Pietro Antonio Locatelli
24 Caprices – Gabriel Tchalik: violino – Evidence Classics (76’20)
I 24 Capricci di Pietro Antonio Locatelli erano destinati ad essere le cadenze dei 12 Concerti dell’Arte del violino op.3, ma ci sembra, oggi – a tre secoli di distanza – che questi Concerti non fossero che una degna cornice a queste sfide – uniche nel loro genere, tanto sul piano della forma che del contenuto – alle capacità dei virtuosi dell’epoca, attraverso una selva di difficoltà che sono alla base della tecnica moderna del violino, sulla quale, un secolo più tardi, Nicolò Paganini avrebbe eretto il monumento della sua fama.
Questi Capricci (ai quali, peraltro, Locatelli aveva augurato, nell’edizione a stampa, una vita autonoma) non hanno nulla dell’esercizio fastidioso: il virtuosismo tecnico innovante è nutrito in ogni nota, in ogni arpeggio, in ogni passaggio, da un’immaginazione fertile e libera da schemi o maniere.
Gabriel Tchalik, giovane e valoroso violinista franco-russo, formato al gran rigore tecnico della scuola russa, è l’interprete in questo straordinario cd: il suo archetto respira, freme, s’impenna in un virtuosismo vertiginoso, da mozzare il fiato, ma che non perde mai il controllo di una giustezza d’espressione e di una musicalità che sembra farsi beffe delle difficoltà tecniche. Paganini non è lontano, con le sue estensioni verso il registro acuto, i trilli e gli arpeggi in progressione, le doppie corde, le combinazioni degli accordi più sorprendenti …
Contrariamente alla tendenza attuale che proclama l’indispensabile fedeltà allo strumento originale (in questo caso barocco), Gabriel Tchalik suona su un violino moderno del liutaio francese Philippe Mitéran. La scelta non è arbitraria: sembra che Locatelli suonasse su strumenti con una tastiera più lunga, che permette a tutti gli effetti acustici immaginati dal compositore-virtuoso di prender forma nella loro scatenata originalità.
sul sito di Gabriel Tchalik potrete ascoltarlo – e vederlo – interpretare 2 dei 24 Capricci di Pietro Antonio Locatelli.
Chopin
Concertos – Soo Park: pianoforte, Mathieu Dupouy: pianoforte Pleyel (1843) e pianino Pleyel (1839) – Label Hérisson (79’25)
Un disco sorprendente, e che può – lì per lì – lasciare perplessi. Avevo già ascoltato – qualche anno fa – un’interessante registrazione dei Concerti di Frédéric Chopin per la quale l’orchestra era rimpiazzata da un Quintetto d’archi, rivelando sottigliezze e sensibili sfumature che nell’orchestrazione – a dire il vero non tanto elaborata né raffinata – di Chopin si perdevano (è il caso di precisare che è in questa versione «cameristica» che i due Concerti venivano comunemente interpretati dall’autore).
Qui si è ulteriormente ridotto il ruolo, se non la funzione, dell’accompagnamento, ricorrendo ad un «pianino», che non è altro che un pianoforte di studio dell’epoca di Chopin, molto simile – in apparenza – ad un pianoforte verticale d’oggi, ma con una struttura interna e cordaggio differente (non ne avevo mai sentito parlare, ed è la prima volta che ne ascolto uno; mi si dice che il restauro degli strumenti originali sia opera molto complessa, dato che la struttura non sopporta le corde moderne …). Sembra che Chopin utilizzasse regolarmente questo strumento, sia per accompagnare i suoi allievi (a detta di uno di essi – Camille Dubois – Chopin era un prodigioso accompagnatore, sopratutto per i Concerti di Beethoven) che per farsi accompagnare nei suoi concerti privati (in pubblico si esibì molto raramente, e con orchestra tre volte sole, a Parigi, rifiutando poi di suonare a Londra con la Philarmonia che non gli concedeva che una sola prova).
La riduzione (piuttosto che trascrizione) è dello stesso Chopin, autografa per i tutti ; per i passaggi in cui il pianino accompagna il pianoforte non esistono – stranamente – che versioni manoscritte di amici o allievi (nessuna partitura venne pubblicata prima della morte del compositore). Come vi dicevo, ad un primo ascolto la sorpresa è per queste due sonorità dal timbro così prossimo, se non somigliante, che si sovrappongono rendendo problematico decifrare la linea melodica dello strumento solista; poi, nell’Adagio «una Romanza calma e melanconica, che deve dare l’impressione di un dolce sguardo volto verso un luogo evocatore di mille ricordi. Come un sogno primaverile, al chiaro di luna» (Chopin), ecco che la scena si apre ad un dialogo più evidente, più significativo, e la personalità dei due strumenti si precisa. L’orecchio – abituato ad altri ascolti di questa musica, forte ma cantante e voluttuosa al tempo stesso, deve adattarsi ad una nuova attenzione, deve decifrare più che subire. E qui tutto il virtuosismo della bravissima pianista coreana Soo Park assume, finalmente, il suo ruolo, schiudendoci nuovi orizzonti – meno sinfonici e più cameristici – di questi capolavori che pensavamo di ben conoscere e che adesso ci si rivelano in un’intensità più trattenuta, più intimistica. Mathieu Dupouy – che conoscevo come raffinato clavicembalista e clavicordista (in ben altri repertori, quindi) si alterna validamente con Soo Park nei ruoli di solista e accompagnatore; peccato che la registrazione, piuttosto piatta, impedisce di apprezzare pienamente le differenze delle sonorità e della dinamica dei due strumenti.