Le aperture
Il Giornale: “Fini chiede la testa di Berlusconi. Dice: fuori gli indagati dal partito (il premier lo è). La regola vale per tutti meno che per i suoi (Bocchino in testa). Il presidente della Camera come Di Pietro. Verdini si dimette da presidente della sua banca. I giudici lo interrogano per ore”.
Libero: “Fini strilla come Di Pietro. L’attacco: pur di contro il Cav, l’ex leader di An chiede le dimissioni di Verdini, interrogato fino a notte dai pm, e trasforma in un eroe Granata per le accuse mafiose al premier”. Sui personaggi della vicenda si sofferma il quotidiano di Belpietro (il direttore descrive Granata come un “quaquaraquà” nel suo editoriale): “L’alfiere della questione morale è un baby pensionato con 3 lavori”. Quanto a Berlusconi, “si aspetta lo sgambetto e prepara il Pdl al voto anticipato”.
Il Fatto quotidiano: “Plotone delle Libertà. A Berlusconi che guida la caccia a Granata Fini risponde: via Verdini e Cosentino. Mentre nel partito di B è guerra per bande il coordinatore travolto dallo scandalo lascia il vertice della sua banca fiorentina. Ieri per lui interrogatorio fiume con i Pm romani. La strana storia del comitato dei probiviri e la P3”. “Probovirus” è il titolo del commento di prima pagina di Marco Travaglio, che descrive la “specie zoologica” del “proboviro del Pdl”, attraverso i nomi che compongono l’organismo. Da segnalare in prima anche un commento di Gian Carlo Caselli: “Il maestro Falcone e la mafia”, il titolo.
Il Fatto: “Tra Fini e il Cav ora è battaglia a colpi di minacce disciplinari”. “Tutto fuorché la politica”, sintetizza il quotidiano di Ferrara. “Ai berlusconiani che evocano i probiviri i finiani rispondono chiedendo la testa di Verdini, Cosentino e Dell’Utri”.
Uno dei probiviri citato da Travaglio, il filosofo Vittorio Mathieu, classe 1923, viene intervistato dal Corriere della Sera, che ricorda come da mesi il Collegio non si riunisce
Il Corriere della Sera: “Caso Verdini, l’affondo di Fini. ‘Gli indagati via da incarichi politici’. E’ scontro nel Pdl. Il coordinatore del partito interrogato per ore dai pm: lascio la banca, non il partito”. Il commento di Massimo Franco in prima pagina è titolato: “Una banca vale di più degli elettori”. A centro pagina la notizia di ieri: “Gigantesca fuga di notizie svela i segreti della guerra. In 92 mila documenti online l’aiuto del Pakistan ai talebani e le stragi di civili insabbiate”. Oltre ad una foto del fondatore del sito, Julian Assange, anche un ritratto, firmato da Massimo Gaggi: “L’australiano che ama Kafka e odia il potere”.
La Repubblica: “Fini: via gli indagati dal Pdl. Il coordinatore Pdl lascia la sua banca. Il presidente della Camera difende Granata: la legalità è una bandiera, non si espelle chi solleva la questione morale. Verdini interrogato per nove ore dai pm: ‘Non mi dimetto dal partito'”. L’editoriale, firmato da Carlo Galli, commenta l’intervento di Fini ieri, intervenuto telefonicamente a Napoli ad un convegno organizzato da Bocchino. “La palude del Cavaliere”, il titolo. A centro pagina “i file segreti sull’Afghanistan. ‘Stragi di civili, guerra perduta’”. Ancora a centro pagina: “LA Fiat dice basta al contratto nazionale. La Fiat ha intenzione di uscire dalla Federmeccanica, che raggruppa le imprese industriali, per disdire il contratto di lavoro nazionale che regola il rapporto con i dipendenti del gruppo, spiega il quotidiano. “L’atteggiamento sempre più oltranzista della Fiat sta scatenando anche le ire di Fim e Uilm”.
La Stampa è l’unico quotidiano che sceglie di aprire sulle carte di Wikileaks: “Kabul, le carte del disastro. Sito internet diffonde 92 mila files: con le verità scomode del conflitto. La Casa Bianca: un danno per le nostre truppe. Nei documenti segreti stragi di civili, errori e il doppio gioco del Pakistan”. Maurizio Molinari commenta: “Obama sapeva: irresponsabili”. In alto le polemiche della politica interna: “Fini: gli indagati devono lasciare gli incarichi. I giudici del Riesame: la P3 era ed è in grado di interferire sulle scelte delle istituzioni”. In prima anche un richiamo ad una intervista con Alfredo Mantovano: “Se cambiate la legge. Spatuzza sarà protetto. Il sottosegretario Mantovano riconosce: su via d’Amelio e Georgofili il pentito è stato riscontrato”.
Su tutti i giornali, con varie titolazioni e spesso foto di Belen Rodriguez (“chiusa la Mmilano da sniffare”, Michele Serra su La Repubblica; “Milano, scoperto lo sballo dei quarantenni”, Il Giornale; “Coca e mazzette nelle discoteche dei vip”, (Il Fatto), la notizia della chiusura di due discoteche milanesi e delle inchieste relative.
Wikileaks
Maurizio Molinari racconta su La Stampa che nel “mare di documenti” sull’Afghanistan ci sono anche riferimenti agli italiani. Per esempio sono state registrate le proteste dell’Estonia per lo scambio che portò alla liberazione del reporter de La Repubblica Daniele Mastrogiacomo. E non mancano riferimenti ad Emergency. “Apparentemente nulla di particolarmente scabroso”, comunque.
Sullo stesso quotidiano anche una intervista con Julian Assange, il fondatore e direttore di Wikileaks, che respinge le accuse di aver messo in pericolo la vita dei soldati in Afghanistan, che racconta come ci siano testimonianze di diversi crimini di guerra (uccisioni di civili) e che risponde così alla domanda se abbia paura per la sua vita: “No, mi piace calpestare i bastardi”.
La Repubblica offre un articolo di Bill Keller, direttore del New York Times, che ieri ha scelto di pubblicare lo scoop di Wikileaks insieme al britannico Guardian e al tedesco Der Spiegel. Il quotidiano “non ha alcun controllo su Wikileaks”, spiega Keller, che aggiunge: Wikileaks ci ha messo a disposizione questi dossier per un mese, abbiamo usato questo tempo per “studiare il materiale”, confrontandolo con l’esperienza diretta dei “nostri reporter”, per cercare di collocare le informazioni nel contesto, e per tentare di escludere qualsiasi elemento avesse messo a repentaglio delle vite o delle missioni militari in corso. Insomma, dice Keller: forse una pubblicazione non rivista avrebbe messo a rischio delle vite, e proprio per questo “abbiamo realizzato un grande sforzo per eliminare questi riferimenti dai nostri articoli”.
La Stampa offre anche un colloquio con il generale Hamid Gul, ex direttore dell’Isi, il servizio segreto del Pakistan, dal 1987 al 1989, citato in otto rapporti, uno dei quali lo accusa di aver introdotto in Afghanistan mine magnetiche che dovevano servire ad attaccare le truppe Usa nel Paese, mentre un altro racconta di un incontro dello stesso Gul con “guerriglieri arabi” presenti in Afghanistan. Il generale dice che “i rapporti sono una invenzione”, basati su informazioni fornite dagli afghani, poco dettagliati e “spesso palesemente falsi”. Secondo Gul dietro questa fuga di notizie c’è una intenzione più complessa, perché la fuga di notizie coincide con la richiesta americana ai pakistani di lanciare una offensiva nel nord Waziristan, e in particolare contro la rete taleban di Haqqani, operazione che l’esercito pakistano non vuole sostenere. Gul sottolinea anche una ulteriore incongruenza dei dossier, relativi soprattutto agli anni 2004-2009, quando a capo dell’Isi c’era già il generale Kayani, che oggi gli americani lodano, e per il quale hanno ottenuto con soddisfazione una proroga di tre anni. “Come è possibile che fosse inaffidabile allora e sia diventato fidato oggi?”, si chiede il generale.
Su Libero Carlo Panella scrive che dai documenti non emerge “nulla di nuovo”, nel senso che la denuncia delle complicità da parte dei servizi segreti pakistani con i talebani è il “peccato originale degli Usa” dall’inzio della guerra, e anche da prima, perché “alla base di questo intrico c’è lo sconsiderato appoggio che Jimmy Carter diede al golpe del generale Zia Ul Haq, nel 1977”.
Su Il Foglio: “Come si dice ‘embè’ in Pakistan? I segreti di Wikileaks non rivelano nulla ai pacifisti, anzi rafforzano le tesi dei falchi”.
Da segnalare sullo stesso quotidiano un articolo dedicato ai rapporti tra Arabia Saudita e Israele in funzione anti-Iran: “Che cosa fa il capo del Mossad israeliano in Arabia Saudita? La paura dell’atomica iraniana crea alleanze strane, come accadde prima del raid aereo contro la centrale nucleare di Saddam”.
Università
Oggi al Senato si riprende l’esame della riforma dell’università, che dovrebbe essere votata entro la settimana. “Atenei, dubbi sulla pensione a 65 anni. Il centrodestra frena. Il Pd: contratti anche dopo per i docenti migliori”, scrive il Corriere della Sera, che dà spazio ad una lettera di una ricercatice di 53 anni rivolta a Francesco Giavazzi, che risponde. Lei: “Io ricercatrice dico: non vogliamo solo essere promossi”. Lui: “Il vero nodo è liberare i posti dei vecchi prof”.
E poi
Sul Corriere della Sera Paolo Mieli parla della imminente uscita de “Il terrore rosso in Russia”, libro del 1923 di Sergej Mel’gunov, edito in Germania nel 1923 e dedicato alla politica repressiva dei bolscevichi. Il libro si occupa del primissimo periodo del potere sovietico, dal 1918 al 1923, quello di Lenin. “Lenin maestro di Stalin nella pratica del terrore”, il titolo del lungo articolo di Mieli.
Su Il Giornale una intera pagina è dedicata alla sentenza del tribunale sui crimini di guerra in Cambogia che ha comminato 30 anni al “boia dei Khmer rossi”, il capo della prigione più sinistramente nota della storia del terrore di Pol Pot, e agli “amici italiani” dell’ormai defunto dittatore cambogiano. Livio Caputo racconta che nel 1976 “un servizio fotografico mi costò il posto di direttore di epoca”, e che il Pci all’epoca descriveva le testimonanze sulle atrocità del regime come “falsi creati dagli imperialisti Usa”. Altro titolo: “Da Napolitano a D’Alema il Pci applaudiva l’eroe”. Si cita però un documento del Pci precedente alla presa del potere dei Khmer rossi, in cui si esprime solidarietà al movimento di guerriglia cambogiano prima della presa del potere.
(fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)