“Il caso Alaska Sanders” di Joel Dicker è collegato a “Il caso Harry Quebert”. Il romanzo è una specie di cubo di Rubrik. I personaggi, i moventi, i fatti si incastrano: è difficile trovare il vero responsabile del delitto
Non sono una lettrice di gialli, ma non sono neppure di quei lettori che si preclude un libro perché “non gli piace il genere”. Nel mio piccolo cerco di non avere pregiudizi, o meglio di averne il meno possibile. E anche nei confronti dei bestseller o dei libri in testa alle classifiche, cerco di mantenere un occhio aperto e libero: non sono categorie che mi convincono o di cui mi servo per le mie scelte, ma capisco che hanno un senso e come tali le rispetto.
Tutta questa premessa per dirvi che avevo molto sentito parlare de “Il caso Harry Quebert” di Joel Dicker, e quando ho sentito altrettanto parlare de “Il caso Alaska Sanders”, beh, mi sono incuriosita. C’è sempre una ragione, o anzi molte ragioni, per cui un libro si fa strada tra le migliaia di novità che affollano le librerie. E per sapere se quelle ragioni sono condivisibili oppure no, c’è solo un modo: leggere.
Il caso Alaska Sanders è il seguito di Il caso Harry Quebert?
Così ho comprato “Il caso Alaska Sanders”. Che sapevo essere collegato a, se non addirittura il seguito di, “Il caso Harry Quebert”. Ma non avevo abbastanza tempo e voglia per cominciare dall’inizio. E ho pensato che lo scrittore avrebbe fatto di tutto per farmi venire voglia di leggere il primo, ma anche per non impedirmi di apprezzare comunque la storia. Il romanzo è una specie di cubo di Rubrik. I personaggi, i moventi, i fatti si incastrano per un po’ e poi siamo bloccati. Ripetutamente all’interno della storia sembra essere arrivati alla soluzione, ma è come se del cubo di Rubrik avessimo fatto una sola facciata dello stesso colore. E le altre cinque? Totalmente a casaccio. Non va bene, bisogna andare avanti. Avanti e indietro nel tempo, per essere precisi, e su e giù dal Massachusset al New Hampshire, da Salem a Concord a Pleasantville. Più che di approfondimenti si tratta di ampliamenti: quando un personaggio dice qualcosa che aveva omesso, quando un collegamento tra due cose apparentemente distinte si palesa nella mente di qualcuno, quando un fatto emerge, il campo si allarga e la prospettiva cambia. Come se passassimo da una mappa troppo dettagliata a una più ampia, più sommaria ma in cui si riesce a trovare un senso.
E senza dubbio in tutti questi passaggi le pagine scorrono veloci e intense, con grande piacere di lettura.
Quello che mi sono chiesta, perché me lo chiedo sempre quando leggo i gialli, è quanto siano lontani dalla realtà. O quanto invece non ci siano vicini. Parlo proprio di gialli. Non noir o thriller. Esattamente quei romanzi che mettono in scena delitti che sì sono orrendi e terribili ma stanno dentro il quotidiano e coinvolgono persone normali. Non criminalità organizzata, non politica, non terrorismo. Qualcosa che domani mattina potrebbe riguardare il quartiere in cui viviamo, le persone che incontriamo portando fuori il cane, al bar, al supermercato, in palestra. “Il caso Alaska Sanders” è così. E quindi i moventi sono la cosa più interessante, le storie individuali di ognuno dei personaggi, quel mix di scelte, casualità, occasioni, sentimenti e sensazioni che possono diventare micidiali e trasformare una persona qualunque in un assassino.
Quel momento in cui l’errore potrebbe essere rimediato ma non si agisce. Quel
momento in cui l’errore potrebbe essere confessato ma si temono le conseguenze e si tace. Così al primo errore segue il secondo e poi il terzo e poi una sequenza che esce dal nostro controllo. Perché la vita non è mai nel nostro controllo. E la ricerca del controllo è destinata a fallire e lasciarci disorientati e sperduti, circondati da una realtà che nell’ansia del controllo abbiamo perso di vista.
Chi è il colpevole?
In questo senso e in questo approccio, il romanzo di Dicker è piuttosto ottocentesco. È un romanzo in cui la comprensione necessaria per snidare e svelare il colpevole è quella della psicologia dei personaggi, e in cui ciascuno dei protagonisti, che a turno prende la scena, dissimula e rivela se stesso quasi inconsapevolmente. In cui nessuno è quello che è e nessuno è quello che vorrebbe. In cui la fragilità, la pochezza, il pasticcio, l’errore sono così parte di ogni personaggio che nessuno ne è al di sopra. Per questo è difficile trovare il vero responsabile del delitto. Per chi indaga ma anche per noi che leggiamo. Succede, leggendo, di avere una subitanea sensazione, un breve flash del tipo “non me la sta raccontando giusta”. Ma come succede poi nella vita vera a questi segnali noi non diamo peso, scegliamo piuttosto la narrazione lineare, la razionalità che ci sforziamo di vedere nelle nostre azioni e in quelle degli altri. E non a caso, in questo romanzo ma suppongo anche nel precedente, c’è uno scrittore che partecipa all’indagine. Lo scrittore come indagatore dell’animo e come narratore che conosce, perché li usa, i trucchi del racconto. Se già normalmente non mi piace raccontare la trama dei libri che leggo, meno che in questo romanzo, in cui il mistero ve lo dovete risolvere pagina dopo pagina. Ma è una bella lettura, che impegna e rilassa al tempo stesso. Quindi perfetta per una sdraio in riva al mare, una poltrona vista tramonto, un terrazzato, un giardino, il proprio letto con la testiera morbida. Buona lettura a tutti. E grazie naturalmente a Joel Dicker, che tra cubo di Rubrik e romanzo psicologico dell’Ottocento ha saputo usare magistralmente le nostre tradizioni e le nostre ossessioni. Per fare qualcosa che non c’era. E che gli siamo grati abbia creato.
“Il caso Alaska Sanders” di Joel Dicker
“Un caso non è mai veramente chiuso”.
Dopo 10 anni esatti arriva l’attesissimo seguito di “La verità sul caso Harry Quebert”. Aprile 1999. Mount Pleasant, una tranquilla cittadina del New Hampshire, è sconvolta da un omicidio. Il corpo di una giovane donna, Alaska Sanders, viene trovato in riva a un lago. L’inchiesta è rapidamente chiusa, la polizia ottiene la confessione del colpevole, che si uccide subito dopo, e del suo complice. Undici anni più tardi, però, il caso si riapre. Il sergente Perry Gahalowood, che all’epoca si era occupato delle indagini, riceve un’inquietante lettera anonima. E se avesse seguito una falsa pista?
L’aiuto del suo amico scrittore Marcus Goldman, che ha appena ottenuto un enorme successo con il romanzo “La verità sul caso Harry Quebert”, ispirato dalla loro comune esperienza con un altro
crimine, sarà ancora una volta fondamentale per scoprire la verità. Ma c’è un mistero nel mistero: la scomparsa di Harry Quebert. I fantasmi del passato ritornano e, fra di essi, quello di Harry Quebert.
L’autore, Joël Dicker
Joël Dicker è nato a Ginevra nel 1985. I suoi romanzi sono tradotti in 40 lingue e hanno venduto più di dieci milioni di copie. Ha pubblicato La verità sul caso Harry Quebert (2013), Gli ultimi giorni dei nostri padri (2015), Il libro dei Baltimore (2016), La scomparsa di Stephanie Mailer (2018), L’enigma della camera 622 (2020), Il caso Alaska Sanders (2022). Ha ricevuto il Prix des écrivains genevois 2010, il Grand prix du roman de l’Académie Française 2012 e il Prix Goncourt des Lycéens 2012.