Il fatto che Letizia Moratti, nel prendere atto della sua sconfitta, abbia dichiarato di voler porre in campo il capitale di fiducia che ritiene di aver raccolto negli anni scorsi per metterlo, bontà sua, a disposizione di Milano e del Paese, ci autorizza a dubitare che abbia intenzione di dimettersi da commissario straordinario nominato da Berlusconi per Expo 2015. Anche se Roberto Formigoni, proprio il giorno dopo le elezioni comunali, ha formalizzato la costituzione della Arexpo Spa, la società a capitale pubblico prevalente che ha il compito di acquistare i terreni di Cabassi e della Fiera e di gestirne la valorizzazione, non sembra che la vittoria di Giuliano Pisapia possa portare ipso facto a superare la situazione di inefficienza, causa dei grandi ritardi, e che la manifestazione del 2015 possa finalmente diventare quella grande opportunità per la città, per la Lombardia e per il Paese che anche il nuovo sindaco auspica.
E sebbene il presidente della regione si sia pubblicamente augurato di poter collaborare al meglio con Pisapia, e Stefano Boeri abbia prontamente dato la disponibilità della nuova amministrazione, la situazione si presenta certamente molto complicata. Letizia Moratti, forte del suo ruolo di commissario straordinario, non eviterà certamente di fare di tutto per condizionare, con i suoi poteri straordinari, i rapporti che si instaureranno tra Formigoni e Pisapia, e la situazione è resa ancora più cruciale dall’urgenza con cui devono essere prese decisioni determinanti per portare al BIE, il prossimo 14 giugno, gli atti che dimostrino l’avvenuta acquisizione delle aree per poter cominciare a realizzare concretamente le opere necessarie. Figuratevi che per questa prossima scadenza c’era il pericolo che fosse ancora solo la Moratti a rappresentare Milano, perché Pisapia, che avrà pieni poteri solo dal 20 giugno, data nella quale Consiglio e Giunta saranno finalmente insediati, pareva non avesse la possibilità di parteciparvi.
Intanto il tempo a disposizione si è ridotto a meno di quattro anni, e già da parecchi mesi gli agronomi responsabili dell’orto planetario hanno avvertito che non sarà più possibile mettere a dimora e far crescere adeguatamente le essenze arboree per ricreare i differenti biotipi del pianeta nelle grandi serre. I finanziamenti per realizzare il sito dell’Expo, che nel dossier di candidatura erano di tre miliardi e mezzo, realisticamente ridimensionati a un miliardo e ottocento milioni in occasione della presentazione del masterplan della Consulta Architettonica, si sono ulteriormente ridotti a un miliardo e settecento milioni di euro e due giorni fa Giuseppe Sala, amministratore delegato di Expo 2015 Spa, succeduto ormai da quasi un anno a Lucio Stanca, intervistato da Report ha dichiarato che non si disporrà di più di un miliardo e mezzo di euro.
Inoltre Guido Podestà sta cercando di ridurre ulteriormente la già esigua quota di partecipazione della Provincia di Milano, se non di rinunciare del tutto a farne parte. A meno che possa andare in porto l’ipotesi di baratto, approvato a larga maggioranza, in cui si prefigura l’ingresso della Provincia in Arexpo in cambio della cessione alla Regione delle sue quote della SEA. Infine, sempre Giuseppe Sala ha recentemente dichiarato che gli orti non si riesce proprio a venderli ai paesi partecipanti e che quindi bisogna rinunciare all’orto planetario e dedicarsi alle tecnologie, e ciò temo che possa significare, con buona pace di Carlin Petrini, dare soprattutto spazio alle multinazionali del cibo e alle colture transgeniche
Del resto, nella presentazione che lo stesso Sala aveva fatto in occasione dell’ultima manifestazione organizzata al Teatro Dal Verme per tentare di tirare la volata a Letizia Moratti, lo scenario dei padiglioni al posto degli orti si era già presentato in tutta evidenza, e non si era fatto più alcun cenno a quei progetti – la via d’acqua con le cascine e la via di terra con il percorso della conoscenza – che avrebbero potuto coinvolgere, anche se marginalmente, la città e il territorio.
C’è da domandarsi quale convenienza abbia Pisapia e la nuova amministrazione comunale a farsi coinvolgere e rendersi responsabile e complice della gestione di una situazione tanto compromessa.
L’aspirazione, del tutto comprensibile, di Stefano Boeri a rilanciare il suo progetto di Expo per cercare di evitare che “si trasformi in un supermercato dei cibi e dei prodotti locali” sembra una battaglia veramente ardua, sia perché non c’è più tempo per ricalibrare il programma, sia perché gli impegni nel frattempo assunti nei confronti dei paesi che hanno già aderito non potranno essere ridefiniti. Tuttavia, il suo rinnovato impegno potrà forse evitare che la manifestazione degeneri in una kermesse gastronomica senza alcun contenuto riferito al tema che resta comunque di grande interesse. Considerando le poche risorse a disposizione e le inevitabili dispute tra le varie componenti politiche e non (Regione, Provincia, BIE, Governo, Fiera, Tremonti, Moratti, Cabassi, Expo 2015 Spa, Arexpo Spa), il modo per salvare la manifestazione non sembra poter dipendere da quel poco che si potrà fare per qualificare l’Expo ufficiale che verrà realizzata nel sito in prossimità della Fiera di Rho-Pero.
L’unica questione sulla quale il Comune di Milano può avere una reale competenza è semmai quello delle aree che la Arexpo Spa ha il compito di acquisire e gestire fino alla loro discussa valorizzazione dopo la manifestazione, sia perché anche il Comune fa parte della citata società, sia perché tali aree appartengono, seppure in modesta parte, al territorio comunale sul quale è in grado di esercitare tutte le prerogative urbanistiche e amministrative. Ma anche su questo terreno Pisapia non avrà vita facile. Basta riflettere su quali complicità hanno reso possibile alla Moratti di approvare in extremis il progetto di Cascina Merlata un attimo prima dello scadere del suo mandato, con la motivazione che tale intervento rappresenterebbe, anche se ciò non è per niente vero, la porta d’ingresso all’Expo, ed è oltretutto accertato che non potrà essere ultimato per la sua inaugurazione.
Rispetto al ginepraio descritto, vale allora la pena di considerare bene su cosa impegnarsi. A mio parere si potranno ottenere risultati ben più consistenti e significativi realizzando, in analogia a quanto avviene ogni anno con il Fuori Salone in occasione del Salone del Mobile, una grande “Fuori Expo” diffusa e sostenibile cui Giuliano Pisapia ha fatto esplicito riferimento sia durante le primarie, sia nella successiva vittoriosa campagna elettorale. Naturalmente bisogna tener presente che mentre il Fuori Salone dura sei giorni e al termine di ogni edizione tutto può essere facilmente smontato e tornare come prima, l’Expo dovrà durare sei mesi e richiederà ben altre risorse e impegno organizzativo e sarà soprattutto necessario che ogni intervento programmato abbia il suo business plan, sia autosufficiente e dotato di fattibilità economica, oltre che sostenibile in termini energetici, ambientali e sociali.
Solo così l’eredità che sarà lasciata ai territori dopo l’Expo non sarà negativa e pesante come si è verificato nei casi di Hannover e Siviglia, città che non sono riuscite a recuperare le aree che hanno ospitato la manifestazione ancora oggi occupate da padiglioni abbandonati e in rovina.
Per portare avanti il “Fuori Expo” come iniziativa indipendente e libera non serve il placet dell’Expo ufficiale. E’ sicuramente meglio seguire l’esempio del Fuori Salone che è riuscito, del tutto autonomamente a coinvolgere la città e a suscitare l’interesse dei designers emergenti, attirando a Milano i giovani del mondo intero. Al fine di dare un’adeguata attuazione al tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, certamente di grande interesse, è questa la soluzione più idonea per rinnovare concretamente la formula ormai superata e obsoleta delle Esposizioni universali di cui quella di Shangai dovrebbe essere stata la più imponente ma anche l’ultima.
E anche se il BIE ha preteso che la manifestazione del 2015 sia organizzata in uno specifico sito, resta comunque la possibilità di realizzare un grande “Fuori Expo”, che sarà certamente a sostegno della manifestazione ufficiale e in grado di favorirne il successo. Ciò consentirà non soltanto di mostrare ai visitatori qualcosa di sensazionale, come si è cercato di fare in tutte le precedenti Esposizioni niversali – cosa che oggi, nell’era di Internet, non ha più molto senso -, ma offrirà anche la concreta possibilità, soprattutto ai giovani, di sperimentare per la durata della loro visita un tipo di vita nel segno della sostenibilità in tutti i suoi aspetti: dallo spostarsi tra le varie sedi dell’Expo diffuse nei territori, all’ospitalità, al divertimento, allo sport, alla cultura.
E soprattutto di nutrirsi con cibi biologici dei vari Paesi dimostrando come sia possibile evitare gli sprechi e sfamare veramente l’umanità senza annientare la natura e distruggere il pianeta. Proprio in questa esperienza altamente formativa offerta ai visitatori, consisterà il rinnovamento della formula dell’Esposizione universale che Milano potrebbe inaugurare nel 2015 come Expo Diffusa e Sostenibile che sappia porsi i seguenti obiettivi fondamentali:
* contribuire al successo di Expo 2015 creando una complessa sinergia tra la manifestazione ufficiale e l’insieme delle iniziative che potranno essere messe in atto nei territori;
* sfruttare tutte le opportunità e le risorse di cui i territori già dispongono, che nell’occasione potranno essere utilmente valorizzate;
* favorire la conversione alla sostenibilità di molte realtà che non avrebbero altre possibilità di perseguirla e attuarla;
* lasciare una eredità positiva, rappresentata dall’insieme degli interventi che si realizzeranno, tenendo conto non solo dell’utilizzazione che se ne potrà fare in occasione della manifestazione, ma anche successivamente, a favore dei territori interessati;
* configurare quella che potremmo definire la “armatura della futura metropoli sostenibile” che potrà rappresentare l’innesco di un processo di adeguamento dell’intera realtà territoriale alle buone pratiche della sostenibilità in tutte le possibili applicazioni.
Il pericolo che l’Expo si riduca a una kermesse gastronomica è senz’altro incombente ma, di là dai buoni propositi, il modo migliore per salvaguardarne e promuoverne i contenuti è proprio quello di legarla ai territori, che restano gli unici veri depositari delle tradizioni, della cultura materiale e dei saperi che hanno prodotto le nostre eccellenze agroalimentari che, assieme agli straordinari paesaggi che fanno loro da sfondo, si pongono in stretto rapporto con l’arte e la cultura che fanno del nostro Paese un caso unico.
Giuliano Pisapia deve dimostrare di essere il vero sindaco del capoluogo regionale, assumendo quale scenario di riferimento l’area metropolitana che investe ormai l’intera Lombardia, cogliendo l’occasione dell’Expo anche per rimodulare il Piano di Governo del Territorio, adeguandolo alla scala dei problemi che la città deve affrontare a prescindere e superando i suoi angusti limiti amministrativi.
Il “Fuori Expo” gli consentirà di utilizzare l’occasione per realizzare un grande esperimento di governo metropolitano promuovendo e realizzando una serie d’interventi coordinati con gli altri comuni, le amministrazioni provinciali e la Regione, coinvolgendo i territori e tutte le componenti sociali che vi operano, dalle università e centri di ricerca alle scuole, alle associazioni professionali e imprenditoriali, al volontariato, alle parrocchie, ai comitati civici, alle minoranze etniche e ai sindacati.
In questo nuovo scenario dell’Expo Diffusa e Sostenibile del 2015 proprio le organizzazioni dei lavoratori potrebbero proporsi, per fronteggiare le nuove emergenze sociali e del lavoro a scala planetaria, di rinnovare l’impegno che le vide protagoniste centocinquanta anni fa, durante l’Esposizione universale di Londra del 1862, quando le delegazioni operaie francesi inviate da Napoleone III posero le basi, assieme agli operai inglesi, della costituzione dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori.
Emilio Battisti, da Arcipelago Milano