Chopin
24 Préludes Opus 28 – Maxence Pilchen: pianoforte – Paraty (34’40’’)
«La musica, dunque, ha questo in comune con la poesia e l’amore, e persino con il dovere: non è fatta perché se ne parli, ma perché si faccia; non è fatta per essere detta, ma per essere messa in opera. Non è stata inventata perché si parli di musica. Il bene stesso non viene definito così? Il bene va fatto, e non detto o conosciuto» scriveva Vladimir Jankélévitch in La musica e l’ineffabile. E questo disco – il primo di Maxence Pilchen, giovane pianista franco-belga – è l’esempio più luminoso delle proposizioni del filosofo francese.
Allora dovrei star zitto – direte voi – e limitarmi a suggerirvi calorosamente, a condividere con voi, questa luminosa e sensibile interpretazione di uno dei sin troppo registrati capolavori di Chopin, e sovente come puro esercizio di virtuosismo. È vero, ma non posso rinunciare a condividere anche tutto l’entusiasmo per questi Preludi riscoperti o, piuttosto, ritrovati con tutto il turbamento dei primi ascolti, ognuno con il suo carattere e la sua identità, senza nessuna esaltazione fuori luogo, cioè senza il bisogno di sovraccaricarli di una mess’in scena che evochi il tumultuoso inverno a Majorca, con le sue lugubri ed angosciose atmosfere abitate da quella dolorosa meditazione che è alle radici da queste brevissime composizioni, quelle che meglio, forse, nella loro unità e varietà esprimono l’anima ed i più intimi pensieri di Chopin.
Maxence Pilchen ha preparato la registrazione di questo suo primo cd utilizzando pianoforti dell’epoca del compositore. «Devo dire che questo lungo lavoro mi ha rivelato molte cose. Ho passato molto tempo cercando di assimilare la raffinatezza delle sonorità di questi strumenti, e mano a mano qualcosa di nuovo mi si è rivelato. Su questi pianoforti d’epoca ogni minimo dettaglio è percettibile, poiché tutto è di una gran precisione. Mi ci è voluto del tempo per poter conoscere e controllare ogni loro possibilità , e questo è stato fondamentale per la comprensione della musica di Chopin. Non è facile da spiegare, ma il semplice rispetto del testo su queste tastiere rivela le inimmaginabili dimensioni di un assoluto romanticismo, e, qualche volta, la rara rivelazione di un universo fantastico. Ci si sente vicini a quel che Chopin ha potuto sentire, e questo aiuta a comprendere quel che ha voluto dire.»
Lo strumento antico, quindi, come la luce delle candele per scoprire una nuova dimensione nei ritratti di Ingres o Delacroix. Poi Maxence Pilchen è tornato al pianoforte moderno – «che è il mio strumento, quello sul quale sono abituato ad esprimermi…» -, ma illuminando questi capolavori della luce di una più profonda conoscenza, che non può sfuggire all’ascoltatore appassionato, anche se ignaro delle dispute tra i partigiani dello strumento originale e coloro che pensano che essi son fatti per le vetrine dei musei.
ascoltate gli estratti dei Preludi
Caldara
In dolce amore – Robin Johannsen: soprano, Academia Montis Regalis diretta da Alessandro De Marchi – Deutsche Harmonia Mundi (72’54’’)
Nel 1837 il famosissimo e autorevole musicologo e storico della musica François-Joseph Fétis, nella sua monumentale e autorevole Biografia Universale dei Musicisti scriveva: «Mancò sempre alla musica di Caldara il carattere vitale che non può essere che il prodotto del genio. Caldara era un abile imitatore, ma non sapeva inventare …». Dopo aver trascinato per oltre un secolo e mezzo questa condanna a non essere considerato altro che il pentolone (evocato dal nome …) in cui sapientemente ma sterilmente si ricucina sempre la stessa zuppa, il compositore veneziano, uno dei più fertili di tutti i tempi – 80 opere, scritte tra 19 e 66 anni, passando dallo stile veneziano a quello dell’opera napoletana, 300 cantate, messe, oratori, sonate, per un totale, sembra di oltre 3.000 composizioni – è stato finalmente riconsiderato nel suo giusto valore. Non un rivoluzionario, certo, ma un musicista che ha prodotto una monumentale sintesi barocca della sua carriera vagabonda, Venezia, Bologna, Roma, Firenze, Madrid sino a Vienna ove, Kapellmeister (Maestro di cappella) dell’Imperatore, passò gli ultimi vent’anni della sua vita, influenzando profondamente la Scuola di Mannheim e Haydn, ed ammirato da Beethoven.
Da sei opere scritte, appunto, per il compleanno dell’Imperatore o dell’Imperatrice, o per il carnevale di Vienna, provengono le arie – alcune su testi di Metastasio – che formano la base del programma di questo cd dell’Academia Montis Regalis, l’ensemble che oggi meglio rappresenta la musica barocca in Italia e che, in questi giorni, è stato uno dei protagonisti del Festival Musica e Natura in Bauges. Un programma che, pur non pretendendo fornire un’immagine esaustiva della formidabile produzione di Antonio Caldara, illustra in maniera esemplare uno degli aspetti più importanti ed impressionanti della sua produzione, ricca di spettacolari contrasti tra situazioni drammatiche e sentimenti esemplari, eroiche proclamazioni ed atmosfere arcadiche (i cinguettanti flauti a becco nella commuovente siciliana di Sabina «Numi, se giusti siete» dall’Adriano in Siria).
Alternate alle opere del periodo viennese, tre Cantate del periodo romano, quando Caldara era Maestro di cappella del Principe Ruspoli (qualche anno prima Handel aveva scritto analoghe composizioni per le conversazioni de Principe). Lo stile è leggero e galante, e se Arcangelo Corelli non è lontano – sopratutto nelle Sinfonie e nei passaggi strumentali -, Caldara è tutt’altro che un imitatore, ed Alessandro De Marchi mette ben in evidenza le sottili differenze. Una divertente curiosità: la garbata ironia della cantata «Credea Niso» – citata, se non mi sbaglio, nei Viceré (di Federico de Roberto – a meno che non si tratti del Gattopardo …) – con l’autoritaria ninfa Irene che punisce e si fa beffe del suo frivolo amante: Una donna ch’abbia l’arte/di cavar dalle pupille/quattro stille a tempo e loco/quanto foco accender sa./Ché un amante quando è cotto/non resiste a un tal pilotto/perché il cor di pasta tenera/in un subito gli fa.
Il giovane e promettente soprano statunitense Robin Johannsen illumina con la splendente versatilità della sua voce le molteplici virtù di questo prolifico e dimenticato musicista, ed Alessandro De Marchi conferma la sua autorevole competenza e la sua capacità a cogliere e mettere in evidenza le raffinatezze in un repertorio che troppo sovente viene appiattito dalla banalità di interpretazioni che giustificano la drastica severità del Fétis.
ascoltate In dolce amore dall’opera Scipione l’africano, l’aria che dà il titolo al cd
Alvorada
Music by de Falla, Granados, Piazzolla, Villa-Lobos … – Ophélie Gaillard: violoncello – Aparté (58’10 + 52’41)
Ho già parlato, e sempre con entusiasmo, di Ophélie Gaillard, una delle più interessanti violoncelliste della sua generazione, intensa e versatile, a suo agio nel repertorio consacrato dello strumento, da Johann Sebastian Bach a Johannes Brahms, con una predilezione per Luigi Boccherini, a cui ha data nuova vita in luminose registrazioni, come solista e direttrice dell’ensemble Pulcinella, da lei creato.
Ma Ophélie ama anche divertirsi – e divertire i suoi fans – evadendo da questo repertorio e percorrendo, in compagnia di musicisti amici, altrettanto virtuosi, sentieri non particolarmente dedicati alla circolazione del violoncello (anche se, tanti anni fa, Pablo Casals ce ne aveva tracciato qualche rapido abbozzo, spesso in forma di bis). È il caso di questo doppio cd, Alvorada (Aurora, in portoghese, dal titolo di una canzone di Cachaça & Cartola, qui interpretata dal leggendario Toquinho) che partendo da brani classici d’ispirazione popolare – di Manuel de Falla o Enrique Granados – ci trasporta sino al Sud America – Argentina, Brasile e Cuba – con una Bachiana Brasileira di Villa-Lobos, ma anche con il Gran Tango di Astor Piazzolla e tante canzoni in arrangiamenti nei quali il violoncello dialoga con la voce, la chitarra, il bandoneon, la tromba …
ascoltate gli estratti di Alvorada