Il mantra delle ultime crisi del continente nero è stato “soluzioni africane per crisi africane”: così è stato risolto il violento empasse del Kenya nel 2008, così è stato trattato il caso di Zimbabwe, così il contributo dell’Ua e dei leader africani è stato fondamentale per quanto sta accadendo in Sudan intorno al referendum, mentre la risolutezza africana sta certamente connotando lo svolgersi della presente crisi ivoriana. Il ruolo dell’Unione africana nella crisi libica è stato invece dimesso. Complice forse il ruolo non solo di grande finanziatore dell’organizzazione ricoperto dalla Libia, che contribuisce al 15% del budget che viene dai membri, ma anche di ingombrante sponsor dell’organizzazione (Gheddafi l’ha presieduta tra il 2008 e il 2009 tra molti imbarazzi), l’Unione africana non è stata in grado di produrre un’iniziativa di pressione e di azione diplomatica pari a quanto successo in altre occasioni. A marzo, al di là di una serie di comunicati dai toni altalenanti tra la dura condanna dell’uso della violenza, il riconoscimento della volontà delle autorità libiche di attuare alcune riforme e nell’impossibilità forse di opporsi troppo apertamente a un’autorità costituita, l’Ua si è fatta promotrice di due tentativi di mediazione tra i ribelli e il governo. Al tempo stesso, i tre membri africani del Consiglio di sicurezza (Gabon, Nigeria e Sudafrica) votavano a favore della risoluzione che ha autorizzato l’inizio dei bombardamenti sulla Libia. Negli ultimi giorni, per bocca del suo presidente Ping, l’Ua ha chiesto un cessate il fuoco, unendosi a chi è contrario ai bombardamenti di Unified protector. La posizione africana quindi risulta essere poco incisiva, mentre alcune precedenti crisi continentali avevano dimostrato una certa capacità di gestione delle crisi dell’organizzazione quando ad essa si era dato pieno appoggio internazionale. I difensori dell’Ua sostengono che in questo caso sia mancato proprio il supporto della comunità e dei paesi occidentali ad una possibile azione di mediazione.
Giampaolo Calchi Novati (Senior Research Fellow e direttore programma Africa ISPI): “L’Unione africana ha giocato l’unico ruolo che può coprire, ovvero quello dell’intermediario. L’Ua, per statuto, può cercare di evitare crisi umanitarie, può intervenire per promuovere una mediazione, ma non può attaccare il governo di un paese membro. Non ci sono infatti precedenti di sconfessione diretta di leader al potere a meno di non contestare le procedure d’origine stessa del loro potere, ma Gheddafi è andato al potere 40 anni fa e quindi apparirebbe più che pretestuosa una contestazione sulla base del colpo di stato. In teoria l’unico appiglio per una partecipazione più attiva dell’Ua riguarda la violazione dei diritti umani più che l’autorità politica a Tripoli. L’Ua infatti si è lamentata di essere stata messa davanti al passo compiuto dell’attacco, di non essere stata invitata a Parigi, e di essere stata invitata a Londra a cose fatte. Probabilmente gli assetti internazionali hanno prevalso sulla dimensione interna o infra-africana intorno alla quale l’Ua ha configurato suoi interventi”.
Olusegun Akinsanya (Direttore dell’ISS – Istituto di Studi sulla Sicurezza – per l’uffico di Addis Ababa): “La rilevanza del ruolo dell’Unione africana durante la crisi libica dipende da cosa s’intende per un ‘ruolo attivo’. Il Consiglio di Pace e Sicurezza si è riunito diverse volte in merito alla Libia e ha inviato una propria delegazione diplomatica nel paese. La Ua ha ospitato due incontri di alto livello per discutere dei fatti in Libia con le parti coinvolte e ha chiesto la fine delle ostilità. Il problema è che la Ua e il suo Commissario hanno lavorato a una soluzione diplomatica, non a una soluzione che avvenisse attraverso un intervento militare. L’impressione a livello internazionale è che la Ua sia la sola organizzazione in cerca di una soluzione politica e se Gheddafi offrisse un varco in tal senso la Ua sarebbe l’unica organizzazione in grado di gestirlo con la credibilità necessaria. A questo va aggiunto che la Ua ha problemi di capacità e leadership: mentre eravamo concentrati sulla Libia, stavamo affrontando allo stesso tempo la situazione critica in Costa d’Avorio. Non solo: la Ua lavora bene dove c’è una forte leadership della Comunità economica regionale. In Costa d’Avorio l’ECOWAS ha agito in questo senso, mentre in Nord Africa la leadership regionale è stata delegata alla Libia, in questo momento oggetto della crisi. Infine, c’è forte disaccordo su come agire in Libia tra il presidente dell’Ua, Jean Ping, che è del Gabon, e il commissario alla Pace e Sicurezza, Ramtane Lamamra, che è algerino. Anche questo ha inciso sulla capacità di affrontare la crisi libica”.
Michael J.K. Bokor (giornalista e saggista): “[…] Con una visione più ampia (specialmente guardando all’intervento umanitario in Libia) l’Unione Africana manifesta la sua completa paralisi e letargia, un apparato continentale dal quale ci si sarebbe aspettati un ruolo di prima linea nel ridisegnare il continente in seguito a questi sommovimenti politici se solo fosse stata costituita nei fatti e concentrata nel prendere di petto i problemi più stringenti del continente [africano]. Manca di un meccanismo per essere proattiva e ha fallito. La sua esistenza non è legittimata. […] Non è nient’altro che un forum per personaggi apatici e discutibili che si incontrano per confrontare pareri sull’incapacità di gestione dei propri affari. La Ua stessa è un problema che gli africani devono risolvere per primo. […] Gli attuali sordidi avvenimenti in Libia non fanno altro che palesare e riaffermare ulteriormente la letargia e l’inutilità dell’Unione africana”.
(Fonte: ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale)