… e per Concerto di Viole
Early baroque music – Accademia strumentale italiana, Alberto Rasi: viola soprano – Divox Antiqua (61’17)
Quanta incantevole seduzione nelle sonorità distanti e sfumate e nell’«intrecciare le voci che [dà] vaghezza al conserto e gusto e diletto all’udito» di questo splendido cd dell’Accademia strumentale italiana diretta da Alberto Rasi (che è anche uno dei quattro solisti, alla viola soprano).
Il Concerto di viole, massima espressione della raffinata eleganza della musica concertata della fine del XVI e del XVII secolo, con le sue polifonie brumose, languide e morenti, che sembrano evaporare nella distanza di sogni ineffabili per poi riavvicinarsi in uno spasimo di sentimenti esacerbati. Musica legata nei suoi sviluppi ad un dilettantismo nutrito da frequentazioni letterarie, poetiche e pittoriche (un’immagine emblematica è il quartetto di viole raffigurato al centro delle Nozze di Cana di Paolo Veronese, dove tre dei suonatori sono identificabili con il pittore stesso, ed i suoi contemporanei Tiziano e Tintoretto).
Un programma che, malgrado le apparenze, non è basato su delle trascrizioni. L’ensemble interpreta gli originali tastieristici, anche se questi sono talvolta versioni elaborate da partiture vocali (madrigalistiche), come Anchor che col partire del fiammingo Cipriano de Rore, trascritto per l’organo dallo spagnolo Antonio de Cabeçon. Sino al corale, scritto anch’esso per l’organo da Johann Sebastian Bach, Liebster Jesu, wir sind hier BWV 731 la cui densa scrittura a quattro parti trova nella «pronuncia» duttile delle viole un’alternativa di singolare fascino sonoro rispetto alla matrice organistica (Marco Materassi).
L’Accademia strumentale italiana ed Alberto Rasi sono gli interpreti ideali, di duttile e sempre rinnovata eleganza, di queste sublimi armonie in un disco prezioso anche per la raffinata qualità della registrazione, che, troppo spesso, mortifica questi strumenti riducendo il loro suono ad un aspro gemito.
Ascoltate il Canto Fermo I di Giovanni Maria Trabaci nell’interpretazione dell’Accademia strumentale italiana.
Meditations
Oboe & Harp at the Opera – Céline Moinet: oboe, Sarah Christ: arpa – Harmonia Mundi (56’07)
Tutti i virtuosi di strumenti che «cantano» e che si arrogano – più o meno ragionevolmente – una somiglianza con la voce umana, si sono da sempre cimentati con le trascrizioni di musiche che all’origine non erano a loro destinate – di solito le più popolari e quasi tutte provenienti dal repertorio lirico. E questo con risultati più o meno eleganti, molto spesso giusto il pretesto per furiose acrobazie fuori posto, esibizioni da saltimbanco che con l’originale non hanno nulla a che fare.
Non è il caso di Céline Moinet, giovane e bionda oboista francese, che non spreca la sua arte e la sua sensibilità in virtuosismi superflui, anche se il suo strumento non esita davanti alle agilità più sorprendenti in questo disco dedicato ad adattamenti di musiche operistiche o scritte per l’oboe da compositori, come Gaetano Donizetti, che hanno dedicato all’oboe qualche loro rarissima evasione strumentale. Ascoltatela nella Melodia del pastore di Richard Wagner per corno inglese solo (il corno inglese, che non è un corno, e che si chiama inglese, poiché è anglé, cioè incurvato, è un cugino dell’oboe, dal suono più grave ed oscuro); Céline Moinet è austera ed espressiva, ma anche voluttuosa e seduttrice, come nella Méditation dalla Thaïs di Massenet (opera esotica e pressoché sconosciuta in Italia dell’autore di Manon) o nella minuscola Berceuse dall’opera Jocelyn di Benjamin Godard (un vero sconosciuto, questo).
Accompagnatrice ideale, all’arpa, Sarah Christ.
ascoltate le Meditations di Céline Moinet
John Cage
Sonatas & interludes – Cédric Pescia: pianoforte – æon (64’00)
Non parlo molto spesso – anzi, estremamente di rado – di musica contemporanea, in queste pagine, non perché non ami questa musica, ma perché ben di rado mi capita di incontrare dischi che, come questo, siano adatti – per la molteplicità dei loro significati – ad introdurre l’ascoltatore non particolarmente preparato al mondo non sempre amichevole e accogliente delle avanguardie musicali.
Il Cage di Cédric Pescia (un’avanguardia di più di sessant’anni, a dire il vero, ma pur sempre un’avanguardia…), può essere proposto all’orecchio più diffidente che non ne sarà turbato. Forse qualcuno di voi ricorda John Cage, che nel 1959 partecipò a Lascia o Raddoppia in qualità di esperto di funghi, vincendo la somma – allora eccezionale – di 5 milioni di lire. Durante lo spettacolo si esibì in un concerto chiamato “Water Walk”, sotto gli occhi sbigottiti di Mike Bongiorno e del pubblico italiano, in cui gli “strumenti” erano, tra gli altri, una vasca da bagno, un annaffiatoio, cinque radio, un pianoforte, dei cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore e un vaso di fiori.
Memorabile il dialogo che ci fu tra il presentatore e Cage quando questi si congedò, vittorioso:
M.B.: “Bravissimo, bravo bravo bravo bravo. Bravo bravissimo, bravo Cage. Beh, il signor Cage ci ha dimostrato indubbiamente che se ne intendeva di funghi… quindi non è stato solo un personaggio che è venuto su questo palcoscenico per fare delle esibizioni strambe di musica strambissima, quindi è veramente un personaggio preparato. Lo sapevo perché mi ricordo che ci aveva detto che abitava nei boschetti nelle vicinanze di New York e che tutti i giorni andava a fare passeggiate e raccogliere funghi”.
J.C.: “Un ringraziamento a… funghi, e alla Rai e a tutti genti d’Italia”.
M.B.: “A tutta la gente d’Italia. Bravo signor Cage arrivederci e buon viaggio, torna in America o resta qui?”.
J.C.: “Mia musica resta”.
M.B.: “Ah, lei va via e la sua musica resta qui, ma era meglio il contrario: che la sua musica andasse via e lei restasse qui”.
Le Sonate & interludi del compositore americano sono gradevoli e sorprendenti – fanno pensare un po’ a Eric Satie, per il loro minimalismo, la fantasia e la volatilità – e Cedric Pescia (che ho già ammirato nell’Arte della fuga di Johann Sebastian Bach) è un interprete straordinariamente poetico, libero e leggero, senza mai esser superficiale o compiacersi degli effetti del pianoforte «preparato» secondo le istruzioni di Cage, inserendo tra le corde del pianoforte svariati oggetti – come bulloni, pezzi di gomma, pezzi di plastica e noci, – di modo che i suoni generati non siano del tutto prevedibili (ma è l’ascolto di qualche Sonata o interludio che – molto meglio che una descrizione scritta – vi darà un’idea di questa musica, veramente nuova).
Medea
Eleni Karaindrou : musica per la tragedia di Euripide – Sokratis Sinopoulos, Haris Lambrakis, Nikos Ginos, Marie-Cécile Boulard … ECM (45’08)
… e, visto che ci sono, un’altro – anzi un’altra – contemporanea: la compositrice greca Eleni Karaindrou e la sua musica per Medea, la tragedia di Euripide. Eleni Karaindrou più che moderna è GIOVANE (pur essendo nata nel 1939, ed anche se la sua musica si ispira a forme arcaiche – greche, naturalmente -, pur senza invocare alcuna autorità filologica…). Ogni sua composizione – solitamente dedicata al teatro o al cinema – è una magica apertura su un panorama fantastico e misterioso, ma al tempo stesso accessibile e magnetizzante, come un sogno che si vorrebbe interminabile. Eleni Karaindrou tratta gli strumenti e le voci con una grande libertà e con istinto sicuro lungo sentieri che, più che dai suoi studi di archeologia e di etnomusicologia, sembrano tracciati dalla memoria di un passato remoto, ma inconscia e non soltanto culturale.
E questa musica per Medea – a prescindere da ogni conoscenza del testo – è una pura delizia, nutrita di colori e di evocazioni più mitologiche che drammatiche, uno degli aspetti più affascinanti delle composizioni della Karaindrou.
Ascoltate qui qualche estratto di Medea.