 1430 ed è morto nel 1516 a 86 anni. Giovanni Bellini è il primo grande vecchio nella storia della pittura italiana. E’ autore soprattutto di pittura sacra e di devozione. Ha dipinto diverse pale d’altare che rappresentano la Madonna, i santi, gli angeli, raffigurandoli con maestria e dettagli incisivi non comuni. Come ad esempio nella grande Pala di Pesaro, dove la scena dell’incoronazione della Vergine Maria è ambientata, anziché in cielo, sulla terra.
Ed è posta su un grande trono marmoreo con la Madonna e Gesù tra i Santi Paolo, Pietro a sinistra, e Girolamo e Francesco, a destra. Nella spalliera del trono è rappresentato un realistico paesaggio ricco di sfumature con torri, case, mura e un castello, forse la rocca di Gradara. In alto, nel cielo terso, gruppi di angeli cherubini e serafini, con al centro la Colomba dello Spirito Santo che vola. Giovanni Bellini è anche l’autore del “Battesimo di Cristo”, custodito nella Chiesa di Santa Corona a Vicenza, che Sgarbi ha definito con entusiasmo il quadro più bello del mondo. Ed in vecchiaia, a 85 anni, Giovanni Bellini sorprende ancora per la grande creatività e novità della sua pittura. Dipinge un’opera, inconsueta nella sua produzione religiosa, soprattutto per il soggetto. Una giovane donna nuda allo specchio. Il dipinto ad olio su tavola rappresenta infatti una giovane donna, una Venere con una preziosa retina damascata che le copre i capelli, che si guarda allo specchio. La scena è posta in una stanza in penombra, con a sinistra una finestra che si apre su un paesaggio con delle verdi colline e in lontananza, un cielo annuvolato ma luminoso, che danno luce al quadro. Il corpo nudo della donna ha forme classiche e ideali, che sono rappresentate con una sorta di casta purezza. Non c’è traccia di compiacimento né di erotismo. Il quadro dal soggetto “pagano” sorprende per il tema, e per la classica bellezza del nudo che sembra precorrere certi nudi, generalmente dipinti da artisti nel tardo Cinquecento o nel Seicento. Anche con questa opera Giovanni Bellini è testimone della grande libertà, e della ricchezza di contenuti che un artista può esprimere in età matura e in vecchiaia.
Vittorio Sgarbi ha voluto ricordare, per la straordinaria capacità creativa che persiste e si accresce negli anni e in vecchiaia, un altro grande artista: Michelangelo Buonarroti, nato in Toscana, a Caprese nel 1475 e morto a Roma nel 1564 a 89 anni. E ha fatto il confronto con due sculture dell’artista. La Pietà Vaticana della chiesa di San Pietro a Roma, che Michelangelo scolpì molto giovane, quando aveva solo 23 o 24 anni, e la Pietà Rondanini che Michelangelo realizzò negli ultimi anni della sua vita. La Pietà Rondanini e’ conservata a Milano nel Castello Sforzesco. E’ un’opera molto amata, non solo dai milanesi,
ed è ricca di significati. E’ giunta a Milano dopo due guerre e il fascismo, acquistata dai milanesi e collocata per diversi anni in un contesto del Castello Sforzesco, con un allestimento del gruppo di architetti dello Studio BBPR. Sgarbi ricorda al pubblico la polemica e lo scontento, che ampiamente sottoscrive, quando la Pietà Rondanini alcuni anni fa è stata spostata dalla sede originaria. E auspica, e si batte, affinché ritorni all’originario collocamento.
La Pietà Vaticana, scolpita da Michelangelo negli anni 1498-1499, è un’opera che ha una composizione classica di grande morbidezza. La scultura, composta in orizzontale e in modo armonico, con la Madonna che regge il corpo di Cristo, non suggerisce in modo palese segni di drammaticità. La Madonna ha le sembianze di una donna giovane, di diciotto, vent’anni. Ha un volto sereno, una espressione dolce, non appare in modo palese turbata dalla morte del figlio, che sembra un uomo più grande di lei, ha un corpo anatomicamente perfetto, ed è abbandonato tranquillamente sulle ginocchia e sulle ampie vesti della madre. Una scena composta, classica e apparentemente tranquilla. La Pietà Rondanini, è molto più tarda. Michelangelo cominciò a scolpirla, secondo lo storico Vasari, una cinquantina d’anni dopo, precisamente nel 1552, e ci ha lavorato a lungo, modificandola e rifacendone alcuni dettagli, fino alla morte.
E’ una pietà con le due figure, quella della Madonna e quella di Gesù che sono poste in verticale, quasi a formare un corpo solo. Sembra che la Madonna, che ha un volto appena abbozzato e dolente, sorregga il figlio, lo tenga stretto, legato a sé in una sorta di abbraccio, per non lasciarlo cadere. Alcuni particolari della scultura, il torace di Gesù, il braccio della Madonna non sono chiaramente delineati e sembrano non finiti. Ma si tratta di una scelta ponderata di Michelangelo, di un linguaggio pensato e ripensato. In questa opera, in cui emerge la straordinaria spiritualità della Madonna e la sua tenerezza per il Cristo che sorregge, Michelangelo quasi novantenne, esprime una profonda comprensione del dolore dell’umanità.
Nel suo ruolo di storico dell’arte Vittorio Sgarbi non ha concluso la sua ” lectio magistralis “ con le pietà di Michelangelo, ma è passato a descrivere un pittore emiliano del Cinquecento e maestro del Manierismo, il Parmigianino (Parma 1503-1540) .L’artista, pur molto giovane, ha mostrato nelle sue opere un alto grado di maturità e di talento dipingendo forme nuove . L’opera più nota e rappresentativa del pittore è “La Madonna dal collo lungo”, un dipinto ad olio su tavola conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Il volto perfetto e pieno di grazia della Madonna, è simbolo della fortezza e della integrità della Vergine Maria, in una rappresentazione molto vicina a una realtà trasfigurata. A sinistra si accalcano una serie di giovinetti e di fanciulle, forse angeli dai tratti molto umani. O piuttosto un efebo con i suoi compagni, che presentano un’offerta votiva alla Vergine Maria, che è molto bella. Sullo sfondo una colonna di un tempio e un minuscolo profeta, risultano inaspettati. Sono tutti elementi nuovi nell’iconografia religiosa tradizionale, e sono il segno del contributo del mondo antico alla costruzione della civiltà cristiana.
La prossima lectio magistralis di Sgarbi forse riguarderà pittori come Rembrandt, Monet, Morandi e il loro talento in età diverse. E’ una promessa.