PRIMA DI TUTTO IL PAESE

Pubblicato il 22 Agosto 2012 in , da redazione grey-panthers

Non ci sono le condizioni di base: cioè non c’è il Paese. L’assenza  totale di coesione, la totale prevalenza degli interessi diparte, l’”allungamento” incontrollato della società, le rivendicazioni, le lotte interne, a cominciare da quelle delle parti politiche, assorbono tutte le energie. Mancano quelle necessarie per agire come Paese (unitario) verso l’esterno, verso lo sviluppo. C’è un’assenza totale di obiettivi di medio-lungo: il Paese – in quanto tale – non ha un progetto, non ha una visione. Nel sistema mondiale globalizzato l’Italia è pura terra di conquista. È totalmente deficitario nel metodo: le forme di vita che lo caratterizzano, non solo sono di parte, ma tendono allo sfruttamento delle opportunità di brevissimo periodo, e sono ben lontane da approcci di Sostenibilità. Per la verità la Domanda (la gente) comincia a dare indicazioni di saggezza e lungimiranza, anche se il Sistema Politico non offre evidenti segnali di cambiamento.

LA TOTALE ASSENZA DI COESIONE

I 20 anni che hanno seguito la Seconda Guerra Mondiale, e lo sviluppo economico che li hanno caratterizzati, hanno portato l’Italia da una struttura sociale piramidale (pochi in alto, tanti in basso), a una struttura tendenzialmente più equilibrata, con un rigonfiamento nei segmenti intermedi (maggiore “coesione economica”).

 Questa tendenza si è poi stabilizzata, non è proseguita. Nei lustri più recenti, al contrario, si è innescato un “guaio”: una assenza di visione politica per il Paese, e la gestione di soli interessi di parte, hanno portato a una forte eterogeneizzazione del Paese (allungamento), fino a determinarne una forma a clessidra.

 Le parti sociali più dotate e privilegiate hanno preso il potere: ma ciò in sé non è una disavventura, e comunque non avrebbe potuto essere diversamente. Hanno commesso, però, l’errore di gestire il potere a proprio vantaggio, o quanto meno non si sono preoccupati di tenere “corto” – omogeneo – il Paese intervenendo in tempo, e in modo efficace, per evitare smembramenti della coesione.

 Le Società occidentali, di cultura liberista, per definizione tendono ad “allungarsi”. Questi Paesi possono essere classificati in due diverse categorie:

–        i Paesi “veri”, che si sono posti l’obiettivo della coesione, e l’hanno raggiunto. Questi riescono a gestire la tensione all’allungamento; e ciò proprio perché c’è una politica di gestione del Paese nella sua complessità, che ha una priorità totale;

–        quelli che non sono (ancora) Paesi, perché non hanno mai raggiunto la coesione, o non si sono mai posti l’obiettivo; non riescono a gestire la tensione all’allungamento, e sono schiavi o partigiani degli interessi di parte.

 In questi ultimi Paesi – fra i quali il nostro – sono stati inoltre innescati interessi di parte da una gestione manageriale (e non imprenditoriale) condizionata dalle componenti finanziarie, che hanno obbligato a logiche e a risultati di breve periodo. Tutto ciò ha determinato – e determinerà sempre di più – la struttura a clessidra della società, cioè la sua polarizzazione, con la parte “media” sempre più assottigliata, e quella “bassa” sempre più rigonfia.

 Sul versante economico, ad esempio, salvo rare eccezioni, gli “investimenti” sono stati centellinati: la progettualità di medio-lungo, caratteristica principale dei veri “investimenti”, avrebbe potuto infatti disturbare gli obiettivi di brevissimo termine. Il mantenimento status quo ha prevalso sull’innovazione, in tutti i fattori produttivi: nel fare business, nel riorganizzare processi, nell’ottimizzare il contributo delle persone.

 La pressione sui margini ha dunque trovato sfogo non tanto attraverso lo sviluppo del business (nuova efficacia),quanto attraverso il contenimento dei costi (maggiore efficienza).Un contenimento passato spesso attraverso la prevaricazione sui soggetti deboli della filiera: dai fornitori e piccole imprese, ai collaboratori.

 UN CIRCOLO VIZIOSO CHE AFFONDA LA CRESCITA

 Una pressione che a sua volta innesca un ulteriore circolo vizioso: meno soldi, meno consumi e investimenti (anche di famiglie e piccole imprese), meno crescita per tutti. Certamente non è questa la direzione di un percorso virtuoso, né in termini di crescita, né tanto meno di coesione sociale.

La non coesione ha “prezzi sociali” incredibili per il Paese: la conflittualità diffusa fa sì che le energie impiegate nel “conflitto” siano sottratte all’evoluzione: la condizione per andare avanti, infatti, è una “energia coesa”. In altri termini, per andare avanti bisogna avere “carburante”, energie da dedicare. Questo vale per tutte le forme di vita, e per qualsiasi entità sociale, piccola o grande, semplice impresa o Paese.

 Se le energie, pur esistenti, dovessero venire usate, invece, per risolvere problemi interni all’entità sociale, cioè per risolvere “cose che non vanno”, per definizione non potrebbero essere dedicate alla sua evoluzione. Un corpo malato non ha le energie per competere: prima deve guarire. La soluzione dei problemi interni è preliminare; si ribadisce: non può essere sviluppato alcun progetto futuro se prima questi non vengono risolti, perché – volenti o nolenti – questi assorbiranno tutte le energie, e si rimarrà in posizione di stallo.

 PRIMO PASSO L’ETICA PER RAGGIUNGERE COESIONE

 L’obiettivo preliminare di qualsiasi progetto futuro, quindi, è “star bene”, aver eliminato “malattie interne”, problemi che rendono conflittuale il contesto sociale. L’obiettivo preliminare è quindi raggiungere una coesione. La coesione è la condizione preliminare per poter sviluppare progetti futuri, per andare avanti.

 Ma se la coesione questo è l’obiettivo basico, quale potrebbe essere il miglior metodo per raggiungerla?

 Il miglior metodo è l’Etica, il rispetto degli altri. Non tanto l’aver a disposizione un codice etico da rispettare, ma fare in modo che l’Etica sia parte integrante e naturale del nostro modo di essere, sia introiettata, faccia parte di noi fin dal nostro inizio, del nostro naturale modo di pensare. Deve far parte della cultura in cui nasciamo e viviamo, e quindi deve essere assimilato in modo naturale.

 Altrimenti, non c’è risultato. Altrimenti, cioè, il “codice etico” viene trattato come tutti i codici impositivi… L’Etica è fondamentalmente rispetto delle persone, cioè degli altri, e del contesto. Gli altri sono il complemento fondamentale della nostra vita. E quindi:

–        rispetto per l’altro, accettazione dell’altro;

–        rispetto delle idee altrui, tolleranza (almeno tolleranza di chi è tollerante);

–        dialogo aperto tra gli uomini;

–        solidarietà, fratellanza, aiuto;

–        e comunque, sempre, rispetto della vita e rispetto del mondo naturale.

 In Italia non c’è Etica – e quindi non c’è coesione – né nelle persone, né nel Sistema. I sintomi dell’assenza di etica sono numerosissimi:

 –        le differenze tra Nord e Sud del Paese;

–        la scarsa educazione alla legalità, alle virtù civiche;

–        la forza degli interessi e delle corporazioni, sempre pronti a diventare gli attori concreti di ogni realtà sociale;

–        gli sperperi nella spesa pubblica;

–        le eccessive sperequazioni nella ricchezza;

–        gli imbrogli a tutti i livelli;

–        l’evasione fiscale;

–        la criminalità organizzata;

–        …

Certo, la nostra storia ha delle responsabilità. Dalla fine dell’Impero Romano (prima del 500 d.C.), e per 1.400 anni abbiamo subìto invasioni, furti, stupri, violenze di ogni tipo, angherie, ingiustizie… Il cosiddetto “altro” – i non appartenenti alla “famiglia allargata” – è sempre stato una minaccia, da cui difendersi, a cui ribellarsi, a cui creare contrapposizioni di ogni tipo.

 Quale Etica avrebbe potuto crearsi…

 Certo, si può capire. Tuttavia, dal raggiungimento dell’unità nazionale (e sono 150 anni!) non può giustificarsi un’inerzia totale nel cercare di porre rimedio. Le classi dirigenti dello Stato che si sono succedute, al di là della forma, pare siano andate in totale continuità …

 C’è speranza? C’è rimedio? Qualche miglioramento lungo il corso del tempo potrà arrivare, ma non sarà affatto sufficiente.

 LA CULTURA CI AIUTERÀ

 I ricambi generazionali saranno certamente di aiuto, per quanto stiano crescendo in ambiente “inquinato” da un’assenza di Etica.

Saranno di aiuto perché le nuove generazioni sono certamente più colte di quelle che vanno a sostituire. E la cultura è un “curioso” ingrediente: quando entra dentro di noi, siamo indotti a esplorare, a uscire da noi per interessarci di tutto quello che ci sta attorno, per spostare l’attenzione sugli altri. L’ignoranza centra l’attenzione su di sé, la cultura la sposta sugli altri.

 La cultura quindi aiuterà; ma c’è l’assoluta necessità di interventi acceleratori, per evitare il rischio di una catastrofe: niente etica à niente coesione à impossibilità di realizzare un progetto di medio-lungo

periodo (quand’anche venisse disegnato) à azzeramento dell’Italia nel panorama internazionale à che diventerebbe quindi terra di disinvestimento totale e di sfruttamento fino all’esaurimento, nella conflittualità sociale più ingestibile (un vero nuovo Medioevo).

 C’è, quindi, emergenza: è necessaria una forte presa di coscienza, una condivisione ai fini di un convincimento collettivo, e un intervento davvero urgente; non debba disarmare il fatto che il percorso di salvezza possa durare qualche decennio (a patto che si operi senza sbandamenti, altrimenti …). Non si hanno alternative.

 D’altra parte l’impegno è severo. Per costruire qualcosa, sviluppare un progetto di medio-lungo, ci vuole coesione: quindi “n” anni da quando ci saranno le condizioni, cioè da quando saremo un Paese coeso. Per arrivare alla coesione bisogna aver introiettato negli italiani l’Etica, e aver eliminato tutte le storture che rappresentano il degrado della “non Etica”.

 Quanti decenni, se si lavora bene? Forse è il caso di prendere rapidamente l’avvio.

 VERSO UN PROGETTO DI MEDIO-LUNGO PERIODO, VERSO UNA VISIONE DI “VITA CHE PROSEGUE”

 Immaginiamo che per il tramite di una nuova cultura etica si raggiunga la coesione, e che si possa dire che finalmente c’è un Paese, con l’orgoglio per questo Paese, il senso di alleanza e di appartenenza. Sarebbe sufficiente?

 Potremmo dire che ci sono le condizioni minime – le fondamenta – per costruire. Per costruire veramente, però, ci vuole un progetto di medio-lungo periodo, ci vuole una visione, una logica di posizionamento del nostro Paese nel contesto internazionale. Ma abbiamo Governanti con questa cultura?

 Oggi per progettare non basta una buona classe politica, sufficientemente rispettosa degli interessi di breve del Paese. Abbiamo bisogno di qualcosa in più: di Statisti che sappiano disegnare il futuro, possibilmente in modo “intelligente”, nel rispetto delle specificità di questo Paese. Le specificità attuali e potenziali sono molte, e tutte di grande pregio nel posizionare l’Italia nella competizione internazionale, per fare del nostro Paese una sintesi nazionale di cui essere orgogliosi.

 La logica che ci deve guidare deve essere, quindi, quella del “medio-lungo”, che si inserisca e sia compatibile, cioè, con un progetto di “vita che prosegue”: la vita deve continuare e bisogna operare sempre perché il futuro sia favorito, o quanto meno non sia ostacolato.

 La Domanda, cioè la gente, quantomeno quella elitaria, ha capito che l’evoluzione non può che passare da logiche di Sostenibilità, articolate in tutte le possibili espressioni.

 Ma il Sistema Italia ce la farà? Si può purtroppo fare anche l’ipotesi che il Sistema non ce la faccia, perché la cultura dominante, nonostante tutti i segnali, va in direzione di continuità con le disgrazie che ci stanno accompagnando.

 E quindi?

 In alternativa – o in rimedio – si può fare anche un’altra ipotesi: che le Multinazionali che hanno adottato seriamente politiche di CSR, sviluppino effettiva Responsabilità Sociale anche al di là di dirette connessioni con la propria attività, con attività concrete e credibili, e siano riconosciute in questo. E diventino il vero punto di riferimento. Stante la latitanza manifesta dello Stato, è questa – peraltro – una richiesta crescente della gente.

 Certo, sarebbe un disegno di discontinuità …

–        …con la nostra cultura,

–        …con il nostro desiderio di avere un orgoglio di appartenenza.

 Certo, non avremo più generazioni di cittadini “italiani”. Perdita totale di identità nazionale. Entreremo in un nuovo mondo, ma che forse sarà più equo, e che forse quindi avrà più senso.

 Ma a che prezzo!

 ACCELERAZIONE DELL’INSOPPORTABILITÀ

 I segnali di un Sistema “avariato” erano già stati dati da tempo, soprattutto dalla parte più critica della popolazione (i segmenti elitari, cioè la parte alta della clessidra). E ciò ben prima dell’avvio della crisi che stiamo attraversando.

 Adesso, con quello che sta accadendo, l’intolleranza per il Sistema sta crescendo. Anche perché, al contrario del passato, il coinvolgimento personale nei “guai” è abbondantemente cresciuto:

–        i due terzi degli Italiani subiscono conseguenze dalla crisi;

–        aumenta in modo significativo la percezione di precarietà nel mondo del lavoro;

–        la situazione finanziaria familiare è ai minimi storici;

–        c’è una forte percezione dell’aumento dei prezzi;

–        il piacere di spendere si è azzerato, e ha lasciato il passo, anzi, alla frustrazione (necessità di consumare, ma con difficoltà crescenti);

–        con una strategia di “riduzione dei consumi” che sta sostituendo quella dell’”attenzione ai prezzi e della convenienza”.

 Il tutto accompagnato da sentimenti e comportamenti di diffidenza crescente verso l’Offerta (tutta), ritenuta di fatto responsabile di tutti gli accadimenti.

 Quindi: clima di sfiducia, infedeltà. In definitiva: presa di distanza.

 La “presa di distanza” comunque è stata una decisione sofferta, perché la continua messa in discussione di tutto in genere non fa che complicare la propria esistenza. Oltretutto la complessità della vita aumenta in modo esponenziale: oltre ai problemi di Economia e Finanza del Paese, ci sono le tensioni sociali, le problematiche professionali, le competenze richieste in modo sempre più elevato in ambito professionale, linguistico, informatico.

 Il bisogno di aiuto è forte, ed è sentito anche in questi segmenti. C’è bisogno di entità credibili, che si meritino sul campo fiducia attraverso attività di vera “orizzontalità” verso la gente.

 Di fatto è un momento di grandi opportunità per Grandi Marchi. Vediamo, però, quali sono le  caratteristiche dei bisogni fondamentali di questi segmenti, e quali sono le attese verso questi Grandi Marchi.

 LE TENDENZE FONDAMENTALI DELL’ÉLITE

Al soddisfacimento dei bisogni fondamentali in generale assumono sempre più spazio i cosiddetti “consumi di senso”; più in particolare si rileva:

–        minori propensioni verso le quantità di consumi;

–        consumi più rispondenti ai propri bisogni;

–        qualità strutturale/intrinseca alta;

–        qualità sovrastrutturale eccellente: si consuma “senso”, significati;

–        si ha denaro, ma il contesto economico sociale ha insegnato a dare più valore al denaro. Se ne vuole spendere di meno;

–        si ha più cultura, si sa valutare meglio, si ha anche più informazione in generale; aumenta molto, quindi, anche la cultura dell’opportunità (anche web).

 E a proposito di “senso”, questi i nuovi orientamenti/ tendenze:

–        Esperienze, sensorialità, emozioni

–        Identificazione, memoria

–        Territorio, radicamento, autenticità

–        Mélange, scambio, ibridazione

–        Cura di sé, benessere, equilibrio

–        Consapevolezza, autonomia, disintermediazione

–        Alleggerimento, semplificazione

–        (Eco)sostenibilità, consapevolezza, etica

 Con queste premesse, le attese dell’élite – in generale – verso le Aziende si configurano in quattro direzioni, tutte ispirate all’”orizzontalità” dei rapporti, cioè al fatto che il consumatore/cliente possa a tutti gli effetti sentirsi considerato dall’Azienda come un vero “partner/socio” da soddisfare nel medio-lungo periodo.

 Queste le quattro direzioni:

  • La qualità intrinseca dei prodotti: al di là dei trattamenti cui deve essere sottoposta, la qualità originaria della materia prima non deve scendere a compromessi, con garanzia di tutta la filiera.
  • La rispondenza ai propri bisogni: si desidera che l’Azienda proponga prodotti che veramente sappiano interpretare i propri bisogni. Bisogni il più delle volte non dichiarati, né identificati. La gente non sa quello di cui ha necessità. E’ l’Azienda che deve essere in grado – se è illuminata e se studia attentamente la Domanda – di identificare e proporre nuove soluzioni. Deve essere “davanti” al cliente, e proporgli soluzioni e innovazione di prodotto che rispondano ai bisogni.
  • L’accessibilità. Il prodotto di qualità e rispondente ai bisogni non deve avere un prezzo inavvicinabile, anzi. Ci si aspetta che l’azienda investa anche in innovazione di processo, con l’obiettivo di migliorare (o almeno mantenere) la qualità, ma con costi più contenuti – salvo l’ammortamento per l’innovazione – e quindi consentendo anche un prezzo più contenuto.
  • I contenuti della relazione con la domanda. Si fa riferimento sia alla comunicazione pubblicitaria, sia a tutte le relazioni con la domanda:
  • Comunicazione pubblicitaria: in un periodo così fortemente connotato dalla crisi, i contenuti della comunicazione devono avere una taratura, devono privilegiare certe tematiche in luogo di altre. Ciò non significa che la comunicazione debba essere seriosa al punto da diventare deprimente, ma che deve essere “adulta”. E deve esserci: comunicare non è un’opzione.
  • Alla comunicazione si affiancano tutte le modalità di relazione con la domanda, in tutte le sue forme, che devono essere improntate a un massimo di attenzione per la domanda stessa (assunzione del problema, massimo servizio, gentilezza e sorriso sempre).

 In sostanza, per i segmenti elitari le imprese – posto che vogliano avere successo – devono portare il cliente/partner al centro di tutte le attenzioni. E c’è la certezza che al di là della contingenza che può aver innescato il tutto, in futuro sarà sempre di più così. Il cambiamento indotto è definitivo.

Stante questa constatazione, si potrebbe pensare che questi segmenti elitari, anche nella loro vita privata – e non solo, quindi, nell’esercizio della professione manageriale – abbiano in mente solo se stessi e non il contesto sociale. In realtà non è proprio così.

 UN SUGGERIMENTO CORRETTO: AGIRE SECONDO SOSTENIBILITÀ

 Ascoltando compiutamente le critiche che i segmenti alti fanno al sistema, si scopre che hanno chiaramente in testa “il colpevole” dell’attuale situazione di crisi: è lo stesso colpevole che ha determinato l’allungamento e l’eterogeneizzazione della società, e che ha distrutto la coesione sociale, e cioè le politiche di “brevissimo” periodo, atte a ottimalizzare i profitti nel breve.

I segmenti elitari, avendo fatto diagnosi corretta, non possono che dare per il futuro suggerimenti corretti per chi dovrà prendere delle decisioni: la parola d’ordine è “Sostenibilità”, cioè sviluppo di strategie compatibili con i bisogni della Società – e della sua coesione – e non solo dei singoli, e delle generazioni future e non solo di quelle attuali.

 Quindi:

–        Sostenibilità sociale (alla base della “coesione”)

–        Sostenibilità culturale (uno dei pilastri della sostenibilità sociale)

–        Sostenibilità economica

–        Sostenibilità ambientale

 IN DEFINITIVA

 La Domanda – la gente – chiede quindi Sostenibilità, che in definitiva significa:

 –        Agire sempre sulla base di progetti di medio-lungo periodo

–        Investendo – nei prodotti e nei processi – per dare valore: cose sempre migliori, a un prezzo più equo.

 Le Aziende più sagge l’hanno capito, e si stanno convertendo. E dai primi riscontri stanno avendo conferme sulla avvedutezza delle scelte.

 Ma la gente vorrebbe che lo capisse anche il Governo di questo Paese, con queste parole d’ordine, in sequenza:

 –        dare Etica al Paese, in tutte le forme di vita

–        creare Coesione, smettendola con le contrapposizioni per interessi di parte (soprattutto politiche)

–        definire una visione/progetto di medio- lungo periodo per questo Paese, che si fondi ed esalti le sue specificità – peraltro inimitabili – nella competizione internazionale

–        che attraverso queste “unique selling proposition” conquisti quote di mercato importanti nei Paesi in forte crescita (Asia, America Latina)

–        che dia agli Italiani orgoglio di appartenenza a un Paese finalmente di valore.

 Un sogno? Perché impedirlo…