Appuntamento reale o virtuale? Perché i ragazzi preferiscono la chat
Il grande successo delle chat tra i giovani dipende dalla possibilità che questo strumento offre loro di ampliare tempi e spazi della propria comunicazione con gli altri e, quindi, delle proprie relazioni.
Il mondo reale prevede gli incontri di persona, l’obbligo di esserci nello stesso tempo e nel medesimo luogo con il corpo e con la mente, ha regole di comportamento e limiti sicuramente più impegnativi e coordinati del virtuale. E’ sufficiente, invece, uno smartphone per essere sempre pronti a ricevere o rispondere via chat, indipendentemente dal luogo in cui siamo o dal momento della giornata (basti vedere come l’apertura di uno smartphone è un comportamento automatico, nell’intervallo al cinema, sul tram, in bagno, durante una cena, mentre camminiamo).
Nella dimensione virtuale, dunque, è possibile moltiplicare i segnali della propria presenza, della propria disponibilità (“Sono fisicamente altrove, ma in fondo ci sei tu, qui, con me”). Il prezzo da pagare, tuttavia, è di escludere informazioni relazionali (“Non percepisci nulla della mia fisicità, e neppure io della tua”, “Non colgo gli sguardi, le imperfezioni, il tono della voce e le titubanze o la reattività propria e altrui”, tutti elementi certamente utili a conoscerci meglio, ma capaci anche di farci sentire più esposti, se non indifesi, soprattutto in questa società dell’apparire (che ci vuole sempre belli, adeguati, disinvolti, competenti).
Il successo delle chat è proprio nella facilitazione che nasce da ciò che viene ampliato dal virtuale (tempi e modi di comunicare, si diceva) e l‘importante semplificazione emozionale che permette di misurarsi su un terreno virtuale, nel quale è più semplice giocare i propri meccanismi di difesa che proteggono dal nostro vissuto, che non ci fanno sentire mancanti o inadeguati (ci sentiamo sempre troppo grassi, troppo magri, troppo alti, troppo piccoli, troppo emotivi).
Nuovi amici, nuovi giudicanti
Il web sviluppa in modo velocissimo nuovi legami e quindi attiva e sostiene lo sforzo di ciascun adolescente di creare un mondo di relazioni e di affettività indipendente da quello dei genitori, dai quali bisogna sapersi separare per accedere poco per volta al proprio modo di essere adulti.
Un istante dopo aver creato nuove appartenenze (a nuovi gruppi di amici, a persone con le quali si condividono sport, interessi e passioni) si può sconfinare nella preoccupazione per il potenziale e incontrollabile ampliamento della platea degli “osservatori” (di persone, cioè, che ci potrebbero giudicare. E così ricompare il timore di apparire inadeguati, di essere derisi o esclusi. Ricomincia la continua e ansiosa ricerca di apprezzamento, con i relativi rischi di una percezione di sé che porta a un disagio anche profondo, misto spesso a disistima e vergogna.
Tutto ciò premesso, dal punto di vista psicologico dobbiamo distinguere la necessità di mantenere contatti con chi si è conosciuto e frequentato e che, per motivi diversi, non è al momento raggiungibile fisicamente, ma che lo è invece, sebbene in modo parziale, sfruttando queste nuove tecnologie (pensiamo a quanto avvenuto durante la recente pandemia e il lockdown). In questo caso è evidente che si tratta di favorire la continuità della relazione in attesa di un ricongiungimento.
La differenza di conoscersi già, oppure no
Diversa è, invece, la relazione fra due persone che non si conoscono nella vita reale, o che nella vita reale non si frequentano, una relazione, la loro, che raggiunge spesso alti livelli di intimità. Qui la faccenda un poco si complica: la chat potrebbe essere una cauta iniziazione, una pratica che facilita l’abbattere almeno parziale di impacci e timidezze (potremmo intenderla come una sorta di palestra dove collaudare la propria capacità di farsi desiderare o ammirare), ma se perdura per un tempo indefinito, se non progetta altre modalità, diviene un espediente psicologico inconsciamente organizzato per evitare situazioni più complesse (in presenza), con le difficoltà di una relazione piena. Certamente c’è un auto-inganno.
Un esempio: Giovanna 22 anni da due anni intrattiene con un ragazzo conosciuto su un social, una relazione ad alta intensità letterario-erotica. Non si sono mai incontrati, l’ipotesi di un incontro è vissuto, probabilmente da entrambi, non solo con imbarazzo, ma con la certezza che “finirebbe tutto”, quasi un tradimento del loro patto virtuale.
I pericoli connessi al digitale
Alla base dei pericoli della Rete ci sono nodi, difficoltà personali, in cui possiamo incappare anche nella vita reale, indipendentemente dall’età e dall’esperienza. Questi stessi aspetti disfunzionali, tuttavia, possono essere amplificati dalle attività in Rete.
Internet è uno strumento straordinario, fornisce illimitate informazioni che arrivano solo con un click. E’ una fonte inesauribile di informazioni, ma proprio per questa sua ricchezza può diventare facilmente pervasivo, può irretirci e condurci in zone e argomenti anche lontani dall’input iniziale o dal compito che ci eravamo prefissato. Una potenzialità comunicativa ed esplorativa letteralmente sempre a portata di mano e, quindi, per definizione potenzialmente invasiva di tempi e spazi.
Pensiamo a giovani (e adulti) immersi nei propri cellulari o nel pc, persone irraggiungibili, aggressive se si tenta di distoglierli dal web. Questo accade perché la Rete produce emozioni, cioè promuove stimoli, piacevoli o dolorosi, ma potenti e immediati ai quali occorre rispondere in modo altrettanto immediato. Per tacitare stimoli negativi o per continuare a goderne se positivi.
I Social, le chat con il loro corredo di Like possono essere vissuti come sguardi approvanti o disapprovanti di grande autorevolezza (come da piccoli erano per noi i genitori) e quindi intervenire pesantemente sulla percezione di sé e del proprio valore, promuovendo eccessi narcisistici o, vicevera, distruggendo l’autostima (spesso entrambe le cose, in momenti successivi e diversi).
Gli adulti possono aiutare i giovani nella fatica dell’auto percezione favorendo in loro lo sviluppo della funzione riflessiva, cioè la capacità di riconoscere, di dare un nome ai propri stati emozionali nelle varie situazioni.
Questa operazione di sostegno alla decodifica emotiva, senza invasioni, ma favorendo il lavoro di mentalizzazione, può promuovere nei giovani (e nei propri figli) il ritorno dalla stanza virtuale a quella reale.
Competenze tecnologiche e competenze emotive
Un insegnamento che gli adulti dovrebbero passare ai giovani, con l’esempio della loro stessa esperienza, è quello di riconoscere, accettare (in quanto espressioni naturali umane) ed esprimere in modo adeguato le proprie emozioni: la funzione dell’adulto, infatti, è mostrare che ciò è possibile, che l’adulto stesso è il primo a perseguire e praticare nella propria vita quotidiana un dialogo con il proprio mondo interiore, le proprie paure, le proprie ambivalenze.
Un aspetto, invece, che la tecnologia eccita, come risposta al bisogno psichico di stabilità, è la tendenza a ottenere sollievo immediato dalle proprie paure e tensioni, evitando di dare tempo e spazio a una riflessione sulle emozioni in corso. La risposta immediata “placa”, ma non risolve.
Accettare il giudizio degli altri è possibile se si può contare su un proprio buon livello di autostima, se si riesce a farsi scivolare addosso eventuali giudizi negativi.
Diverso è se si vivono esperienze negative che non si sanno dominare e se le ferite sofferte non vengono rielaborate, non sono riviste per capirne la dinamica interna ed esterna che le ha determinate. Se l’esperienza lascia tracce emotive non metabolizzate, addirittura inconsapevoli e silenti, queste saranno pronte a riemergere in momenti successivi come vere e proprie crisi di autostima.
In generale l’autostima, che ha radici principalmente nelle esperienze infantili di accoglimento (o di non accoglimento) dei vari aspetti di sé, mette in relazione l’idea di un sé reale (costruito tramite esperienze quotidiane, successi e insuccessi nel loro insieme) e un sé ideale, cioè come vorremmo autenticamente essere.
Se consideriamo l’autostima relativa all’aspetto fisico (importantissimo nell’adolescenza) una riflessione merita la pratica dei selfie la cui pubblicazione facilita la raccolta di molti like, nuova unità di misura del proprio successo
Esempio: un giovane, che riceve assistenza psicologica già da tempo, ha trovato una risposta narcisistica ai suoi problemi personali (facilmente bersaglio della tirannia dei social e dei like. Oltre a sottoporsi a pratiche quasi continue per raggiungere la sua idea di perfezione (dieta, ginnastica, depilazioni), arriva addirittura ad acquistare su internet i like per il suo profilo Instagram. Più like acquista e più like autentici attira, dice.
Al contrario, ci sono in terapia ragazzine tormentate dalla propria immagine corporea, che è diversa da quella suggerita da tv e social. Il raggiungimento di canoni di bellezza irrealistici e irraggiungibili, definiti dalla moda e dai social, vorrebbe essere l’unità di misura per ottenere stima e approvazione, ma attualmente è il veicolo del disprezzo di sé.
E’ importante, invece, far emergere la bellezza della propria specificità individuale e favorire il riconoscimento degli elementi che caratterizzano il disimpegno morale che si nasconde nelle pieghe di alcune comunicazioni social.
Sin da bambini ci viene via via insegnato quel che si può dire o fare e quel che non si può dire, pensare o fare, a seconda della educazione che ci viene impartita.
La Rete rappresenta e interpreta molte differenti culture e visioni di mondo, quindi, non esistono argomenti che non vi possano trovare spazio, e non esistono tabù per chi naviga in Rete.
Se pensiamo agli adolescenti alle prese con il loro corpo che cambia, e che diviene sessuato, la necessità di capire qualcosa della sessualità diventa spesso un’urgenza che la Rete, nel bene o nel male, con messaggi adeguati o contrari a una crescita armonica e consapevole, può dare in ogni momento.
In assenza di una figura adulta al fianco degli adolescenti, il materiale pornografico di vario tipo, gli esempi di altrettanto varie pratiche sessuali, possono diventare una sorta di “corso accelerato”. Si tratta di performances di grande effetto che producono effetti nel corpo e nella mente, ma del tutto prive di contenuti affettivi.
Il rischio è di rimanere intrappolati in una idea di sessualità che celebra la scissione fra corpo e mente con effetti evidentemente pericolosi rispetto alla relazione con sé e con l’altro.
La difficoltà dei genitori ad avviare un dialogo con i figli sulla questione della sessualità dipende sicuramente dai tabù dei genitori (che sono stati figli e bambini), o ancora dalla difficoltà a trovare le parole e il momento adeguati. Non bisogna di sedersi a tavolino, a una data di un giorno per affrontare il tema, ma si tratta di non escludere il tema della sessualità dal normale scambio di opinioni quando esso si presenti (commentare un film, una notizia, una immagine) sempre facendo emergere l’importanza del rispetto pieno di sé e dell’altro.
di Franca Beatrice, Psicologa- Psicoterapeuta