“Lezione di italiano”, di Francesco Sabatini
Editore: Mondadori
pagine 224 – euro 18,50
“La lingua è dentro di te, tu sei tra le sue braccia”. Le parole di Mario Luzi, poste in conclusione, riassumono bene la prospettiva del nuovo libro di Francesco Sabatini “Lezione di italiano”. “La lingua verbale — dice Sabatini — entra in noi naturalmente dalla nascita e diventa lo strumento ineguagliabile per la nostra crescita culturale”.
Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, linguista, filologo, lessicografo, autore, con Vittorio Coletti, del “Dizionario della lingua italiana”, attraverso dieci dialoghi e altrettanti inviti, ma senza semplificazioni eccessive, Sabatini espone la tesi del libro rivolgendosi a un lettore vicino e curioso: “Sapevi che, quando avevi tre o quattro anni, il tuo cervello aveva già fatto silenziosamente l’analisi grammaticale e l’analisi logica dei discorsi captati dal tuo orecchio?”. Sabatini affronta anche quelli che definisce “psicodrammi del parlante italiano, casi che infiammano gli animi e che a molti tolgono il sonno”.
Prima di tutto l’eterna questione del congiuntivo, difeso con appelli e impegnate campagne di salvaguardia. L’autore invita a una “minore schizzinosità. Nei costrutti indipendenti il congiuntivo resiste, mentre nelle frasi cosiddette completive tende a essere sostituito dall’indicativo. Ma è un’alternanza presente sin dalle origini della lingua italiana: risale a Dante e anche più indietro. Idem in certe subordinate. È la tendenza del parlato: non facciamone un dramma!”. Non c’è da fare drammi neanche sugli anacoluti (li usava già Manzoni), sui pleonasmi, sulle frasi segmentate, sui pronomi quali lui e lei usati come soggetti (dal Duecento fino a Tomasi di Lampedusa sono ricorrenti), sul gli polivalente (inteso anche come plurale e femminile).
La storia della lingua aiuta a capire perché certe abitudini, che a orecchio ci appaiono errate, errate non sono. “Bisogna rispettare la lingua, ma evitando atteggiamenti aristocratici”, avverte Sabatini che ritiene l’italiano migliore in uso oggi “quello degli scienziati, un italiano bello e pacato, come quello di Rubbia per esempio”. La fotografia sociolinguistica dell’Italia non è proprio confortante. Sabatini individua tre strati: una fascia popolare (nella quale sono confluiti anche in maggioranza gli immigrati); un livello medio, fatto di professionisti nei più diversi campi, abbastanza sicuri nell’uso dell’italiano, ma spesso portati al tecnicismo fuori contesto; uno strato più alto e consapevole (coloro che occupano posizioni di autonomia: insegnanti, ricercatori, magistrati…). Sono strati che si caratterizzano per il diverso grado di padronanza della lingua con un altrettanto diverso grado di responsabilità linguistica. Perché esiste anche una responsabilità linguistica: si pensi al peso degli insegnanti nell’avvicinarsi ai giovani, ma anche alla responsabilità dei personaggi pubblici che parlano in tv e non solo, talvolta con il loro snobismo, il loro populismo linguistico, quando non è proprio volgarità e la loro esibita esterofilia.
La prima parte del libro, più teorica, precede la sezione delle letture (brani di vario tipo: oltre a Machiavelli, Montale, Ilvo Diamanti, c’è anche qualche pagina tratta da Odissee di Gian Antonio Stella, Rizzoli) che “ai livelli più profondi — avverte l’autore — comportano la comprensione dei meccanismi grammaticali”. Il libro di Sabatini si conclude ironicamente. Una manciata di usi che il linguista, per quanto elastico e niente affatto purista, non vorrebbe mai vedere accolti nell’italiano. Eccoli: il ‘piuttosto che’ disgiuntivo (invece di ‘oppure’), la formula transitiva ‘lo o la telefono’, gli inqualificabili ‘endorsement’ o ‘endorsare’, l’orribile ‘location’, il terribile ‘mission’. E la punteggiatura usata disastrosamente. Bisogna imparare a conoscere la lingua per usarla pienamente come fosse un organo del proprio corpo, perché, appunto: la lingua è dentro di te, come diceva Luzi.