È strano, ma anche molto interessante vedere come si possa continuare a scrivere di olocausto, seconda guerra mondiale ed efferatezza del potere lasciando ogni volta il lettore sorpreso, facendogli scoprire qualcosa che non conosceva, offrendogli spunti di riflessione interessanti e fecondi. “Le api d’inverno” di Norbert Scheuer è un libro di questo genere. Un diario degli ultimi due anni di guerra nella Germania rurale, al confine con il Belgio. L’apiculture Egidius, studioso di api, ma anche della storia della sua famiglia, è stato insegnante e ora, malato di epilessia, trascorre molto tempo in biblioteca. Racconta con poche parole in modo chiaro e concreto la vita apparentemente quieta e drammatica durante il regime nazista, terrificante per i sudditi e non solo.
Il nazismo, si sa, non tollera le imperfezioni, e i malati mentali o coloro che hanno malattie incurabili dovrebbero essere eliminatii, parassiti che non danno alcun contributo alla società e all’estensione del dominio sul mondo. Egidiius è in grado di tenere sotto controllo la sua malattia grazie ai farmaci, che però deve pagare molto, anzi sempre di più, man mano che la sconfitta si avvicina e la menzogna su cui si è basato il regime mostra la corda.
Egidius continua la tradizione di apicoltura della sua famiglia e, oltre alle arnie vicino a casa, ha dei “pascoli” in altre zone della regione, molto vicini al confine con il Belgio. Così ci racconta che ogni tanto dentro le arnie che trasporta sul carro ci sono dei fuggitivi: il loro trasferimento al confine è organizzato da qualcuno che Egidius non conosce, ma che lo paga, e questo gli permette di comprare le medicine che gli assicurano una vita dignitosa.
E qui c’è una prima scoperta interessante: il potere, quello assoluto soprattutto, è stupido e cieco. Egidius “gliela fa sotto il naso”. Quando gli portano i fuggitivi li nasconde nelle gallerie scavate nelle miniere abbandonate. C’è un passaggio proprio dietro il suo giardino. E quando si mette in viaggio, i fuggitivi stanno dentro delle arnie. Indistinguibili dalle altre se non per le dimensioni. In un bigodino che hanno addosso come una spilla c’è una regina, per cui se durante un controllo l’arnia viene aperta, tutte le api si precipitano in difesa della regina e i coraggiosissimi soldati del Reich o le SS si ritraggono terrorizzati di fronte allo sciame in fermento.
Vi sto un po’ raccontando la trama, ma in questo caso è necessario; e del resto la trovate nella scheda dell’editore. D’altro canto dovevo arrivare alla seconda scoperta, anch’essa molto interessante. A fare il bene non sono solo i santi e gli eroi. Sono anche e soprattutto le persone normali, quelle che hanno limiti e difetti, che spesso non sono per nulla coraggiose. Ma che in alcuni casi, quando si deve decidere da che parte stare e non c’è possibilità di stare nel mezzo o di mediare, si mettono dalla parte del bene, delle vittime, del rischio. Sono quelli che Gabriele Nissim mette nel Giardino dei Giusti, perché hanno salvato una vita umana. Sono quelli che Nissim racconta nei suoi libri, “La bontà insensata” e “Il bene possibile”, ricordando e ripetendo che sono persone come noi, e che è importante che restino nella memoria come persone come noi, non irraggiungibili, non mitizzate, semplici esempi da imitare concretamente in caso di necessità.
Egidius, è vero, il trasporto dei fuggitivi lo fa perché ha bisogno di soldi. Ma potrebbe procurarsi i soldi in altro modo. Anche se la sua condizione fisica lo rende inviso al regime, potrebbe infilarsi nelle pieghe della corruzione che sono comunque parecchie e parecchio larghe, ci starebbe anche lui senza problemi. E invece si procura il denaro salvando delle persone. Ha fatto la sua scelta, si è schierato, corre dei rischi. Ha paura e teme di non farcela. Si chiede cosa succederebbe se lo scoprissero, se lo interrogassero, e si consola pensando che non sa nulla dell’organizzazione. Il bene è banale, ma è più forte del male. Il bene non ha bisogno di essere praticato estensivamente, bastano pochi interpreti del benem, attenti, dediti, precisi. Come Egidius e come molti altri.
E infine c’è il modo in cui Egidius e l’organizzazione dei fuggitivi si tengono in contatto. Attraverso i libri, in una biblioteca. Libri antichi scambiati per vecchi, che nessuno consulta e che sono stati portati via da uno scantinato per fare posto a un rifugio antiaereo. Perché i regimi totalitari sono ignoranti e disprezzano la cultura, ritenendola inutile. Forza invece di intelligenza, forza spacciata per intelligenza. A nessuno viene in mente che una biblioteca possa essere un luogo non di incontri sovversivi, ma di passaggio di consegne. Perché studiare non serve, i libri sono roba vecchia e polverosa, evviva una sana ignoranza nutrita di esercizi all’aria aperta, messa in scena dei muscoli e carattere temprato nelle gare e nelle competizioni, dicono loro.
I regimi totalitari hanno dentro di sé i semi della loro distruzione. E certo si potrebbe pensare che non è una grande consolazione, visto quanto distruggono prima di arrivare alla loro fine. Ma saperlo, e anche vederlo con il nitore e la limpidezza con cui emergono nel racconto di Scheuer, può renderci ancora più consapevoli della preziosità delle nostre fragili democrazie, e di come sia importante che tutti ci si impegni per mantenerle e migliorarle. Intanto, è sempre meraviglioso tutto quello che si può trovare nei libri.
“Le api d’inverno” di Norbert Scheuer
ED. Neri Pozza
pag. 256 – euro 17
Germania, 1944. Egidius Arimond vive in una cittadina di minatori sulle sponde del fiume Urft, una regione con una vegetazione lussureggiante che le api sembrano amare molto, poiché ci vivono da milioni di anni. Ex insegnante, Egidius si guadagna da vivere come i suoi antenati prima di lui: alleva api e vende i prodotti del miele – candele di cera, vino e liquori – ai piccoli negozi della zona o nei mercati. Ogni mattina si alza alle cinque, beve un caffè d’orzo e poi si dedica alle arnie. Nel pomeriggio scende in città e si reca in biblioteca, dove controlla se è stato lasciato qualche messaggio per lui. Un’esistenza in apparenza monotona, segnata da rigide abitudini. In realtà, un’esistenza esposta al piú grave dei pericoli. Egidius Arimond ha, infatti, un’attività segreta che, se scoperta, nella Germania del 1944, potrebbe costargli la vita: costruisce cassette cinte da arnie con colonie d’api particolarmente aggressive e, con quelle, organizza il trasporto di fuggitivi ebrei al confine con il Belgio. Per questo ritira ogni giorno in biblioteca comunicazioni in codice, infilate in volumi rilegati in cuoio che nessuno, per sua fortuna, si prende mai la briga di sfogliare.
Non è soltanto per immacolata virtú che Egidius svolge la sua rischiosa attività: per ogni ebreo trasportato oltreconfine prende duecento marchi, che gli servono per comprare i farmaci antiepilettici di cui ha bisogno. Da quando c’è la guerra i farmaci sono molto difficili da reperire, soprattutto per uno come lui, un infermo e, perciò, un uomo considerato privo di valore, un inutile parassita nella follia che travolge la sua Nazione in guerra. Romanzo che ha raccolto l’unanime consenso di pubblico e di critica al suo apparire in Germania, “Le api d’inverno2 è la struggente storia di un uomo che, lottando contro la sua malattia, lotta contro il morbo del nazismo che ha infettato la sua terra, seminando odio e distruzione.