Vom Stylus phantasticus – zur freien Fantasie
Musica virtuosa per il clavicembalo attorno à J.S. Bach – Magdalena Hasibeder: clavicembalo 16′ di Matthias Kramer – Raumklang (75’50”)
Magdalena Hasibeder, giovane e valorosa clavicembalista e organista, ha scelto per questo suo primo, impegnativo, disco, un programma originale e complesso. Il termine Stylus phantasticus, inventato dai musicologi e teorici dell’epoca, definisce una maniera di comporre e di interpretare libera e indipendente da ogni convenzione, sopratutto per quanto riguarda i ritmi e le strutture imposte dalle suites di danze – a quei tempi uno dei modelli più frequentati dalla musica strumentale.
Esempio di questo Stile fantastico sono le Toccate, i Preludi e le Fantasie di J.S. Bach, qui illustrato da due delle sue composizioni più gloriose e rappresentative, l’audace Toccata in mi min. BWV 914 e la demoniaca Fantasia cromatica e Fuga BWV 903. Precedono le musiche di Buxtehude, Böhm e Weckman e seguono le Fantasie di due figli di Bach, il gentile, l’esemplare Carl Philipp Emanuel ed il problematico Wilhelm Friedmann, forse il preferito del padre e uno dei migliori organisti della sua epoca, che, tuttavia – e al contrario dei suoi fratelli – non riuscì mai a realizzare una carriera né vivere una vita all’altezza del suo talento.
Ma c’è qualcos’altro che rende questo cd singolare e affascinante. Accade – raramente, ma accade – che un’interpretazione – in concerto o registrata – ci riveli le insospettate qualità di uno strumento, e ci faccia ri-scoprire la bellezza di sonorità che pensavamo di conoscere. L’idea di questa registrazione è nata in Magdalena Hasibeder dall’entusiasmo per un clavicembalo straordinario, costruito da Matthias Kramer ispirandosi ad un modello amburghese della metà del XVIII secolo. La singolarità di questo strumento è nel registro di 16′, che all’epoca era prerogativa di pochi strumenti – nessuno sopravvissuto, ad eccezione di quello servito da modello. Si sa che Bach apprezzava questo registro, che permetteva sonorità opulente e maestose al virtuoso capace di dominarne la tecnica. Le corde, effettivamente, più lunghe e più grosse pongono non pochi problemi all’interprete così come ne hanno posti al valoroso «fattore» che ha dovuto inventare miracolose soluzioni statiche e dinamiche per realizzare questo strumento fuor dal comune.
ascoltate Vom Stylus phantasticus
J.S. Bach
L’Arte della fuga – Célimène Daudet, pianoforte – Arion (78′)
C’è una dimensione sacrale in questa Arte della fuga, che Célimène Daudet affronta con religiosità, ma senza sovraccaricarla di devote intenzioni, senza lasciarsi opprimere dal mito né frenare dalla problematica relativa all’eterna questione, destinata a mai essere risolta : per quale strumento Bach abbia scritto questo suo testamento musicale, evidentemente destinato a mostrare, abstractum pro concreto, tutto il potere dell’ars canonica, prescindendo quindi dall’esecuzione con questo o quello strumento o insieme di strumenti.
L’Arte della Fuga è un monumento, e come tale forte di tutto il suo contenuto astratto, ed è questo contenuto che l’interprete deve riuscire ad illuminare, a palesare, senza pretendere di essere l’esclusivo rivelatore di una verità che è e resterà molteplice.
Avevo conosciuto Célimène Daudet attraverso un suo primo cd – A Tribute to Bach – un altro atto di devozione dedicato a J.S. Bach attraverso i compositori – Mendelssohn, Liszt, Franck – che se ne sono ispirati, e le composizioni che, più o meno esplicitamente, gli hanno dedicato.
In questo primo tributo la pianista aveva dato prova di versatilità, frequentando stili diversi senza perder di vista la matrice comune. Ora, nell’Arte della fuga, è la sua maturità che le permette di attraversare serenamente questa ardua confrontazione senza lasciarsene intimidire ma senza pretendere di dare di questo capolavoro la versione definitiva.
A. Dvorak
Concerto per violoncello in La magg., Serenata per archi – Alexander Rudin, violoncello e direzione, Musica Viva – Fuga Libera (64’)
Ci sono dei compositori condannati dall’eccessiva popolarità di certune delle loro opere. Prendete Dvorak, per esempio: a cosa pensate? alla Sinfonia dal «Nuovo Mondo», certamente, e, forse, allo splendido Concerto per violoncello. Ma quale? quanti sanno che di concerti per violoncello Dvorak ne ha scritti due? Il famoso, in si minore op.104, uno dei più belli, intensi, drammatici per questo strumento, ma anche, trent’anni prima uno, in La maggiore, fratello minore deformato sacrificato (lo spartito originale – lunghissimo, oltre un’ora – era per violoncello e pianoforte, e i vari «riscopritori» – tardivi – se lo orchestrarono a modo loro), e, finalmente, dimenticato – forse dallo stesso Dvorak che non ne parlò mai, né ai suoi allievi né agli amici musicisti.
Ricordo, che, tanti anni fa – quando i dischi (microsolco …) russi erano da noi una rarità -, venni a sapere di un’edizione di Rostropovich; cercai, in tutti i modi, di procurarmela, ma fu impossibile, ed il Concerto n°1 rimase per me nel limbo dei miti. Ed ecco ora questa benvenuta sorpresa di cui bisogna esser grati a Alexander Rudin, giovane violoncellista e direttore d’orchestra moscovita, che ha scelto la limpida e discreta orchestrazione, rielaborazione – e riduzione – di Jarmil Burghauser, musicologo céco, specialista di Dvorak, e ce ne da un’interpretazione devota e appassionata. Completa il cd, languida e sommessa, la Serenata per archi, nelle belle sonorità dell’ensemble – moscovita anch’esso – Musica Viva, che Rudin dirige dal 1988.