Ventisei miliardi di euro. Tanto vale la spending review italiana, varata giovedì notte dal governo Monti, fino al 2014. Un’operazione invocata più volte da Bruxelles che, però, assume i contorni di un’occasione in parte mancata, al di là delle dichiarazioni dell’Esecutivo. Se confrontata con quanto stanno facendo altri paesi nel resto d’Europa, infatti, la revisione della spesa italiana appare piuttosto timida. Basti citare il caso di Londra, che taglierà 140 miliardi di sterline (circa 170 miliardi di euro) nei prossimi cinque anni.
La spending review italiana assume, in sostanza, i caratteri di una riforma a puntate. Con la prima i tagli sono arrivati soprattutto alla sanità e al pubblico impiego. Le puntate successive si concentreranno sul governo locale e sugli enti inutili, tutti lasciati in sospeso da questa manovra. La cubatura del decreto ha un valore di 4,5 miliardi nel 2012, 10,5 miliardi nel 2013 e 11 miliardi nel 2014.
Sulla sanità è saltato, all’ultimo momento, il taglio dei mini–ospedali: sarà affidato alle Regioni. A questo sarà accompagnata una rinegoziazione dei contratti di fornitura delle Asl. E, soprattutto, una rimodulazione della spesa per medicine: gli sconti che industrie farmaceutiche e farmacie devono garantire alle Asl sono stati aumentati di ufficio.
Accanto a questo, c’è il capitolo del pubblico impiego. Le piante organiche dei dirigenti sono state tagliate del 20 per cento, mentre quelle degli impiegati del dieci per cento. Gli esuberi avranno due strade: la mobilità o l’accesso a uno scivolo pensionistico. Nella Pa saranno sforbiciati diversi benefit. Le auto blu saranno tagliate del 50 per cento rispetto ai livelli del 2011, i buoni pasto non potranno superare il valore di 7 euro, i consigli di amministrazione delle società a controllo pubblico non quotate non potranno superare i tre componenti. Entro l’anno arriverà anche il dimezzamento delle province e il varo delle città metropolitane.
Tutte queste misure consentiranno al governo di rinviare l’aumento dell’Iva di due punti, previsto per ottobre. Ma solo di pochi mesi: a metà 2013 l’aumento ci sarà lo stesso; nel 2014, poi, ci sarà l’abbattimento di un punto di imposta sul valore aggiunto. Altri soldi saranno destinati all’emergenza terremoto e alla regolarizzazione della situazione di 55mila esodati.
Il quadro che si compone risalta per due motivi. Il primo è che i tagli non aprono a misure per la crescita, come auspicato in diversi momenti dal governo. Il secondo è che il confronto con altre manovre simili nel resto d’Europa fa apparire la spending review italiana poco ambiziosa.
Il governo britannico, di recente, ha fissato gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica a 140 miliardi di sterline in 5 anni, con tagli previsti ai budget dei ministeri fino al 40%. I dipendenti pubblici tagliati dalla manovra di Londra saranno almeno 480mila, contro i 100mila previsti dall’Italia nei prossimi tre anni.
La Germania, invece, ha messo sul piatto un pesantissimo programma di tagli alla spesa pubblica che ha operato riduzioni per 10 miliardi di euro nel 2011 e di circa 60 miliardi di euro nel prossimo quinquennio. Il deficit tedesco, attualmente, viaggia a quota 80 miliardi.
Il piano adottato dal governo francese, invece, punta a ottenere entro il 2013 risparmi di spesa per 95 miliardi di euro totali. Il percorso di risanamento, per l’esattezza, mira a portare nelle casse dello Stato 100 miliardi in più entro il 2013 tra tagli alle spese e nuove entrate e a mettere a regime entro il 2020 un risparmio annuo pari all’1,9% del prodotto interno lordo.