Le aperture
Il Corriere della Sera: “Scontro finale, Profumo verso l’uscita. Il banchiere sotto assedio per le quote dei libci. ‘Vogliono mandarmi via, dopo 15 anni mi trattano così’. Pressing per le dimissioni: oggi consiglio straordinario di Unicredit”. A centro pagina: “Richiamo di Napolitano su Roma: ‘Unica capitale, basta ombre. Il segnale del Colle alla Lega nell’anniversario di Porta Pia”. L’editoriale del quotidiano milanese è firmato da Maurizio Ferrera, ed è una analisi della situazione in Svezia, dove avanza il partito di estrema destra anti-immigrati: “La sindrome di Stoccolma”, il titolo. In evidenza in prima pagina anche il vertice Onu sugli obiettivi del Millennio (abbattimento della povertà, innanzitutto): “Sarkozy vuole tassare le transazioni finanziarie”. “Ma l’Onu è sempre più irrilevante”, è il titolo del commento di Massimo Gaggi.
Il Foglio: “Al summit sulla povertà Sarkozy canta più forte degli U2, contro le banche. ‘Tassare la finanza’. L’obiettivo di dimezzare l’indigenza entro il 2015 è (quasi) realistico, ma il presidente francese non s’accontenta”. Di spalla il quotidiano di Ferrara si occupa della maggioranza: “L’autosufficienza non basta. Così il Cav inaugura la strategia dei sostituti contro Fini, Udc e Mpa. Pronta la scissione centrista, ma Casini minaccia sul conflitto di interessi e medita ritorsioni sulla giustizia. Il voto segreto su Cosentino”. In prima anche le notizie su Unicredit: “Le ultime sfide di Profumo nel tumulto degli azionisti. Oggi il Cda straordinario. Le ire di Rampl e il ruolo di Cariverona”.
Il Sole 24 Ore: “Profumo, è il giorno più lungo. Oggi un cda straordinario sui rapporti tra il board e i vertici dell’istituto: in caso di dimissioni voci di deleghe a Rampl. Consiglio Unicredit diviso, il forcing dei soci, il ceo chiede la fiducia”. Il titolo dell’editoriale, firmato da Orazio Carabini, è: “Il richiamo della foresta clientelare”.
La Repubblica: “Guerra a Unicredit: ‘Via Profumo’. Oggi il Cda straordinario della banca, il top manager verso l’addio. Dopo la polemica sui libici resa dei conti. Fondazioni e tedeschi guidano l’assalto. Tremonti cerca una soluzione unitaria”. In prima anche la foto di Giorgio Napolitano insieme al cardinale Bertone: “Napolitano: Roma unica capitale. I 140 anni di Porta Pia”. Da segnalare in prima pagina anche un articolo di Giuseppe D’Avanzo dedicato a Berlusconi. “Cavaliere, ci dice se la legge è uguale per tutti”.
La Stampa: “Napolitano: solo Roma è capitale. Il voto sulle intercetteazioni per Cosentino mette alla prova la tregua Pdl-finiani. La Camera taglia gli uffici ai deputati. Il Capo dello Stato a Porta Pia: nessuna ombra sull’unità nazionale”. A centro pagina una grande foto di Sarkozy con Carla Bruni ed Angela Merkel: “Sarkozy: Una tassa mondiale sulle transazioni. Vertice sulla povertà: il presidente francese fa pace con la Merkel dopo lo scontro sui rom”. In prima anche la vicenda Unicredit: “Profumo a un passo dall’addio, resa dei conti in Cda. Azionisti in rivolta per il caso Libia”.
Il Riformista: “Ribaltone alla siciliana”. “Oggi presentata la nuova giunta”. Il quotidiano titola ricordando che oggi pomeriggio nasce il Lombardo quater. Lo appoggia una maggioranza inedita, che va dall’MPA guidato dallo stesso Lombardo agli uomini dell’Udc fedeli a Casini, i finiani, i rutelliani, il Pd. All’opposizione gli uomini di Mannino e Cuffaro, quelli legati a Gianfranco Micciché, i berlusconiani vicini ad Alfano e Schifani. A centro pagina titoli per Unicredit: “Profumo, la resa dei conti”, con un editoriale in cui si sottolinea come i libici siano alleati sui mari ma nemici sui capitali.
Libero: “Tira aria di inciucio. Silvio al bivio. Senza i finiani, al OPdl manca la maggioranza nelle commissioni parlamentari chiave. Se il voto di fiducia non sapzzerà il Fli, si cercherà un accordo”.
Il Giornale: “Liberateci dai medici pugili. A Messina un altro neonato in coma per colpa di dottori che litigano su come deve venire al mondo. In Sicilia è successo tre volte in pochi giorni. E’ troppo chiedere che, oltre a spartirsi la poltrona, i dirigenti caccino i boxeur?”. A centro pagina: “Gheddafi ‘licenzia’ Profumo. Salto nel buoi per la prima banca italiana. Il capo di Unicredit oggi si dimette dopo lo scontro con i soci sui libici”.
Unicredit
La Stampa offre uno specchietto illustrativo sui soci Unicredit group: Libyan investment authority (2,59), Central Bank of Lybia (4,98) Fondo Abaar (4,99) Blackrock (4,02), Alliance (2,04). Per le fondazioni: Cariverona (4,63), Cassa di Risparmio di Torino (3,31) Carimonte (3,04) Cassamarca (0,8). I privati: famiglia Pesenti (0,5), famiglia Maramotti (1,1). Per La Stampa Profumo aveva innanzi a sé un fronte politico a tre teste: il primo, quello con la Lega, si è aperto il giorno dopo la vittoria del centrodestra con l’ideologia della banca del territorio. Il secondo, quello con Tremonti che, malgrado un recente riavvicinamento, sarebbe intenzionato a imporre la successione di un “italiano con ottimi rapporti con gli Usa”; il terzo, più che Berlusconi, i berluscones, quella corte revanscista che a Profumo non avrebbe mai perdonato l’essersi messo in fila, a suo tempo, per votare alle primarie del Pd. Ma secondo un altro retroscena dello stesso quotidiano, in nome della stabilità del sistema bancario, a non spingere per una uscita di Profumo sarebbero lo stesso Tremonti e Geronzi.
Anche secondo il Corriere della Sera “Tremonti tenta la difesa” dell’Ad. Anche il Corriere descrive “l’amarezza” del banchiere, che lamenta l’incomprensione delle Fondazioni, timorose di venire scalzate dai fondi del governo libico.
La Stampa parla anche Pdel rapporto da tempo logorato tra l’Amministratore delegato di Unicredit Profumo e quelli che erano i suoi azionisti di riferimento, ovvero il mondo delle Fondazioni del Nord: da Verona a Torino, passando per gli emiliani di Carimonte e i trevigiani di Cassamarca. Le ragioni vengono descritte così: finché fai quello che vuoi, e paghi robusti dividendi, va bene. Ma se continui a fare quello che vuoi e i dividendi non li paghi più, ma chiedi i soldi agli azionisti sotto forma di aumenti di capitale, allora quelli si arrabbiano.
Il Sole 24 Ore scrive che gli azionisti tedeschi hanno criticato la mancanza di comunicazione sul caso Libia, temono una riduzione del proprio peso nel gruppo e anche l’eccessiva internazionalizzazione dell’istituto. Con il sospetto che gli investitori libici siano un’arma di Profumo contro gli altri azionisti. Secondo la ricostruzione della stampa tedesca, il presidente Dieter Rampl non avrebbe gradito apprendere dai giornali l’arrivo nel capitale della banca dei soci libici, ormai al 7,6 per cento. Da Tripoli invece sottolineano che il presidente Rampl sapeva perché informato dal governatore della Banca centrale libica, Bengdara, che in Unicredit ricopre la carica di vicepresidente.
Massimo Giannini su La Repubblica descrive il percorso di Profumo: “Da Geronzi ai re delle Fondazioni, i nemici dell’ultimo dei Mohicani”. Per Giannini è “l’ultimo banchiere che, nell’italietta dei conflitti di interesse e del capitalismo di relazione, ha almeno provato a gestire la sua azienda con le logiche di mercato, compiendo svolte non ortodosse che l’hanno proiettato fuori dai confini asfittici dell’orticello domestico”. La Libia “è solo un’alibi”, perché la trama è completamente diversa: a colpire Profumo sono le fondazioni delle Casse del nord, il presidente e i soci tedeschi e italiani che, dentro il Cda, seguono il presidente stesso. I congiurati sono il numero 1 della Fondazione Caritorino Palenzona, il numero 1 della Fondazione Cariverona Biasi, il presidente di Unicredit Rampl, i rappresentanti dell’Alliance e – probabilmente – quelli di Mediobanca. E alcuni di questi hanno un mandante, che è politico: “Palenzona è pedina strategica nella filiera Luigi Bisignani-Cesare Geronzi-Gianni Letta, che da mesi si muove per blindare il sistema dei poteri economici e finanziari intorno al presidente del Consiglio. Biasi è il nuovo pivot creditizio della Lega.
Sulla prima del Sole 24 Ore Orazio Carabini firma un editoriale dal titolo “Il richiamo della foresta clientelare”: “Profumo sta combattendo una guerra di indipendenza. Se perde, questo conflitto potrebbe avere un esito preoccupante, con la politica a tentare subito di riconquistare zone franche di potere nel sistema bancario italiano”.
Anche l’editoriale del Corriere della Sera, di Massimo Mucchetti, giunge alla stessa conclusione: “La rumorosa ripresa della politica nelle Fondazioni autorizza più di un timore e non appare agli occhi dei mercati internazionali, così diffidenti nei nostri confronti, una delle pagine migliori della più recente storia bancaria”:
Pd e altro
Su Il Riformista, rubricato sotto il titolo “grafomania”, si parla di Walter Veltroni, ricordando come abbia scritto anche a La Repubblica per smentire l’intenzione di candidarsi alla premiership. Il titolo: “Veltroni vuole bruciare Bersani alle primarie”. Secondo Il Riformista, “travolto dalle critiche”, Veltroni “fa un passo indietro e studia una nuova tattica: se si vota in tempi rapidi, la nuova corrente sosterrà Pierluigi, nella speranza che sia il voto anticipato a toglierlo di mezzo”.
La Stampa scrive che “i dalemiani premono per far pagare subito il conto a Veltroni”. Secondo il quotidiano Bersani avrebbe di fronte un dilemma: far votare la sua relazione dalla direzione del partito giovedì oppure no. Nel primo caso i duecento membri della direzione darebbero la fotografia di una maggioranza schiacciante a favore del segretario. E sarebbe questa la linea dei dalemiani, “per fare chiarezza”. Il voto in direzione sancirebbe così la rottura con il movimento.
La Repubblica sottolinea come gli ex PPI del Pd siano spaccati.
Nel dibattito sul Pd e sulla rissa interna oggi interviene Nadia Urbinati su La Repubblica: “Quel coraggio che manca al Pd”.
Svezia
Torna sulle elezioni svedesi, sulla prima pagina del Corriere della Sera, Maurizio Ferrera. La consultazione oltrepassa i confini nazionali, “non si tratta solo di un piccolo terremoto politico, ma della crisi di un intero ‘modello sociale’, per molti aspetti unico al mondo, un modello capace di combinare in modo virtuoso crescita economica e welfare, difesa delle tradizioni nazionali e apertura verso l’esterno”. Il principale artefice del modello è stato il partito socialdemocratico. La crisi non è di natura economica, poiché “la Svezia resta la prima della classe in Europa”. A scardinare il modello è stata soprattutto l’immigrazione, poiché “a torto o a ragione, nell’ultimo decennio si è diffusa la paura di un assalto alla casa e al tesoro comuni da parte di persone ‘diverse’ in termini di cultura, costumi, etica civica. Oggi un terzo della popolazione svedese è costituito da immigrati di prima o seconda generazione”. Per Ferrera i governi politici europei, soprattutto quelli di ispirazione socialdemocratica, farebbero bene a riflettere seriamente sui fattori che hanno prodotto una “sindrome di Stoccolma”: “Flussi immigratori troppo intensi e senza filtri, la mancata integrazione degli stranieri (in particolare quelli di seconda generazione), la formazione di enormi ghetti islamici alla periferia della metropoli, i problemi della sicurezza pubblica”.
E poi
La Stampa intervista David Petraeus, a capo delle forze Nato e Usa in Afghanistan, che parla a lungo anche del contributo italiano e che riconosce come i nostri addestratori siano tra i migliori della missione. Sulle elezioni afghane della Camera bassa di sabato scorso dà per scontato che ci saranno denunce e ricorsi per irregolarità, ma sottolinea che la Commissione elettorale ha fatto un lavoro migliore rispetto allo scorso anno.
Il Sole 24 Ore si occupa ampiamente del tentativo di riconciliazione avviato da Karzai con i talebani. Il quotidiano intervista un consigliere del Presidente, che dice: “L’Isi (i servizi segreti pakistani) è ancora oggi la più grande fonte di supporto dei talebani. Se la coalizione Nato sigillasse il confine con il Pakistan, arriveremmo a un accordo di pace con i talebani afghani in sei mesi. L’opera però non è facile, i russi ci provarono con 50 mila soldati. Quali le condizioni poste dai talebani? Spiega il consigliere: “Chiedono posti di lavoro, infrastrutture, e l’accesso dei loro uomini nell’esercito e nella polizia. Infine, la liberazione dei prigionieri, anche di quelli detenuti nelle carceri americane. In linea di principio siamo favorevoli, ma c’è un altro problema: il governo afghano è diviso, quasi tutti i membri provenienti dall’Alleanza del nord, tagiki, uzbeki e hazara, sono contrari al dialogo”. Estenuante e quasi impossibile appare invece, nell’analisi di Alberto Negri sullo stesso quotidiano, l’impresa afghana. Anche perché la guerra, sia pur a bassa intensità, deve continuare: “il bottino sono i soldi che arrivano dalla macchina bellica occidentale e dagli aiuti alla ricostruzione”. Il ritiro delle forze Usa nel 2014, in questo quadro, appare prematuro.
Sergio Rizzo sul Corriere della Sera sottolinea che con le nuove regole del federalismo quattro governatori sarebbero ineleggibili, poiché i presidenti di regione che non presenteranno sei mesi prima della scadenza i conti della sanità “certificati” non possono ricandidarsi.
Paolo Mieli, alle pagine della cultura, parla del Piano Solo, il tentativo di colpo di Stato del generale De Lorenzo del 1964. Fu “una manovra sopravvalutata”, a cui gli Usa erano contrari. Mieli ne parla in occasione della prossima uscita di un libro di Mimmo Franzinelli dedicato alla vicenda.
(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)