Nel 1976 una legge sancisce la nascita “legale” delle radio private, che per sostenersi hanno l’esigenza di raccogliere pubblicità. Anni dopo arriverrano i podcast, per una radio al passo con i tempi
“Sono consentiti, previa autorizzazione statale e nei sensi di cui in motivazione, l’installazione e l’esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l’ambito locale”. E’ questo il cuore della legge 103 del 14 aprile 1975 voluta da un governo a trazione della Democrazia Cristiana presieduto dallo sfortunato onorevole Aldo Moro e tripartito nella sua composizione (DC, PCI e PS). Il pacchetto contiene norme a garanzia dell’emittenza pubblica (che passa dal Governo al Parlamento) ma di fatto viene ricordata per un termine che il giornalista Alberto Ronckey aveva mutuato dall’urbanistica: “lottizzazione” cioè la spartizione delle sfere d’influenza televisiva: Rai1 alla DC, Rai2 al PSI e Rai3 ai comunisti.
La parte finale del provvedimento mette anche mano a una materia incandescente come quella della radio: di fatto blinda le modulazioni di frequenza dal 87,50 al 100, appannaggio del servizio pubblico, e lascia il resto fino al 108 Megaertz alle emittenti locali private. Se, come è vero, la giurisprudenza norma ciò che già di fatto esiste nella società, le esperienze di radio pirata avevano già fatto i loro esordi anche in Italia, seguendo l’esempio di Radio Caroline di cui ho parlato nella puntata precedente. La Penisola si era riempita di radio amatoriali, propalatrici di una cultura antisistema a tutto tondo. La sentenza della Corte Costituzionale dell’anno successivo (la 202 del 28 luglio) liberalizza le trasmissioni via etere anche a natura commerciale e tiene a battesimo la nascita delle emittenti locali ora finalmente legali. Se ne contano quasi 2500. L‘Italia era divisa fra le realtà provinciali, che soddisfacevano l’esigenza di una programmazione leggera ancorché controcorrente con musica rock e pop, e quelle delle grandi città in cui il tempo della trasformazione politico-culturali batteva più veloce e si sentiva l’urgenza di raccontarlo da parte dai nuovi cronisti, reporter di cronache sanguinose che stavano cambiando il volto del Paese, passato attraverso gli anni di piombo del terrorismo e delle Brigate Rosse, e pronto al cambio di passo dei successivi anni Ottanta.
Radio private, pubblicità e podcast
L’esigenza della raccolta pubblicitaria in un primo momento aveva fatto gridare allo scandalo i puristi del servizio pubblico che vedevano nell’abbraccio mortale con il mercato la tomba della qualità: con il tempo questo si è rivelato un falso problema. L’offerta è così ampia che accontenta tutti i palati, dal “Volo del mattino” (lo storico programma di Fabio Volo su Radio Deejay) a “Matteo Caccia racconta” (di Radio 24 del gruppo Sole24ore), dalla Radio ad azionariato diffuso come Radio Popolare alla musica raffinata di Radio Monte Carlo.
Si è capito che dipendere dal mercato non è sempre una condanna: l’amletico dilemma se siano gli inserzionisti della pubblicità a condizionare il palinsesto o viceversa è ormai superato dalla realtà dei fatti. La domanda via etere, lungi dal diminuire, si è anzi diversificata non solo nei contenuti ma anche nella modalità di fruizione. Il fenomeno dei podcast nato una decina di anni fa e aumentato vertiginosamente durante il lockdown, ne è l’esempio: pillole (“pod” appunto) di contenti multimediali ascoltabili “a richiesta” su piattaforme digitali. Da quando, nel 2001 la Apple ha lanciato sul mercato l’Ipod ad oggi, questo modo di approfondire i propri interessi, dal true crime della serie “Veleno” (sulla piattaforma di Repubblica) del giornalista Paolo Trincia a “Muschio selvaggio” condotto da Fedez, riscuote un interesse sempre crescente. Nell’indagine “Digital Audio Survey 2023” della Ipsos si legge che piace al 77% dei ragazzi della generazione Z (dai 18 ai 24 anni), con 4.500 milioni di ascoltatori italiani al mese.
La radio sbarcata nel nuovo millennio sul digitale, condivide quindi l’affollato mondo dell’etere con altre forme di comunicazione, come i podcast, ma mantiene intatta la sua mission: informarci, intrattenerci e, in fondo, renderci sempre più cittadini digitali consapevoli, mentre noi ascoltatori orfani di Marconi ma figli di Jobs, sembriamo restarle fedeli nonostante tutto. Ma questa luna di miele durerà per sempre? E cosa succede fuori dall’Italia?