Delle famiglie non possiamo fare a meno. Ci sono stati anni in cui è stata decretata la morte della famiglia, ma non è durato molto. La famiglia ha resistito e si è modificata, ha perso buona parte dei modelli di riferimento ma è rimasta ancora la struttura a cui sentiamo di appartenere, quella da cui ci allontaniamo, ma anche quella a cui torniamo. E non è tanto vero che tutte le famiglie felici si somigliano e quelle infelici invece lo sono ognuna a modo suo. Le famiglie felici si raccontano poco, nei romanzi, come si racconta poco la felicità. E poi forse di famiglie che si possano definire felici, semplicemente non ce ne sono.
Le altre famiglie, quelle che conosciamo, quelle con diversi gradi di infelicità e diversi gradi di complessità, sono un universo affascinante che gli scrittori non si stancano mai di esplorare. E il loro racconto riesce a catturarci perché anche noi veniamo da una famiglia, ne abbiamo fondata una, ne abbiamo conosciute, detestate e amate tante. Abbiamo invidiato quelle degli amici. Abbiamo desiderato non averne. Ma alla fine, nella nostra vita le famiglie sono rimaste qualcosa di fondamentale. E man mano che passano gli anni, la famiglia diventa sempre più un luogo personale, dentro il quale si conservano ricordi belli e brutti, pezzi grandi e piccoli della nostra storia, spiegazioni di quello che siamo e anche misteri che non riusciremo mai a risolvere. I cammini di ognuno di noi si intrecciano con quelli dei nostri genitori e dei nostri fratelli, e poi dei nostri compagni e dei nostri figli. Ma anche per ogni amico che abbiamo c’è un intreccio di genitori, fratelli, cugini. Con cui trovarsi, perdersi, talora ritrovarsi.
Complessi rapporti familiari stanno al cuore di due libri, “Eredità” di Vigdis Hjorth, e “Un amore qualunque e necessario” di Mary Beth Keane, che sono i libri di cui vi voglio raccontare questo mese.
Sono due romanzi che non si assomigliano in nulla, e che mi è solo capitato di avere insieme. Ma quello che capita, che sia un caso o una necessità, è sempre rilevante. E leggendoli in contemporanea, alternandoli, notando le differenze di ambientazione, di scrittura, di racconto, mi colpivano però delle connessioni, mi venivano in mente delle cose che legavano queste due storie nella mia mente. A dispetto di tutto. In entrambi i libri c’è della violenza e uno o più episodi di abuso sessuale sulle bambine.
In Eredità questo è il tema centrale, perché è il padre, quel padre che muore all’inizio del romanzo e che lascia un’eredità materiale iniqua, e ovviamente un’eredità morale e affettiva altrettanto ingiusta, è il padre ad avere abusato della figlia. È la figlia stessa, Bergljot, a raccontarcelo in prima persona. Raccontandoci anche che, nonostante i suoi sforzi, le sue richieste esplicite e insistenti, la famiglia nega che il fatto sia avvenuto. La madre e le due sorelle soprattutto. Il fratello, che ha subito altri abusi, le crede, ma questo non cambia nulla nella dinamica delle alleanze famigliari: la madre e le due figlie formano una coalizione che sembra invincibile. Del resto di quella violenza non ci sono prove, come spesso accade nella realtà, è la parola di una bambina contro quella di un adulto. La vittima interrompe i rapporti con la famiglia, intraprende un percorso di analisi, fa un grande lavoro personale per superare il dolore e il trauma e la ferita. Tuttavia, il fatto che madre e sorelle non vogliano ammettere l’accaduto è per lei un tormento costante e quasi una condizione esistenziale. L’eredità che dà il titolo al libro cessa quindi di essere un fatto materiale, di beni iniquamente suddivisi, per diventare una questione intima e personale: con la morte del padre, la figlia resta sola e il ricordo della violenza, gli altri ricordi, le scelte fatte prima e quelle che potrà fare adesso sono e saranno soltanto suoi.
In Un amore qualunque e necessario l’abuso sessuale, perpetrato invece da un amico di famiglia, segna la vita di Anne in modo indelebile e determinante, e richiede un percorso ancora più accidentato e tragico di quella di Bergljot, ma porta sicuramente a un finale diverso. Questo è un romanzo corale e di relazioni tanto quanto Eredità è intimista e personale, ma quello che mi ha colpito è stato proprio come le reazioni al male, un male se vogliamo simile (per quanto i mali possano esserlo), sono differenti. In Un amore qualunque e necessario Anne scappa dall’Irlanda e dall’amico di famiglia che la abusa, e cancella l’episodio, come se fosse qualcosa che non è successo a lei. Va in America, si costruisce una nuova vita, ma la rimozione di un pezzo di passato così ingombrante la rende fragile e instabile. Con la perdita del primo figlio, morto poco prima della nascita, il suo equilibro si rompe e la follia sembra diventare il suo destino, fino a un accadimento tragico. Che però, grazie anche a uno psichiatra intelligente, le consente di indagare, e di cercare di capire il perché della sua malattia mentale, fino a una sorta di guarigione. Anche il percorso di Anne è doloroso e contorto, ma riesce a liberarla. E tutti gli altri personaggi, la vittima accidentale della follia di Anne, il suo secondo figlio e sua moglie, la famiglia della moglie, insieme allo scorrere del tempo, alle esperienze, all’amore, alle relazioni, e anche alle sorprese che la vita sa riservare a tutti, riescono a stemperare quel male originario, fino ad arrivare a una pacificazione.
Forse addirittura a un perdono. Perché il perdono è un fatto rigorosamente personale. Il perdono è importante per chi lo esercita, per chi riesce a praticarlo. È una scelta ma è anche il compimento di un viaggio dentro se stessi e dentro gli altri, fatto di comprensione della nostra fallacia, dei nostri lati oscuri, di quella cattiveria che ognuno di noi ha dentro di sé ma che ognuno di noi può governare. Non a caso il perdono nasce nella religione cristiana, forse la religione che più di tutti ha capito quanto l’animo umano sia complesso e quanto sia difficile restare buoni, onesti, generosi, comprensivi… Il perdono fa bene a chi lo dà molto più che non a chi lo riceve.
E una famiglia nella quale si arriva al perdono, alla fine forse è quello che potremmo definire una famiglia felice. Ecco, se vi va di leggere delle storie che somigliano molto alla vita e che però vi fanno venire qualche pensiero che altrimenti non avreste avuto, questi libri potrebbero fare per voi. Buona lettura!
“Eredità“, di Vigdis Hjorth
Fazi Editore – Pagine: 374 Prezzo: € 18,50
Premiato dai librai norvegesi come miglior libro dell’anno, in vetta alle classifiche di vendita per mesi, osannato dalla critica internazionale, Eredità è il romanzo con cui la norvegese Vigdis Hjorth ha raggiunto la fama mondiale. Lirica riflessione sul trauma e sulla memoria, è al tempo stesso il furioso racconto della lotta di una donna per la sopravvivenza.
Vigdis Hjorth, nata a Oslo nel 1959, è una delle scrittrici norvegesi più conosciute e stimate. Ha esordito nel 1983 con Pelle-Ragnar i den gule gården, grazie al quale il Ministero della Cultura norvegese le ha attribuito il premio per il miglior romanzo d’esordio. Ha pubblicato più di trenta libri, fra cui una ventina di romanzi, conquistando i premi letterari più svariati. Eredità, vincitore del Norwegian Booksellers’ Prize e del Norwegian Critics Prize for Literature – i due principali riconoscimenti norvegesi –, è il romanzo con cui ha ottenuto la fama internazionale, rientrando nella rosa dei finalisti del National Book Award for Translated Literature nel 2019.
Mondadori – Pagine: 432 Prezzo: € 19,50
Un amore qualunque e necessario è una storia di redenzione, fiducia e perdono, che rivela come i ricordi dell’infanzia, filtrati dalla distanza dell’età adulta, possano cambiare. È il racconto di come, se siamo fortunati, la violenza in agguato nella vita di tutti i giorni possa essere sconfitta dal potere dell’amore.
Mary Beth Keane, americana di origini irlandesi, è cresciuta a Rockland County, New York. Ha frequentato il Barnard College e l’Università della Virginia. Nel 2011 è stata nominata tra le cinque migliori scrittrici americane sotto i 35 anni dalla National Book Foundation, e nel 2015 le è stata assegnata la borsa di studio John S. Guggenheim per la narrativa. Vive a Pearl River, New York, con il marito e i due figli.