La conferenza di Londra – che ha visto la partecipazione di trentasette ministri degli Esteri di Europa, paesi Arabi, africani e i vertici delle principali organizzazioni internazionali, dall’Onu alla Nato, dalla Lega Araba all’Ue – si è di fatto conclusa con un risultato ridotto.
Benché il cambio di regime non sia nominato nella risoluzione 1973, l’intento della coalizione appare ora più esplicito: la caduta di Gheddafi, e la sua sostituzione con il Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt). Dietro a questo risultato permangono tuttavia sia le difficoltà di giungere a un orientamento comune della comunità internazionale (con Russia, Cina e Unione africana che non hanno preso parte al vertice), sia le incertezze e le ambiguità legate ai mezzi per perseguire l’obiettivo. L’Italia punta per esempio a una soluzione negoziata che porti all’esilio di Gheddafi mentre altre potenze come gli Stati Uniti non escludono di rafforzare militarmente gli insorti.
Proprio il ruolo defilato giocato dagli Stati Uniti sinora sembra porre interrogativi circa la capacità militare e politica della coalizione di gestire la crisi e ottenere la caduta del leader libico. Il presidente Obama ha ritardato l’intervento in Libia finché la Lega araba, il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Francia e Gran Bretagna non hanno preso impegni concreti, e anche allora gli obiettivi e gli interventi americani sono stati assai limitati. L’amministrazione americana non sembra volersi far carico dei problemi della Libia, che rischiano, come ha scritto Robert Kaplan, di trascinarsi per anni nell’incertezza e nel caos, aprendo un altro fronte di contesa in Medio Oriente. La guerra in Libia rischia poi di distrarre gli Usa dagli interessi primari nel Pacifico occidentale.
Boris Biancheri, Presidente ISPI ha dichiarato: “Sul piano concreto questa conferenza tanto reclamizzata non ha concluso nulla di nuovo. Avendo dato inizio all’intervento militare e avendone poi perduto il comando operativo Inghilterra e Francia avevano cercato di fare di questa loro riunione la guida strategica dell’operazione, ma di strategia a Londra non se n’è vista molta. Dagli Stati Uniti non ci si può aspettare un coinvolgimento maggiore. Fin dall’inizio quello di Obama è stato un ruolo alquanto alternante, partito con esitazioni si è rincuorato per strada. Ha dovuto mediare tra la necessità di non essere assenti ma neppure troppo presenti. La missione militare non risponde alla visione di sé che il Presidente Usa ha cercato di portare avanti. Inoltre gli interessi americani sono solo indirettamente coinvolti e neppure vi è certezza di come il vecchio e il nuovo mondo arabo accetterà l’intervento. È una prudenza dettata quindi da motivazioni etiche ma anche strategiche.”
Maurizio Molinari, Corrispondente dagli Stati Uniti del quotidiano La Stampa: “Barack Obama ritiene che l’intervento in Libia sia un esempio di leadership americana nel mondo perché somma tre elementi: gli Stati Uniti hanno aiutato a creare una coalizione per far fronte all’emergenza; l’intervento avviene a fini umanitari ed è legittimato dall’Onu; l’uso della forza è mirato alla protezione dei civili. Questa idea di leadership verte sulla necessità di condividere responsabilità e costi con gli alleati, a cominciare da quelli della Nato, e ciò lascia intendere che l’amministrazione Obama vuole spingere le maggiori potenze europee ad accelerare il decollo della difesa comune. Per l’Europa è l’occasione tanto a lungo attesa, a patto che riesca a non dividersi”.
John Yoo, dell’American Enterprise Institute e Robert Delahunty, dell’University of St. Thomas’s School of Law in Minneapolis hanno dichiarato: “Obama e i suoi stretti consiglieri hanno ripetutamente ribadito che gli Stati Uniti assumeranno solo un ruolo marginale per quanto riguarda il coinvolgimento Nato in Libia: apparentemente le responsabilità dell’America saranno limitate a missioni di ricognizione,”search and rescue”, e disturbo delle comunicazioni libiche. Nel loro disperato tentativo di delegare responsabilità [agli alleati europei], gli Stati Uniti hanno compromesso lo sforzo occidentale e alimentato le speranze di sopravvivenza di Gheddafi. Senza un deciso coinvolgimento americano, saranno sufficienti le forze aeree francesi, britanniche, e degli altri alleati Nato schierati contro Gheddafi, a deporre abbattere il regime libico? La forza militare di Gheddafi non ha speranza contro le forze armate occidentali ora schierate nella regione, ma senza la leadership militare americana sembra improbabile che i paesi Nato abbiano le capacità o il coraggio per andare a combattere a terra. Questa, dopo tutto, è la lezione delle guerre nei Balcani degli anni ’90, quando i paesi europei non furono in grado di fermare una sanguinosa guerra civile ai confini dell’Europa senza l’intervento americano.
(Fonte: ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale)