Riceviamo dall’autore e volentieri pubblichiamo:
Parafrasando un famoso detto (“Anche i duri piangono”), anche i grandi manager, a volte, sbagliano. Ecco perché. Il 4 marzo a Ginevra Sergio Marchionne ha dichiarato a Corriere.It: “Sono esattamente sei anni che sto cercando di riaprire il Museo Alfa di Arese. (…) Non possiamo nemmeno entrare o utilizzarlo perché è un sito protetto”. Per amor di verità, il Museo è stato chiuso il 7 febbraio 2011, quindi tre anni fa e non sei … ma sorvoliamo … .Se l’Amministratore Delegato di Fiat Chrysler ha veramente intenzione di riaprirlo, può farlo subito. Infatti fu proprio Fiat a chiuderlo, dopo che il Ministero dei Beni Culturali il 31 gennaio 2011 aveva apposto un vincolo di tutela storico-artistica.
Lo scopo del vincolo ministeriale era ed è tutelare un Museo che, nato nel 1976 negli immediati dintorni di Milano, nei suoi 4.800 mq. espone 130 vetture originali Alfa Romeo prodotte tra il 1909 e il 1977, mentre altre 120 si trovano nel suo deposito. Il Museo dispone inoltre sia di una officina per il restauro dei veicoli esposti, sia di un grande centro documentazione. Va anche sottolineato che senza alcuna pubblicizzazione, nel 2010 il Museo Alfa Romeo è stato visitato da 24.000 appassionati.
L’edificio che lo ospita e l’allestimento interno sono dovuti a una squadra di architetti di grande valore, Vito e Gustavo Latis, Vittore Ceretti e Antonio Cassi Ramelli. Facendo un passo indietro nel tempo, il Museo fu voluto fin dai primi anni Sessanta del ’900 da Giuseppe Luraghi, Presidente di Alfa Romeo dal 1960 al 1974, per testimoniare la straordinaria storia di ricerca e di innovazione, di design e di made in Italy, di cultura d’impresa e di storia economica e sociale dell’azienda automobilistica milanese. Luraghi, infatti, era convinto che la reputazione internazionale della casa del Biscione (“Quando passa un’Alfa Romeo mi tolgo il cappello”, diceva Henry Ford) passava anche dalla rivisitazione di un passato, che aveva visto un’inesausta ricerca di sempre nuovi primati tecnico-produttivi.
È in questi giorni che si deve decidere il futuro di questo concentrato di storia e tecnologia. Fiat lo ha chiuso e ha fatto ricorso al TAR contro il vincolo. In parallelo, Torino ha agitato un progetto di ristrutturazione, e per finanziarlo chiede di poter vendere alcune vetture, si presume tra le più pregiate del Museo. Concezione piuttosto singolare quella di amputare una collezione completa e unica. Sarebbe come se Brera decidesse di vendere magari un Raffaello e un Caravaggio per pagare gli investimenti necessari. Voi visitereste un museo privato dei suoi capolavori?
Forse nell’idea di vendere un certo numero di auto storiche per ricavarne risorse prevale una miope concezione ragionieristica. O invece bisognerebbe cercare una motivazione “freudiana”? Infatti, quando l’Alfa Romeo passò alla Fiat, sulla casa del Biscione si abbatté una pesante rivalsa, forse originata dal rancore verso chi aveva osato sfidare con successo Torino.
L’azienda venne polverizzata nell’illusione di annettersi quote di mercato e di fermare l’entrata di auto straniere in Italia. La prima possibilità abortì a causa di una contraddizione evidente: per conquistare il mercato delle auto medie sportive per famiglie occorreva il know-how dell’Alfa, che venne invece buttato via. Per quanto riguarda le auto d’importazione, basta dare un’occhiata al parco circolante in Italia. Perfino Romiti, anni dopo, ammetterà che l’annessione era stata un errore.
La chiusura del Museo appare ancora più singolare se si pensa che Fiat Chrysler rinuncia a questo straordinario strumento di marketing proprio nel momento in cui Marchionne dice di voler rilanciare l’Alfa Romeo (ridotta oggi a una produzione annua inferiore alle 100.000 auto, come cinquant’anni fa), e portarla sul mercato americano, forse nella speranza di bissare l’idea di Luraghi, quando, a metà degli anni ’60, l’Alfa riscosse grandi successi negli USA (basti ricordare la spider Duetto e i suoi primi piani nel film cult “Il laureato” del 1967). E per il futuro? Una proposta …
Caro Marchionne, il Museo Alfa Romeo riaperto e adeguatamente pubblicizzato si autofinanzierebbe, raccogliendo le risorse necessarie a un graduale processo di modernizzazione. L’esempio lo danno i grandi musei stranieri dell’auto (tedeschi, americani …) che attirano milioni di visitatori con incassi ragguardevoli grazie a biglietti, merchandising e manifestazioni varie. Funzionerebbe certamente anche qui, magari arricchendo il tutto con un’offerta gastronomica (Farinetti?) e un invito a provare le nuove vetture sulla pista di prova adiacente (un modo per rinnovare i famosi Incontri con il brivido organizzati da Sinisgalli negli anni 1952/53).
E cari Maroni, Pisapia, Podestà, ministro Martina perché non rimediate a una situazione, che alla fine vedrebbe tutti perdenti? Il 2015 per Milano vuol dire Expo: perché non inseriamo tra i punti di forza dell’evento stesso questo straordinario Museo, che dista solo sette chilometri dal luogo dove si svolgerà l’Esposizione? E l’ex silo dei prodotti finiti di Arese, adiacente al Museo, sarà uno dei posteggi più grandi per i visitatori. Quale location migliore per fare quei grandi numeri che tutti auspicano?
Basta volerlo e tutto potrà cambiare subito (in meglio).
Pablo Rossi
Curatore dell’Archivio Giuseppe Eugenio Luraghi