Le aperture
Il Corriere della Sera: “‘Al voto per la Camera’. La richiesta di Berlusconi in caso si sfiducia. Il no dei finiani. Bossi: il premier gioca al ribasso, ma il bis è ancora possibile. Oggi i ministri di Fli lasciano il governo”. L’editoriale, firmato da Piero Ostellino, è titolato: “Il ribaltone per favore no. Il Cavaliere e lo scatto necessario”. A centro pagina: “Milano, le primarie a Pisapia. Il centrosinistra sceglie l’ex deputato di Rifondazione per la sfida alla Moratti. Sconfitto il candidato Pd, gelo nel partito. Spunta un terzo polo”. “L’effetto Vendola” è il titolo del commento di Michele Salvati.
La Repubblica: “‘Elezioni? Solo per la Camera. Nuovo attacco del premier a giornali e tv. L’ipotesi di una grande alleanza fa discutere l’opposizione. Briguglio: sì al patto con il Pd. Berlusconi sfida il Quirinale. I finiani: si dimetta. Oggi via i ministri Fli”. Due commenti richiamati in prima pagina: “Lo scioglimento ad personam” è il titolo di quello di Stefano Rodotà. Ilvo Diamanti firma l’altro (“E’ finita la colla del Cavaliere”). In prima anche un titolo sulla vittoria di Giuliano Pisapia alle primarie del centrosinistra a Milano: “Milano, Pisapia vince le primarie, affluenza in calo”. “L’occasione della sinistra” è il titolo del commento di Curzio Maltese. In prima anche un richiamo ad un colloquio con la dissidente birmana Aung San Su Kyi: “La democrazia trionferà”.
La Stampa: “Il premier: fiducia o al voto. ‘Ma solo per rinnovare la Camera’. I finiani: un espediente, si dimetta. Berlusconi torna ad attaccare la Rai e i giornali. L’opposizione insorge: nel 2008 Prodi era nella stessa situazione”. “Il Cavaliere tenta la riscossa” è il titolo del commento di Marcello Sorgi. A centro pagina, con foto di un manifesto di protesta contro il caro affitti in Irlanda: “Paura Irlanda, L’Ue preme per il fondo anticrac. L’appello del Papa: non sottovalutate la crisi, bisogna cambiare gli stili di vita”. Tra i richiami in prima pagina le primarie milanesi del Pd (“Sarà Pisapia l’anti-Moratti”), e un reportage ancora da Milano, per parlare de “l’autunno del berlusconismo”.
Il Giornale: “E’ tornato Berlusconi. Il Cavaliere cavalca la crisi. ‘Fiducia al Senato. Se poi a Montecitorio ci votano contro, sciogliamo solo la Camera e torniamo alle urne. Il 60 per cento degli italiani sta con noi: non ascoltate i giornali e questa Rai indecente'”. L’editoriale è firmato da Marcello Veneziani (“Quando gli storici fanno i comici”), mentre a centro pagina il quotidiano si sofferma sull’opposizione: “Gli sciacalli dell’alluvione. Il Pd ha trovato la linea politica: piove, governo ladro”, sopra la foto di un manifesto del Pd che critica la gestione dell’alluvione da parte del governo. Sotto: “Primarie per il sindaco. Bersani umiliato dai comunisti a Milano”.
L’Unità: “Camera sua. Berlusconi, ultima minaccia. Il premier punta tutto sul Senato e pretende le elezioni ad personam: ‘Si sciolga solo Montecitorio’. Il gelo di Napolitano. Quando Prodi fu sfiduciato a Palazzo Madama l’ipotesi non fu neppure presa in considerazione. Rai, la guerra di Masi. Da Saviano Bersani e Fini. Il dg non ci sta. Chiederà al Cda di fermare il programma”. Sotto: “A Milano, 70 alle primarie. Ha vinto Pisapia”.
Politica
Scrive Il Giornale che Berlusconi chiederà al Quirinale, in caso di sfiducia, di sciogliere solo la Camera, visto che è convinto che al Senato la fiducia ci sarà. “Circostanza in verità da verificare, perché l’operazione a tenaglia portata avanti da Fini e Casini e sostenuta con forza non solo dal Quirinale ma anche dai vertici di Confindustria e da parte di sindacati – prevede che una discreta pattuglia di senatori della maggioranza sia pronta a fare il grande passo. Sono stati ribattezzati ‘i dormienti’: sono ancora nelle file del Pdl ma ne usciranno al momento decisivo”.
La Stampa dà la parola ad alcuni costituzionalisti, che spiegano come l’idea di votare per cambiare un solo ramo del Parlamento “un appiglio formale” ce l’avrebbe, essendo prevista dalla Costituzione, anche se lo scioglimento di una sola delle due camere è avvenuto solo poche volte in passato. In ogni caso, come dice anche Antonio Baldassarre, “un costituzionalista di area di centrodestra”, non si tratterebbe di uno scioglimento automatico. E’ nel potere del capo dello Stato, che dovrebbe però essere confortato da un ampio consenso di tutte le forze politiche. Anche il Corriere della Sera dà la parola ad alcuni costituzionalisti (Barbera, Capotosti e Pitruzzella), e sintetizza così: “Improbabile. E la scelta tocca a Napolitano”. Lo stesso quotidiano, in un articolo del “quirinalista” Marzio Breda, scrive del “gelo” del Presidente della Repubblica sulla ipotesi, ricorda che gli unici precedenti risalono agli anni 50 quando c’era differenza di durata tra la legislatura della Camera e quella del Senato, e spiega che comunque “sul Parlamento decide il Capo dello Stato”.
Intanto – scrive Repubblica – Umberto Bossi continua a confidare nella possibilità di un Berlusconi bis: “A me Fini ha detto che non gli dà fastidio vedere Berlusconi come presidente del Consiglio”. Dice: “Io giocherei al rialzo”, che significherebbe il re-imbarco dei futuristi nella maggioranza. Per restare a La Repubblica, si legge che “il Pd apre all’alleanza fino a Fli”. Il pensiero di Bersani viene sintetizzato così: se Berlusconi forza verso una “deriva antidemocratica”, infischiandosene delle prerogative di Napolitano, e dietro l’angolo ci fossero le urne, invece del governo di transizione invocato dalle opposizioni, il segretario Pd non esclude “una alleanza per la democrazia”, da Vendola e Di Pietro fino alla destra di Fini. Bocciano l’idea Di Pietro, i modem, la minoranza di Veltroni Fioroni e Gentiloni, e Vendola.
Nella pagina accanto il quotidiano intervista Carmelo Brigulio (Fli) e Rosy Bindi (Pd). Il primo dice che Fli propone “un grande patto” costituzionale, un patto per l’Italia “chiamato a fondare la terza Repubblica”, anche con il Pd. Rosy Bindi, presidente del Pd, dice che una alleanza con Fini e Casini sarebbe in nome della Costituzione: “Vi alleereste con Fini?”. “Faremo di tutto per rendere possibile un governo di solidarietà nazionale”, “dovremmo allearci perciò con Fini e Casini, che tentano di costituire il terzo Polo, nel nome della Costituzione e della democrazia”. La Stampa intervista il capogruppo di Fli alla Camera, Italo Bocchino: “Governo anche con la sinistra”.
Pisapia, Milano.
Per Curzio Maltese, su La Repubblica, le primarie di Milano sono una buona notizia, anche per via della partecipazione e perché segnalano che la politica non è soltato fatta da trame di palazzo e guerre televisive, macchine del fango, ma “libertà e partecipazione”, come cantava il milanese Gaber. Sono la prova generale di quelle nazionali del centrosinistra, quasi uno scontro per procura tra Bersani e Vendola, che si sono spesi anima e corpo per i rispettivi candidati (Boeri e Pisapia). Il candidato espresso potrebbe per la prima volta avere la possibilità di battere il candidato del centrodestra: lo testimoniano anche il nervosismo di Letizia Moratti, le divisioni interne tra Lega e Pdl, la tentazione del terzo Polo di candidare l’ex sindaco Albertini. Per Maltese “da feudo del centrodestra” Milano può tornare ad essere un laboratorio centrale della vita politica italiana e decretare la “fine del berlusconismo”, così come ne aveva salutato la nascita. Attraverso il libero voto e non per una alchimia di palazzo.
Si intititola “L’effetto Vendola” il commento che Michele Salvati dedica alla vittoria di Pisapia alle primarie del centrosinistra a Milano, sul Corriere della Sera. Ma l’effetto Vendola, per Salvati, illustra anche le difficoltà dell’area riformista. Secondo Salvati, alla domanda se il Pd abbia fatto bene a promuovere primarie di coalizione, che sono diverse da quelle americane dove ci si confronta dentro un partito, si deve rispondere che ha fatto bene, visto che questo è il “ruolo che la Costituzione e la tradizione politica europea gli assegnano”. Ma, “come in Puglia”, a Milano il Pd “non è stato però in grado di convincere l’area riformista”, manifestando incertezze e ritardi, “insieme ad una evidente carenza di egemonia culturale”. Alle primarie si sono recati a votare, tra gli altri, l’ex presidente Consob Guido Rossi, Alessandro Profumo, il presidente dell’Inter Massimo Moratti (ne parla il Corriere).
Birmania
La Repubblica racconta il “bagno di folla” per la leader birmana Aung San Suu Kyi. Hanno preso parte in 40 mila al suo comizio, tra applausi e lacrime. Raimondo Bultrini l’ha intervistata, racconta la sua non conoscenza di uno strumento diffuso come il telefonino (“non sapevo da che parte girarlo per farmi sentire”); si rivolge alle persone presenti in piazza, dice “ho bisogno di voi”. “Devo sentire quello che avete da dire voi”. E poi: “Non serbo rancore né spirito di vendetta, sono per la riconciliazione nazionale, la democrazia non è frutto di una persona sola”. Cosa direbbe al generalissimo del regime, Than Shwie? “Direi: sediamoci e parliamo”, “non so neanche dove sia stata presa l’idea che noi non facciamo compromessi”. Quale sarà la sua prossima mossa? “Lo saprò quando avrò parlato con la gente, non posso decidere da sola. Nemmeno nel partito credo nel dominio di una persona sola”.
Cecilia Brighi, del dipartimento politiche internazionali della Cisl, intervistata da La Stampa sulla liberazione della leader birmana, dice: “Non c’è nessuna svolta. Le elezioni, giustamente boicottate dalla Lega nazionale per la democrazia (NLD) di Suu Kyi, sono state una farsa. Ma è una farsa tutto il processo di transizione messo in piedi dalla giunta. Il Parlamento voluto dai militari è una assemblea senza veri poteri, fatta di nominati dai generali, con risibili spazi per le opposizioni. Il primo ministro è scelto dalla giunta, così come il ministro degli interni, quello importantissimo delle ‘questioni di confine’. Il capo delle forze armate ha potere di veto e può sciogliere il Parlamento in caso di emergenza. La nuova Costituzione pilota il Paese da una dittatura in divisa a una mascherata. E nessuno può modificare questa Costituzione, neppure criticarla, pena l’arresto. Cosa farà la Suu Kyi? “Ha già detto che è pronta a farsi arrestare di nuovo. Chiederà il rilascio degli altri prigionieri, la fine della violenza e delle usurpazioni. Sa benissmo che il regime siede su una faglia pericolosissima. Le fratture etniche che mettono a rischio l’esistenza stessa del Paese”. Le sanzioni sono efficaci? “Sono state chieste dai sindacati e dai partiti democratici birmani”. Se chiederanno di allentarle, le organizzazioni internazionali, come l’Ilo, saranno d’accordo. Ma devono essere “intelligenti” e “colpire gli alti ufficiali che si stanno arricchendo”: “Ancora troppe aziende occidentali fanno affari con i generali”, “sul nostro sito c’è l’elenco”.
Francia
Sul Corriere si parla del rimpasto più volte preannunciato in Francia del governo Fillon. Per il quotidiano una virata a destra. Nel nuovo governo non c’è posto per il centrista Jean-Louis Borloo, ex ministro dell’ecologia. Fuori anche il socialista Bernard Kouchner, ministro degli esteri “ben presto esautorato dallo stesso presidente”; fuori Fadela Amara (“ni putes ni soumises”) né Rama Yade, senegalese sottosegretaria uscente allo sport. Lascia la difesa il centristra Hervé Moren, cui subentrerà Alain Juppé, l’ex premier che diventerà di fatto il numero due dell’Esecutivo. Michèle Alliot-Marie, la ministra della giustizia, passa agli Esteri. Lascia anche il ministro del lavoro Eric Woerth, coinvolto nello scandalo Bettencourt. Per la leader socialista Martine Aubry è “il ritorno al potere della destra dura”.
E’ lo stesso premier Fillon ad esser stato re-incaricato: il Giornale scrive che deve la sua nomina non tanto alla vicinanza con Sarkozy quanto alla sua popolarità tra l’elettorato di destra e tra i deputati del partito. Insomma, il Presidente non avrebbe potuto allontanare un primo ministro considerato efficiente. Piace più di lui: se Sarkozy è sceso di altri tre punti nel gradimento, con il 32 per cento dei consensi, Fillon è salito di tre punti, con un grado di popolarità arrivato al 47 per cento. Se si candidasse alle presidenziali, vincerebbe laddove Sarkozy perderebbe: al secondo turno contro la socialista Aubry.
E poi
Su La Stampa si raccontano i “timori di Eurolandia”, soprattutto in relazione all’Irlanda: domani si riunirà l’Eurogruppo, c’è un pressing dell’Ue per un intervento, anche se viene smentito un prestito imminente. La Germania insiste per un intervento, che argini la speculazione e fermi la volatilità dei mercati. Ma gli irlandesi stessi, per bocca del ministro delle finanze, si sottraggono: “Non avrebbe senso chiedere soldi” – ha detto – vorrebbe dire che non siamo in condizione di gestire da soli i nostri problemi”. E il ministro dell’Industria O’Keeffe: “E’ stato difficile conquistare la sovranità e non la cederemo a nessuno, nemmeno in parte.
Anche Il Giornale sottolinea che Dublino non vuole aiuti e che il premier in carica intende invece preparare una manovra di austerità. Bruxelles avrebbe chiesto a Dublino di eliminare la tassa unica del 12,5 per cento, grazie alla quale ha attirato negli anni grandissimi investimenti dall’estero.
Su La Repubblica il racconto dei sopravvissuti alla strage del 31 ottobre nella chiesa cristiana di Baghdad, che ha fatto 46 morti: “Noi , cinque ore con i kamikaze”.
Su La Stampa un’analisi sul rapporto annuale dedicato dall’Ue alla Turchia, così sintetizzato: “La Ue sferza Ankara, ‘media imbavagliati’. Bruxelles: ‘Non rispetta gli standard che abbiamo chiesto. Sono 47 i cronisti in stato d’arresto e 700 quelli sotto processo”.
E per restare in argomento, segnaliamo la pagina accanto del quotidiano torinese, dedicata al “massacro di giornalisti scomodi” che prosegue in Russia: nel 2010 si è già arrivati alla cifra di 8, pestaggi sempre più frequenti, “svelare traffici loschi o denunciare la corruzione significa rischiare la morte”. Gli ultimi casi sono più che significativi.
(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)