Dalla vetrina del suo negozio, Klara osserva trepidante il “fuori e le meraviglie che contiene: il disegno del Sole sulle cose e l’alto Palazzo RPO dietro cui ogni sera lo vede sparire, i passanti tutti diversi, Mendicante e il suo cane, i bambini che la guardano dal vetro, con le loro allegrie e le loro tristezze. Ogni cosa la affascina, tutto la sorprende. La sua voce, cosí ingenua ed empatica, schiva e curiosa quanto quella di un animale da compagnia, appartiene in realtà a un robot umanoide di generazione B2 ad alimentazione solare: Klara è un modello piuttosto sofisticato di Amico Artificiale, in attesa, come la sua amica Rosa e il suo amico Rex, e tutti gli altri AA del negozio, del piccolo umano che la sceglierà. A sceglierla è la quattordicenne Josie. E fin dalla sua prima visita al negozio, nonostante l’ammonimento di Direttrice sulla volubilità dei bambini, Klara sente di appartenerle, e per sempre. Josie è una ragazzina vivace e sensibile, ma afflitta da un male oscuro che minaccia di compromettere le sue prospettive future. Per lei Klara è pronta ad affrontare la brusca autorevolezza di una madre cupa e indecifrabile, l’ostilità spiccia di Domestica Melania e gli scherzi cattivi dei compagni speciali che frequentano con Josie gli ‘incontri di interazione’, e che mal sopportano i diversi. Quando la malattia di Josie colpisce piú duramente, Klara sa che cosa fare: deve trovare colui da cui ogni nutrimento discende e intercedere per la sua protetta, anche a costo di qualche sacrificio; deve impegnarcisi anima e corpo, come se anima e corpo avesse. Nel primo romanzo, “Klara e il sole”, dopo il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura, Ishiguro torna ai temi esplorati in “Non lasciarmi” per offrirci una nuova meditazione indimenticabile e struggente sul valore dell’amore e del sacrificio e sulla complessità del cuore umano, composito e sfaccettato come i riquadri in cui si fraziona la vista dell’androide Klara.
In un certo senso, si potrebbe dire che “Klara e il sole” è un romanzo di fantascienza. Oppure un distopico. Se non fosse che le categorie sono sempre limitanti e soffocanti, e queste due ancora di più. Scommetto che in molti decidereste di non leggerlo, se ve lo classificassi così. Eppure il mondo che Ishiguro mette in scena non appartiene al presente e neppure al passato. Assomiglia molto al nostro, i paesaggi, le parole, i cibi, le relazioni. Non viene dopo una catastrofe nucleare o ambientale, o dopo una presa del potere da parte di forze aliene.
Il mondo che Ishiguro mette in scena è un’evoluzione, o un’involuzione, o una deformazione, del nostro mondo. Una delle tante possibili. Possibili davvero, ci si dice a libro finito. Perché per capire davvero di che cosa si stia parlando, il libro va letto tutto.
Non che vi avrei raccontato la trama, sapete che proprio non è nelle mie corde farlo. Ma il romanzo richiede un lento immergersi, e procede con piccole illuminazioni progressive. Che inquadrano Klara, l’AA, l’Amica Artificiale, una macchina, un robot alimentato a energia solare dalle sembianze e soprattutto dalle qualità umane che ne fanno il compagno o la compagna ideale per i ragazzini: fedele, costante, dedito ma senza richieste o bisogni.
Klara è l’androide che viene scelta da Josie e dalla sua mamma in un negozio apposito, con tanto di vetrina in cui a turno vengono esposti i vari AA. Josie è malata, di che malattia non si sa e forse non importa; e in realtà un vero amico ce l’ha, il suo vicino Ricky: solo che mentre lei ha avuto il “potenziamento”, Ricky no. Così Josie potrà andare al college e Ricky presumibilmente no; ma oltre a studiare online, Josie deve imparare a mettersi in relazione con i suoi coetanei, attraverso gli “incontri di interazione” che aborrisce.
Klara sa come guarire Josie. A un prezzo, che è disposta a pagare. Ovvero Klara, nel suo essere androide, conosce i sentimenti e quello che comporta il tradurli in azioni. Il che ci porta dritto alle domande del romanzo. Al centro c’è una domanda che le donne e gli uomini del nostro tempo, o forse di qualsiasi tempo, si pongono con un po’ di angoscia: che cosa ci distingue davvero non solo da tutte le altre specie, ma anche dalle macchine che possiamo inventare? Quanta conoscenza di noi stessi possiamo trasmettere alle macchine? C’è un limite di non riproducibilità della nostra natura umana?
Cerca di rispondere Klara, che è capace di uno spirito di osservazione eccezionale, che come robot raggiunge una raffinatezza di sensibilità straordinaria, decisamente superiore agli standard delle macchine della sua generazione. Neppure i robot sono tutti uguali, dunque. Qualcuno è più uguale degli altri, perché appunto osserva di più, impara di più, si rende più utile, viene conservato più a lungo. Cerca di rispondere l’autore, ovviamente, ma lo fa attraverso delle domande. Perché si sa che trovare le risposte non è possibile, ma sono le domande giuste quelle che ci guidano nel nostro cammino di conoscenza.
E oltre alla domanda su che cosa ci differenzia dal resto dell’universo, ce n’è un’altra che ci affligge, e questa sì è molto contemporanea: cioè se davvero attraverso delle modifiche del nostro corredo genetico, modifiche deliberatamente apportate, si possa diventare più intelligenti, più bravi, più competenti, più efficienti, più utili alla società. E che cosa si perde, quando si incrementano quelle caratteristiche? Si può soltanto guadagnare? E ancora ci può essere intelligenza senza sensibilità, senza empatia, senza conoscere la sofferenza, le limitazioni, le fatiche e le lotte?
Insomma dentro una lettura che scorre come un fiume arrivato in pianura, ancora limpido, tranquillo, dentro questa lettura ci stanno questioni fondamentali, quelle che almeno ogni tanto bisogna avere il coraggio di affrontare. Kazuo Ishiguro, che ha vinto il Nobel per la letteratura, e di cui tutti ricordiamo “Quel che resta del giorno”, continua a lasciare una traccia profonda e indelebile. Senza ostentazione e quasi senza disturbare, ci riporta alla nostra verità, alle nostre domande ineludibili. Lo fa con un garbo e una gentilezza infiniti, con una sapienza meravigliosa.
Io glielo sono grata, e credo che lo possano essere tutti i lettori.