Con un salto vertiginoso – possibile solo virtualmente perché di salti vertiginosi reali, con le nostre gambe, abbiamo solo il ricordo – dai centenari passo ai piccoli, a noi piccoli. Penso che non sia tempo perso quello di renderci conto del fatto che la nostra vita di ora, appunto quella fase di vita che chiamiamo vecchiaia, è fatta anche di quello che siamo stati prima, anche se possiamo percepirla come una fase che ci consegna sentimenti e compiti nuovi. Concentrarci su quello che siamo stati può aiutarci ad avere una visione più completa di noi stessi.
E partirei da un bellissimo cartone animato, uscito due anni fa: Le stagioni di Louise di J.François Laguionie. Da vedere non solo per ciò che racconta, ma anche per la poeticità e la perfezione del disegno. Il racconto è questo: in una mattina di fine settembre, una signora di 70 anni perde, perché il suo orologio si ferma, l’ultimo treno per tornare in città dal paesino di vacanze sul mare in Normandia. Nel paese sono partiti tutti, è rimasta sola. Improvvisamente arriva una tempesta che spazza via tutto, lei si barrica in casa, la cantina viene allagata, sembra che non ci sia modo di sopravvivere, vaga per le strade deserte e capisce che deve far conto solo su se stessa. Si trasferisce sulla spiaggia, costruisce una baracca, rompe con un sasso la vetrina di un supermercato e si procura così il necessario (le pentole, le coperte, il cibo) e poi fa lunghe passeggiate insieme con un vecchio cane. E riscoprendo il paesaggio della sua infanzia, ritorna anche all’infanzia, alla sua infanzia selvaggia, alle sue esplorazioni, al centro di sé, riscopre le sue capacità di resistenza. La vita che ha avuto dopo l’infanzia (il marito, i figli, la casa) diventa un intermezzo in fondo senza importanza che non ricorda nemmeno molto. Importante è riscoprire se stessa bambina. E la propria forza vitale, il coraggio. Il ricordo di “fare fronte”, di potercela fare, di non avere paura incide prepotentemente sulla situazione dell’oggi. E la risolve.
Sull’importanza del ricordo ci possono essere posizioni diverse, persino nella stessa persona. Come afferma Miguel Benasayag, “si esiste nella misura in cui si accetta l’esilio dalle fasi precedenti”, ma dice anche: “è incredibile che non si possa percepire l’immensa gioia di aver vissuto ciò che si è vissuto”. Dunque, siamo in un certo senso in bilico tra dimenticare/alleggerire il passato per poter pensare a un altro pezzo di vita e il bisogno di ricordarlo, di animare la memoria, di fare un viaggio nel paesaggio della memoria per mettere un ponte.
Potremmo individuare due fuochi di attenzione: il senso della memoria (vecchi diari, vecchi scritti, vecchie foto) e il senso del presente, di come il passato incide sul presente: ciò che viene salvaguardato dell’infanzia e della vita adulta. Oppure quello che si pensa perso e persino il piacere di averlo perso. Massimo Recalcati si sofferma sui tre tipi di memoria: il primo tipo è la memoria come contenitore e come contenuto: la memoria archivio; poi la memoria spettrale, la memoria del trauma: quello che è accaduto nel passato non cessa di accadere; e infine la memoria- come attributo del futuro: sapersi gettare in un movimento proteso in avanti. Forse è su questo tipo di memoria che possiamo concentrarci. E anche sul rapporto tra memoria individuale come gioco delle corrispondenze tra passato e presente e memoria collettiva perchè non potremmo mai comprendere noi stessi se non collocandoci nell’ambiente in cui siamo cresciuti. Memoria dunque dell’infanzia e memoria dalla vita adulta . Che cosa abbiamo lasciato e che cosa ci portiamo dietro, i desideri e i vissuti dell’infanzia e il desiderio/disegno che ha orientato la nostra vita adulta. Non per alimentare un covo di rimpianti, ma per nutrirci dei ricordi buoni e per aver cura di noi, come dice una donna durante un incontro “quando la bambina abbandonata compare anche oggi, cerco di accoglierla, consolarla, di prendermi cura di lei”.