Le aperture
Il Corriere della Sera: “I Tea party spingono i repubblicani. Obama indebolito dovrà cambiare”. “Elezioni di midterm: I democratici perdono la Camera e calano al Senato”. Il titolo più grande è a centro pagina: “Berlusconi attacca gay e stampa. ‘Meglio guardare le ragazze che essere omosessuali’. ‘Intercettazioni? Chiudere i giornali per 30 giorni’. Proteste e sit-in. Vertice sul governo. La Lega: si va avanti”. In prima anche un richiamo per il caso Ruby, con le dichiarazioni di ieri del procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati: “La Procura: l’affido di Ruby era regolare”. L’editoriale del quotidiano milanese è firmato da Sergio Romano, che non si sofferma tanto sulle “parole inaccettabili” pronunciate ieri dal premier ma dalla tenuta del suo governo. “L’immagine di un Paese. Pubblico e privato in Italia”:
Il Giornale: “La Procura ‘assolve’ Berlusconi. Il caso Ruby si sgonfia. Una bufala le accuse per le telefonate alla Questura di Milano. Ma da Palermo arriva un’altra ondata di fango. ‘Meglio le belle ragazze che essere gay’: altra bufera sul premier”. L’editoriale di Vittorio Feltri è oggi un “consiglio a Silvio”: “Diventare Silvia”. Nel senso che “una volta, quando i gay si chiamavano pederasti, si esagerava nel condannarli”, ma adesso “le parti si sono invertite”, e “se oggi non sei gay o almeno bisex non vali niente”. “Ecco il limite del Cavaliere: non è alla moda”. Per essere “apprezzato da Bersani, da Vendola, da Della Vedova, da Fini e perfino da Di Pietro”, deve fare “una scelta radicale: diventare frocio”. In prima – con foto di Fini in compagnia di Elisabetta Tulliani su una imbarcazione – anche la notizia che “la Cassazione tiene a mollo il sub Fini. Immersione nella riserva, no all’archiviazione”. A centro pagina i dati dell’economia italiana secondo l’agenzia Standard & Poor’s.: “La nave italiana va, il governo tiri dritto”.
Libero: “I pm ci provano 23 volte con Ruby. Fermata per furto, la interrogano solo sul premier. Poi si arrendono: né reati né irregolarità. Spunta un’altra escort: mi diede 5000 Euro”. In prima pagina anche una lettera di un “affezionato lettore” del quotidiano, titolata così: “Non possiamo attaccare il Cav anche noi”. Risponde Maurizio Belpietro: “E’ dura aiutarlo se non inizia ad aiutarsi da sé”. A centro pagina la battuta del premier (“Ma questo è un autogol”, scrive Mario Giordano; “No, guadagnerà voti”, risponde Maria Giovanna Maglie).
La Stampa: “Meglio le ragazze che i gay”. “Il Cavaliere scatena una nuova bufera. La Procura di Milano ‘scagiona’ la Questura sul caso della marocchina. Berlusconi: Ruby? Un problemino. E rilancia sulle intercettazioni: chiuda chi le pubblica. Palermo, una escort racconta: incontri a luci rosse col premier. Poi tira in ballo Brunetta”. A centro pagina: “Obama perde la Camera, Senato in bilico”. Midterm, la crisi spinge i repubblicani, i democratici resistono e tengono i seggi chiave”. Maurizio Molinari in prima pagina commenta l’esito: “Ora sarà costretto a scelte bipartisan”.
La Repubblica: “Berlusconi insulta i gay. ‘Meglio amare le ragazze…’, polemiche in tutto il mondo. La Procura su Ruby: regolare l’affido, ma l’inchiesta prosegue. E attacca i giornali: ‘Chiudere chi pubblica intercettazioni’. In prima anche la sesta puntata degli articoli di Giuseppe D’Avanzo titolati “Abuso di potere”, con un altro titolo: “Un’altra escort accusa: sesso e droga dal premier. ‘Mi pagò 10 mila euro. Andai anche con Brunetta’. Il ministro smentisce”. Di spalla le elezioni di midterm Usa: “Usa, Obama punito, Camera ai repubblicani. Senato in bilico”. Il commento è di Federico Rampini: “Riforme in pericolo”. A centro pagina: “Pacco bomba dalla Grecia: era diretto a Palazzo Chigi. Allarme a bordo, atterraggio a Vologna: ordigno fatto brillare”.
Il Riformista titola sul “Silvio pride”, e si sofferma con Antonio Polito sulla successione: “La pazzia di re Giorgio e la Reggenza”. Altro commento affidato a Peppino Caldarola: “Non è una gaffe, è peggio”. Sulla politica un titolo su Futuro e Libertà: “Appoggio esterno? E’ rivolta nel Fli”. Si tratterebbe del dibattito su una delle ipotesi in campo in vista del congresso di Generazione Italia: il ritiro della delegazione dei finiani dal governo e l’appoggio al governo senza avere ministri o sottosegretari. In prima pagina anche un titolo sull’Iran: “E’ pronto il patibolo per Sakineh. Allarme Iran: ‘Prevista per oggi’. La reazione delle donne arabe in convegno a Roma”.
Il Foglio: “Perché Obama resta calmo sotto la Gran Bastonata di midterm. I democratici perdono la supermaggioranza ma vendono cara la pelle al Senato. L’alternanza non terrorizza il presidente”, il titolo. E poi: “Mai campagna più costosa”. Di spalla due titoli sulle cose italiane:”Omofollia. Battuta di serie B, ma il senso è macho e non omofobico. Il Cav grande sdoganatore di gay”,. dove si ricorda che “le sue televisioni da anni coltivano allegramente e professionalmente la gaiezza”, e che, nonostante la redazione del Foglio abbia compattamente “sbattuto la testa contro il muro” quando sono arrivate le dichiarazioni del premier, tanto “alcuni hanno tentato il suicidio impiccandosi con i fili dei computer e alla luce al neon”, e comunque “nessuno intende difendere o giustificare la boutade”, “è chiaro” che il premier ha detto la sua battuta solo in senso “egocentrico: non sono gay, ragazze, in caso non l’aveste ancora notato”. Ancora in prima: “Così l’antiberlusconismo di destra esce dall’ombra missina e condiziona Fini. Codici estetici e culturali diversi, mugugni mal sopiti, l’ansia di emanciparsi e l’attesa del dopo Cav. ‘Anche nella Lega è così'”.
L’Unità: “La tragedia di un uomo ridicolo”. “Berlusconi anti gay: ‘Meglio le belle ragazze che gli omosessuali’. Poi minaccia la stampa. L’indignazione dilaga in tutto il mondo”. In prima, con foto, anche un richiamo all’arrivo al vertice della Cgil di Susanna Camusso: “Il giorno di Susanna, Cgil si tinge di rosa”. Sarà eletta oggi alla guida del maggior sindacato italiano. In prima anche un richiamo per Sakineh e le sue “ultime ore: dai rifugiati annuncio choc”:
Il Sole 24 Ore: “Tornano le due Americhe. La Fed decide oggi sull’iniezione di liquidità, India e Australia alzano i tassi per frenare altre bolle. La Camera ai repubblicani, il Senato rimane democratico”. L’editoriale è firmato da Martin Wolf: “Usa e Cina, l’abbraccio possibile delle valute”. A centro pagina le polemiche politiche con le frasi di Berlusconi ed il vertice di ieri tra Berlusconi e Bossi.
Elezioni Usa
I Repubblicani hanno conquistato il controllo della Camera e sono cresciuti – ma non hanno vinto – al Senato. La corrispondenza de La Stampa da Washington punta l’attenzione sulla offerta di cooperazione ai Repubblicani che probabilmente oggi renderà nota il presidente Obama in una conferenza stampa nella east room della Casa Bianca. Cooperazione che inizia sul terreno dell’economia, raggiungendo un compromesso sul rinnovo dei tagli fiscali varati da George W. Bush e sul mantenimento dei livelli di spesa pubblica per sostenere gli investimenti nelle grandi infrastrutture. Intese possibili e compromessi possono ipotizzarsi sulla riforma dell’immigrazione e sul disarmo strategico.
La Repubblica riproduce una intervista di Obama alla radio della sua città, WGCI, concessa dal Presidente a seggi aperti. Conferma: “Io spero di poter lavorare con i Repubblicani”. Ma dipende dal tipo di congresso che verrà fuori, poiché “vogliono cancellare la riforma sanitaria, l’hanno già detto. Vogliono ridisegnare la riforma finanziaria”. Ma, ammonisce Obama, se noi rinunciamo alla riforma sanitaria vorrà dire che i giovani che adesso possono contare sull’assicurazione sanitaria dei genitori fino a 26 anni, perderanno questo diritto.
Per Il Sole 24 Ore il “dilemma di Obama” sarà per l’appunto se sterzare o no al centro. Consiglieri e analisti invitano il presidente a seguire una strategia prudente, ma non è escluso un arroccamento liberal. Due i modelli possibili: la strada di Clinton che – nel 1994 – perso il Congresso, tese al mano agli avversari e venne rieletto; o quella del presidente Truman, che nel 1946 mandò al diavolo l’opposizione e poi rivinse.
Lo stesso quotidiano affida a 8 analisti un giudizio sul voto Usa (da Bill Emmot a Kupchan, da Marta Dassù a Moises Naim).
Il Riformista intervista il politologo americano Larry Sabato, che “da un decennio azzecca tutti i risultati” delle elezioni Usa. “Ora battaglia dura fino alle presidenziali”. Spiega Sabato che “nella tradizione del midterm” questa tornata elettorale non poteva che essere Repubblicana. Il movimento dei Tea Party è “un’arma a doppio taglio” perché “alcuni candidati hanno fatto perdere seggi che altrimenti sarebbero stati a portata di mano. Il caso più evidente è quello di Christine O’Donnel nel Delaware. Il moderato Mike Castle, sconfitto alle primarie, avrebbe avuto molte più chance”. Quanto ad Obama, le elezioni di midterm sono “da sempre considerate” un “referendum sulle politiche del Presidente”, nonostante siano in realtà “corse individuali spalmate su tutto il Paese”. “Oggi la maggioranza degli elettori è convinta – a torto o a ragione – che Obama abbia promesso troppo e realizzato troppo poco”. Sabato spiega inoltre che nel 2008 andarono a votare 15 milioni di persone perlopiù giovani e immigrati (i cosiddetti surge voters) che non avevano mai votato prima, e che quest’anno sembra siano rimasti a casa. Può riconquistarli il Presidente? Secondo il politologo c’è un calo fisiologico nel midterm e molto può cambiare in due anni. Nella politica Usa il pendolo oscilla di continuo tra destra e sinistra, dice Sabato: ma questa oscillazione ha subito una netta accelerazione, e ormai quasi ad ogni elezione gli americani votano per cambiare.
Il Corriere scrive che a guidare la riscossa repubblicana sono i Tea Party: già da ieri sera era noto che avevano incassato il loro primo senatore con la vittoria del controverso Paul Rand, che ha conquistato agevolmente il seggio del Kentucky. E’ un oculista, criticato per alcune battute razziste, figlio di uno degli ispiratori dei Tea Party.
Elezioni Usa – 2
Allen Sinai, “guru di Wall Street”,. intervistato da La Stampa, si dice convinto che all’economia fa bene un congresso diviso: “Col riassestamento del baricentro verso i repubblicani, le politiche del governo dovranno necessariamente cambiare, divendendo meno spendaccione e dando maggiore enfasi alle leve tributarie come stimolo all’economia”. Sinai fa queste considerazioni perché convinto che le politiche di stimolo fiscale e quelle macroeconomiche attuate dall’amministrazione Obama “non solo non sono riuscite a far rientrare l’emergenza occupazionale, ma hanno contribuito ad allargare ulteriormente deficit e debito pubblico”
Un lungo reportage da Washington dello stesso quotidiano racconta che dietro il boom del Tea Party vi siano “tre casalinghe arrabbiate”: La prima è una ex assistente di volo della Delta, la seconda una casalinga che faceva pulizie a domicilio per aiutare il marito, la terza una casalinga del New Jersey che aveva deciso di creare un blog. Prime proteste contro i salvataggi delle banche, e la prima ribellione.
Il Foglio interpella due sondaggisti, Scott Rasmussen e Doug Schon, che pare abbiano prodotto la prima analisi comprensiva del movimento Tea Party. Dice Rasmussen che la maggior parte degli americani crede che il salvataggio di banche e grossi gruppi finanziari fosse sbagliato; e ritiene che questa sia la prova che il governo aiuta soltanto gli amici, “lasciando la classe media a fare i conti con le regole del gioco”. Per Rasmussen la maggioranza dell’elettorato è anche contraria alla riforma della sanità: il 64 per cento dei votanti crede sia un danno per la nazione e il 57 per cento dice che danneggerà l’economia degli Stati Uniti: “questi temi hanno innescato la reazione rabbiosa che è diventata il Tea Party”. Secondo i due studiosi il movimento ha un’ampia base e largo seguito, sono eterogenei a livello razziale, etnico e culturale, ma è l’agenda sulla resposabilità fiscale e la riduzione del deficit a unire la base. Secondo Rasmussen i Tea Party sono costituiti da tre gruppi distinti: i neofiti della politica, gli indipendenti che si sentono traditi da Dem e Rep per le spese fuori controllo, l’ingerenza del governo e il debito pubblico, e, infine, i Repubblicani conservatori che non hanno una classe politica. Secondo i due sondaggisti la metà dei sostenitori non sono Repubblicani, un terzo si identiifica con i Democratici e un terzo con i moderati e i liberali. Tanto che, secondo i due, i sondaggi dicono che una quota oscillante tra il 15 e il 30 per cento dei Tea Party ha votato Obama nel 2008.
Su L’Unità viene riprodotta l’analisi di Tina Brown, direttrice del sito The Daily Beast, dedicato a quel che deve fare il presidente Obama. L’incipit: “Una cosa spero che Barack Obama butti a mare stamattina, dopo le elezioni di midterm: tutte le chiacchiere su come cambiare Washington”, “dopo una breve luna di miele con le speranze incarnate da Obama nel 2008, l’elettorato si è rivolto altrove per sperare in qualcosa di concreto”. La Brown incita il presidentee a creare un consenso popolare intorno al proprio operato e ad evitare “manierismi simbolici”, per cominciare a “giocare per vincere”: “ad esempio: il mito assurdo che lo vuole di religione musulmana, verrebbe facilmente spazzato via se ogni domenica, Bibbia in mano, si recasse con tutta la famiglia nella più vicina chiesa episcopale”, “vivere la propria fede privatamente, come fa Obama, è l’ennesima forma di fastidioso elitarismo”. Quanto poi alla tanto decantata “rabbia del mondo degli affari”, Obama avrebbe potuto ascoltare il punto di vista degli imprenditori, quando li ha ricevuti alla Casa Bianca, anziché dar l’impressione di voler far loro una predica. E “invece di osservare con disprezzo la volgare teatralità del Tea Party, o di cercare di arraffare il voto dei giovani con una valanga di programmi televisivi via cavo, Obama dovrebbe rivolgersi alle masse, non ai pochi, dovrebbe usare il megafono, non il fischietto”.
E poi
Sulle pagine della cultura de La Repubblica si dà conto del convegno organizzato a New Delhi dalla rivista Reset dedicato alla sfida islamica alla democrazia. Non bastano i principi dello Stato laico per garantire una effettiva libertà religiosa: sintetizza così Maurizio Ricci uno dei temi all’attenzione del convegno. Tra gli interventi, quello del giornalista indiano Pachauri, che ha raccontato la difficoltà dei musulmani indiani di far sentire la loro voce, malgrado siano 160 milioni.
Il Corriere della Sera alle pagine dell’economia intervista il “banchiere dei poveri”, ovvero l’inventore del microcredito e premio Nobel per la Pace Mohamed Yunus. Fondatore di Grameen bank, aveva preso in considerazione di aprire una filiale anche in Italia. Poi però ci ha ripensato e sta portando avanti un progetto con Unicredit Foundation e con l’Università di Bologna per creare una intermediaria finanziaria che si ispira ai programmi Grameen. Perché non ha creato Grameen bank anche in Italia? “Yunus dice che per aprire una banca in Italia servono molti soldi e la legge italiana è molto complicata. Aprire istituti più piccoli per aiutare la povera gente sarebbe perfetto, non c’è bisogno di megabanche”.
Sul Sole 24 Ore: “Unione militare Londra-Parigi”. Si dà conto dell’intesa per 50 anni per lo sviluppo del nucleare e una forza congiunta di 10 mila soldati. Una entente cordiale concretizzatasi in due accordi di cooperazione che hanno permesso a Sarkozy e a Cameron di raggiungere “un livello di fiducia reciproca senza precedenti nella nostra storia” come hanno dichiarato i due.
Fa discutere la decisione del presidente Sarkozy di far nascere a Parigi una “casa della storia di Francia”: nascerà all’hotel de Rohan, un grande palazzo nello storico quartiere del Marais. Obiezioni: perché storia di Francia e non d’Europa? Per lo storico Le Goff è un progetto pericoloso: questa casa sarebbe in qualche modo la vetrina storica della ‘supposta identità nazionale’, cavallo di battaglia del presidente Sarkozy.
(Fonte. RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)