“I figli del duca” è il romanzo conclusivo del ciclo Palliser, ma se non si è mai letto Trollope, si può cominciare da qui, per trovare le riflessioni del duca sulla politica, ma soprattutto sui tre figli, che mettono a dura prova la sua pazienza, bontà e rettitudine
Anthony Trollope è una certezza. Quando si vuole leggere qualcosa di tranquillo e rassicurante, di intelligente e scritto bene, che faccia uscire dal proprio mondo, senza chiedere troppe riflessioni o turbamenti, si deve leggere Trollope. Autore molto prolifico e generoso. Non è necessario seguire i cicli secondo i quali sono organizzati i romanzi, o almeno non sempre, perché in fondo non è necessario. Volendo, ci sono delle note di rimando quando necessarie, ma ogni romanzo ha una vita propria, e davvero si possono leggere in ordine sparso.
“I figli del duca” è il romanzo conclusivo del ciclo Palliser, ma non importa. Se non si è mai letto Trollope, si può cominciare pure da qui. Come sempre, Trollope si prende sempre tutto il suo tempo, non ha nessuna ansia di arrivare alle conclusioni. Anzi quando si ha l’impressione di essere arrivati alle conclusioni, succede qualcosa che ferma il gioco e rimanda di un po’. “I figli del duca” è il libro perfetto per gennaio, il mese più lungo dell’anno. Con le sue mille pagine, è capace di intrattenere il lettore nei pomeriggi e nelle sere d’inverno.
Il duca di Omnium è il protagonista indiscusso di questo lungo romanzo. Proprio all’inizio del racconto è rimasto vedovo, e senza la moglie si sente perso, disorientato. È un uomo tutto d’un pezzo, dalla morale austera, conscio della sua posizione nella società e dei doveri che ne discendono. È probabilmente l’uomo più ricco della Gran Bretagna, è un membro liberale del Parlamento ed è stato Primo Ministro. Interpreta la nobiltà come un sistema di valori che rende chi possiede un titolo un esempio di probità, di senso del dovere, di servizio alla patria e alla società. Man mano che si procede nel racconto, guidati dalle riflessioni del duca sulla politica, ma soprattutto sui tre figli, che mettono a dura prova la sua pazienza, bontà e rettitudine, si scopre il rapporto particolare che lo ha legato alla moglie Glencora, così diversa da lui, e si comprende anche perché ne senta così tanto la mancanza. Non si tratta solo di amore, che pure il duca ha provato fortissimo nei confronti della moglie, ma di un confronto, di una diversa visione del mondo. Il duca ama moltissimo anche i figli. La figlia Mary ha deciso di sposare un giovane che non ha né nobiltà né patrimonio, ed è determinata a difendere il suo amore a qualsiasi costo, e a rinunciare anche alla vita se non potrà viverlo, in modo pubblico, onesto e dichiarato. Il figlio maggiore, Silverbridge, l’erede, si è fatto cacciare da Oxford, è entrato in Parlamento come conservatore e quindi nemico dei liberali di cui il padre è uno dei principali rappresentanti; spende una fortuna in cavalli e scommesse, si accompagna a personaggi poco raccomandabili; dopo aver fatto credere al padre che avrebbe sposato una giovane nobile, si innamora di un’americana e la vuole sposare, anche lui a tutti i costi. Anche il secondogenito, Gerald, si fa cacciare dall’università, e perde una somma mostruosa a carte, ma se non altro è ancora lontano da idee di matrimonio o amori impossibili. Sembra essere disposto, anzi, a farsi aiutare dal fratello maggiore e riprendere la retta via.
Il duca si trova, quindi, a dover mettere in discussione il suo senso di quello che è giusto, perché le richieste dei figli sono tutto sommato lecite. Essendo un liberale, in linea teorica ritiene che il merito vada riconosciuto, e che se una persona è onesta, proba e di valore, può ambire a una posizione socialmente più alta di quella da cui era partita. In Parlamento siedono dei cittadini che sono privi di titoli nobiliari, ma che sono ritenuti degni di rappresentare il loro distretto e il loro paese, e di legiferare per il bene di tutti. Naturalmente la pratica è diversa. Il promesso sposo di Lady Mary è una persona perbene e sicuramente nobile di cuore, viene eletto in Parlamento e il duca alla fine è costretto ad accettarlo come genero. La giovane americana è bella, colta e intelligente oltre che ricca, ma discende da un facchino emigrato negli Stati Uniti. Sono i primi segni di un cambiamento sociale che, una volta avviato, sarà inevitabile. Quello che è molto interessante è il lavorio interiore del duca, la lotta tra l’amore per i figli e il rispetto della tradizione. Alla fine il duca cede alle richieste dei figli. Per quanto i figli siano testardi e determinati, il duca non cede per debolezza o per sfinimento. Cede per amore e per convinzione, perché riesce a oltrepassare i pregiudizi della sua classe e a giudicare il genero e la nuora con occhi generosi e sinceri. Riesce a vedere le loro qualità, e insieme riesce a vedere le qualità dei figli, al di là dei loro sbagli. È quindi una bellissima figura di padre e di uomo, apparentemente rigido e pomposo ma pieno di amore e capace di grandi cambiamenti personali.
Che la storia finisca bene, che tutti trovino il partner ideale, che il bene trionfi sul male e che i malvagi, che pure non mancano, vengano puniti, ma con pietà, è parte del gioco e non impedisce al romanzo di Trollope di essere profondo e intelligente.
Anthony Trollope, I figli del duca
Nell’ultimo romanzo del ‘ciclo Palliser’ continuano le vicende di Plantagenet Palliser Duca di Omnium e della sua famiglia. Pagine che confermano la struttura perfetta dei romanzi di Trollope che sono insieme saga familiare, romanzo di formazione, satira sociale, critica del potere nelle sue degenerazioni, con lo splendore della Londra vittoriana sullo sfondo.
Lo scrittore, tra i grandi vittoriani, più fluviale in tutto (per il procedere della sua prosa, per la mole delle opere, per la vastità dei temi), il meno giudicante e forse il più romanzesco, grazie al numero di storie e personaggi che si distendono, si annodano, ritornano sottintesi, riprendono da dove eravamo arrivati. Anthony Trollope è tutto questo, e con I figli del duca chiude il Ciclo Palliser, o Ciclo Politico, incentrato nella Londra metropoli della grande aristocrazia dominante. Plantagenet Palliser, Duca di Omnium, è all’apice del suo splendore. Ora, però, è morta Glencora, la sua sposa, dama contraddittoria e brillante come un colore acceso quanto lui è stabile, coscienzioso e grigio. E il duca si scopre fragile, spaesato, un inetto in un ambiente che dovrebbe sovrastare per l’immensa ricchezza e il rango preminente. Il severo Henry James scriveva che nessuno come Trollope «riusciva a sentire tutte le cose del quotidiano oltre che vederle». Nei suoi romanzi l’ovvio si rivela per ciò che realmente è per chi lo vive: unico, misterioso, stupefacente. Così per il Duca di Omnium la condotta sconsiderata dei figli squarcia le sue convinzioni. Il primogenito, Silverbridge, si è candidato tra le file dei conservatori, nonostante la loro famiglia sia da sempre liberale. Il figlio più piccolo, Gerald, è dedito al gioco d’azzardo e si è fatto espellere dal college. E l’unica femmina, Mary, si è innamorata irrimediabilmente di un parvenu senza rango né patrimonio. Le deprecabili scelte degli eredi fanno vacillare la visione dell’esistenza del duca, lo espongono a vergogna e lo costringono a specchiarsi nelle proprie contraddizioni. Trollope non salva nessuno; non ci sono eroi tra coloro che non hanno ereditato altro che la vocazione a «sperperare patrimoni e reputazione». Si salva qualche personaggio femminile, a cui è affidata, pur nella frustrante impotenza della loro sorte sociale, tutta l’inquietudine di un’epoca. Eppure, a risaltare è la meravigliosa riscoperta della lettura calma e appagante. È «un viaggio meraviglioso in compagnia del più amabile dei narratori generosamente dotato di acume e di umorismo» scrive Rossella Cazzullo nella sua Notizia. «L’autore crea e popola un mondo di ampiezza e varietà tale da soddisfare i gusti più esigenti; intreccia vicende pubbliche e storie private, ritrae la vita di campagna e quella della metropoli, parla di potere, politica e amore, presenta personaggi credibili e umanissimi che non di rado sfuggono alle pagine per prendere residenza tra i nostri ricordi».
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