Riceviamo da Anna e volentieri pubblichiamo:
Io c’ero. Quarant’anni fa il 68. Con il muro sartriano dei figli contro i padri, con l’immaginazione che si è illusa di salire al potere e con il “personale” che – chissà a chi è saltato in mente – doveva diventare politico. Con le battaglie per l’io diviso e contro l’uomo ad una dimensione. Essere dalla parte (giusta) contro le istituzioni, le scuole, le chiese, i partiti e le multinazionali del potere geopolitico. Convinti che le idee (del 68) fossero le leve per un mondo più giusto, e più rispettoso delle libertà di ciascuno. Ma il tempo è galantuomo, e ci ha fatto capire che i problemi complessi si affrontano con la consapevolezza delle conoscenze e dei saperi esperti (che allora, ideologicamente, venivano negati). Ci siamo mossi come tanti Fabrizio del Dongo, smarriti nella battaglia di Waterloo. Che cosa resta del ‘68? Poco, se non i revival e gli evergreen. Oggi, 2008, se riflettiamo su quegli anni, ci rendiamo conto che lo spirito del tempo è davvero opposto e che le idee che possono cambiare il mondo non originano dalla sfera del “personale” (cioè dalla sociologia della vita quotidiana, dalla società senza padre, dall’utero è mio e me lo gestisco io). Le idee che contano non sono frutto del pensiero debole, ma delle consapevolezze forti, quasi insopportabili. Si tratta di apparati progettuali che hanno come perimetro il mondo, temi in agenda che riguardano il “Commonwealth”, cioè le soluzioni globali che sarà indispensabile adottare per poter evitare – si spera – le catastrofi che si prefigurano per tutti, nel primo/secondo/terzo mondo. Il nostro io – nel 68 ipertrofico – diventa piccolo-piccolo a confronto con i mastodontici problemi che riguardano il destino del pianeta, e la salvezza presente e futura dei suoi abitanti: di tutti, perché tutti respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua, consumiamo lo stesso riso. Time ha appena pubblicato un dossier sulle idee che stanno cambiano il mondo. Che ci riguardano come cittadini, consumatori-utenti, donne e uomini che intraprendono, che fanno marketing e comunicazione, e inventano nuovi prodotti ricercando su di essi. In breve: crescono velocemente i paesi asiatici, spostando l’asse della competizione, la popolazione mondiale continua ad aumentare mentre le materie prime scarseggiano, alcuni paesi poveri stanno uscendo dall’indigenza, ma i più poveri non ce la fanno (10 milioni di bambini all’anno muoiono per mancanza di sostentamento). L’obiettivo del benessere per tutti si scontra drammaticamente con la sostenibilità ecologica del nostro pianeta, se tutti dovranno consumare quanto necessario per vivere. Ci sono idee/progetti per affrontare tutto questo? Sì, la risposta è lo sviluppo tecnologico sostenibile, con il rispetto dei valori ambientalistici. Sviluppo della tecnologia sostenibile significa capacità di bloccare il cambiamento climatico che tende a distruggere l’ecosistema e impegno per la denatalità della popolazione (non più di 8 miliardi di persone nel 2050). Il tutto attraverso la cooperazione tra nazioni e l’impegno dei settori non governativi. In questo quadro di temi globalistici drammaticamente incombenti, non possiamo dimenticare le tendenze che riguardano i modi e gli stili di vita di noi tutti, dall’Est all’Ovest, dal Nord al Sud del mondo.
A. Sta scomparendo il customer care. Le nuove tecnologie renderanno superflui i commessi, gli impiegati, le hostess, gli assistenti che aiutano nei momenti di difficoltà, negli acquisti e nei servizi. L’offerta sarà “disumana”, tutta improntata all’alfabetizzazione digitale, infischiandosene della customer satisfaction e del digital divide.
B. La ricerca scientifica sta scoprendo i nuovi veri fondamentali della nutrizione (umana e non) in logiche preventive e curative, per favorire l’efficienza fisica e mentale e l’antiaging. Stiamo assistendo (per ora a livello indiziario) al ribaltamento dell’idea di cibo che è comune a tutti noi(non solo agli italiani alla Carlin Petrini). Le nuove idee di nutrizione destrutturano e ristrutturano le componenti alimentari con l’obiettivo di una migliore qualità di vita, e per risolvere il problema della scarsezza delle risorse. Si tratta di una rivoluzione dagli esiti imprevedibili, in grado di ridisegnare i nostri stili di vita, in casa e fuori, con il cibo che comporterà altre ritualità e nuove convivialità.
C. Infine, il trend inarrestabile dei nuovi ruoli e dei nuovi segmenti di popolazione attiva. Le donne sempre meno disposte al ruolo casalingo,sempre più impegnate fuori casa, e sempre più manager (lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile sarà favorito dal microcredito, come predica la Grameen Bank di Muhammad Yunus). Inoltre, uomini e donne sempre più anziani in grado di agire in perfetta salute, alla ricerca della nuova definizione di sé e dei nuovi scopi di vita sino agli ottanta e oltre. Fermiamoci qui. Per quanto ci riguarda, quali ricadute tutto questo sta suscitando sui prodotti, servizi,comunicazioni rivolte ai cittadini-consumatori-utenti? Che cosa stanno progettando gli imprenditori, i servizi di marketing, gli R&D per intercettare il nuovo? Il mondo si interroga e si impegna nei saperi esperti per affrontare i problemi che incombono, che non sono più da risk society, ma da società del cambiamento radicale necessario (ideas that are changing the world). Le nazioni e le istituzioni sono costrette a trovare – faticosamente – degli accordi. E i grandi pensatoi nazionali e internazionali delle imprese cosa stanno progettando? I think tank stanno forse soffrendo di marketing miopia? Ma esistono i think tank? Nota positiva. Milano avrà l’Expo,e con l’Expo forse saremo tutti costretti a riflettere e – perché no – a produrre nuove idee sul tema “nutrire il pianeta oggi”.