Tra gli strumenti musicali che, almeno alla loro nascita, non erano destinati al repertorio classico, ma che ci sono arrivati grazie a qualche eccezionale virtuoso, il mio preferito è certo la fisarmonica.
Grazie al tedesco Stefan Hussong ed alle sue eccezionali interpretazioni della musica di Johann Sebastian Bach – in particolar modo le Variazioni Goldberg – ed alla francese Elodie Soulard con il suo cd, di cui vi ho parlato qualche mese fa, dedicato a suggestive trascrizioni, da Bach a Stravinsky passando per Schubert, Liszt e Grieg.
Scopro oggi – e vi propongo di ascoltare – Aleksandr Hrustevich, un giovanissimo ukraino ed il suo bayan, la fisarmonica russa, cromatica a bottoni (invece che tasti), che con il suo timbro straordinariamente ricco ed i suoi bassi potenti è particolarmente adatta alle esecuzioni di musica classica. La sua interpretazione, in concerto a Vilnius, in Lituania, delle Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi, è sorprendente per l’evocazione delle ricche sonorità e della dinamica dell’orchestra d’archi che dialoga in un sorprendente scambio di agilità con lo strumento solista, il tutto nel vertiginoso turbinare delle dieci virtuosissime dita contraddette dall’espressione rilassata e serena del radioso interprete.
Su questa pagina potrete trovare (in inglese) molte informazioni su Aleksandr Hrustevich ed altri video, con musiche soliste o accompagnate dall’orchestra.
Vertigo
Rameau, Royer – Jean Rondeau: clavicembalo – Erato (72’23)
Due mesi or sono vi annunciavo, attraverso un suggestivo video clip, questo splendido cd ed un giovane solista che, al di là di tutti i meritati riconoscimenti mediatici, si sta affermando come uno dei più interessanti clavicembalisti della giovanissima generazione, spesso associato in concerto a protagonisti della musica barocca per questo strumento come Benjamin Alard. Il look di Jean Rondeau è quello di un rockettaro, giacchetta jeans e ciuffo al vento, e spero che questo gioco di provocazione sia un suo personale, barocco, divertimento e non il frutto delle elucubrazioni di un consigliere in immagine, comunque esso illustra a perfezione la libertà e la spontaneità delle sue vertiginose interpretazioni.
Ascolto per la prima volta la musica di Giuseppe Nicola Pancrazio Royer. La fama di questo compositore – nato a Torino poi naturalizzato francese -, per quanto favorito a corte (egli si occupò dell’educazione musicale degli enfants de France, i figli del Re) fu offuscata dalla gloria dei suoi contemporanei, Jean-Philippe Rameau e François Couperin, e la sua musica per clavicembalo, per quanto animata da un fascino immediato e coinvolgente, soffrì per la scrittura decadente e gli eccessi di abbellimenti ad effetto. Coraggiosamente Jean Rondeau lo associa, nel programma di questo disco, al suo più pericoloso rivale, Rameau, non esitando nel confronto a scatenare tutta la dinamica e le ricche sonorità del suo splendido strumento – lo stesso sul quale Scott Ross ha registrato la memorabile integrale delle Sonate di Scarlatti. Jean Rondeau è raffinato e riflessivo nel percorrere i meandri di queste affascinanti musiche, illuminandole in un confronto che non è mai riduttivo, e delle composizioni di Royer mette in evidenza la ricchezza dell’invenzione più che lo sfrenato smalto esibizionistico.
XVIII-21 Le Baroque Nomade
Melothesia Æthiopica – Cyrille Gerstenhaber: soprano, Gizachew Goshu: voce, Jean Christophe Frisch: direzione – Evidence (52’30)
Un imprevedibile cocktail di sonorità e di melodie diverse, tutte, comunque legate dai tracciati degli avventurosi itinerari dei missionari gesuiti dall’Europa all’Africa orientale. Organi e viole da gamba trapiantati in Abissinia – come lo furono i vetri di Murano sino alle sorgenti del Nilo bleu e la musica Amarica dagli altipiani d’Abissinia alla Biblioteca vaticana. Da vent’anni – e attraverso quasi altrettanti cd – Jean Christophe Frisch svolge un appassionato lavoro di ricerca sull’influenza della musica barocca europea sul repertorio musicale tradizionale dei paesi più diversi, dall’Afganistan al Paraguay ed alla Cina.
Questa volta la vocalità del seicentesco romano Orazio Michi dell’Arpa ed una Tarantella sinuosa e scatenata si mescolano al canto, all’improvvisazione ed alla danza Etiopica in un programma sorprendente e affascinante interpretato dai virtuosi dell’ensemble XVIII-21 Le Baroque Nomade integrato dalla bella voce di Gizachew Goshu accompagnato da strumenti e percussioni del suo tormentato paese.
ps : La melothesia è una disciplina – nata nella Grecia classica, Ippocrate ne fu l’iniziatore – che investiga i legami intercorrenti tra i segni dello Zodiaco, i pianeti, il Sole, la Luna, ed il corpo umano.
Les Musiciens et la Grande Guerre XVII
Vers la vie nouvelle – Anne de Fornel: pianoforte – Hortus (63’02)
Les Musiciens et la Grande Guerre XVIII
Ombres et Lumières – Ensemble Calliopée – Hortus (72’32)
Ci sono integrali che si annunciano in fanfara, partono in quarta, poi perdono fiato dopo il secondo o terzo disco (ogni riferimento ai grandiosi programmi del nostro glorioso Giardino Armonico è puramente causale). Ed altre che, come modesti ma miracolosi maratoneti, tracciano regolarmente il loro percorso, sovente complesso poiché implica una notevole varietà di repertorio e di interpreti. È il caso della collezione dedicata da Hortus a i musicisti che hanno operato negli anni della Prima Guerra Mondiale.
Ne ho parlato a lungo due anni or sono, al suo inizio, poi brevemente, a più riprese, per le successive edizioni, ed ecco che – in anticipo sul programma – siamo a quasi due terzi del percorso, con due nuovi, interessanti cd. Nel primo la pianista Anne de Fornel su un Pleyel del 1892, presenta le interessanti composizioni di musicisti che, anche se alcuni – come George Enesco, Cécile Chaminade o Nadia Boulanger – non hanno partecipato direttamente al conflitto, ne hanno condiviso dubbi, scoraggiamenti e angosce (molto interessanti le Quattro Danze di Jean Cras – eroico ufficiale di marina, geniale inventore del regolo Cras, uno strumento di navigazione ancor oggi in uso, e affascinante compositore che meriterebbe di esser più sovente eseguito …).
Protagonista del secondo cd è l’Ensemble Calliopée (quartetto d’archi, pianoforte e arpa) che dal 2011 è in residenza al Museo della Grande Guerra del Pais de Meaux. Le opere presentate sono, questa volta, più direttamente collegate ai bellici eventi: il Poème di Lucien Durosoir, fantaccino e barelliere al fronte nei momenti più tragici del conflitto, il Quintetto dedicato da Louis Vierne al figlio morto in guerra e la Musique pour sept instruments à cordes di Rudi Stephan, compositore tedesco, anche lui scomparso, giovanissimo, sul fronte di Galizia .
Les Musiciens et la Grande Guerre
alla breve
Théodore Gouvy – Benjamin Godard
Trio n.4 en Fa majeur op.22, Trio en sol mineur op.32 – Trio Werther – LFM (67’55)
Berlioz scriveva: «Che un musicista dell’importanza di Monsieur Gouvy sia ancora così poco conosciuto a Parigi mentre tanti moscerini importunano il pubblico con il loro ostinato ronzio, c’è da che sconcertare ed indignare chi ancora crede alla ragionevolezza ed alla giustizia dei nostri costumi musicali». Largamente ignorato sino alla fine del XX secolo ed alla riscoperta del suo Requiem, Théodore Gouvy riemerge dall’oblio con le sue interessantissime composizioni cameristiche, come questo Trio n.4 en Fa majeur op.22, che il Trio Werther associa al Trio en sol mineur op.32 di Benjamin Godard – altro gran dimenticato della seconda metà dell’800. Un romanticismo sostenuto e pieno di germanica dignità che i Werther interpretano con appassionata eleganza sobrio virtuosismo.
Théodore Gouvy & Benjamin Godard: Trios
American Classics
Barber, Bernstein, Copland, Delerue, Ives – Eric Aubier: tromba, Philippe Berrod, Philippe Cuper: clarinetto, Christelle Chaizy: corno inglese, Nicolas Prost: sassofono, Laurent Wagschal: pianoforte – Indésens (74’28)
Iniziando con la gloriosa, haendeliana, Notte americana di Georges Delerue – compositore francese, celeberrimo autore di musiche di film stabilitosi, di conseguenza, a Los Angeles – questo originale cd traccia un rapido panorama dei «classici» statunitensi: il famosissimo Adagio di Samuel Barber naturalmente, poi – inevitabilmente – Leonard Bernstein, Aaron Copland e Charles Ives. Per questi tre rappresentanti della giovane musica del Nuovo Continente, Indésens – che ha fatto degli strumenti a fiato la specialità del suo catalogo – ha scelto composizioni che implicano, appunto, il clarinetto, la tromba, il corno inglese e il sassofono degli eccezionali virtuosi su-elencati, oltre al pianoforte di Laurent Wagschal. Un disco piacevolissimo per un programma non banale, anche se la musica è quanto di più americano, technicolor e cinemascope si possa immaginare.