La Rassegna Stampa: Iraq, la guerra è finita, missione incompiuta

Pubblicato il 20 Agosto 2010 in , da Vitalba Paesano

Le aperture

La Repubblica: “Pdl-finiani, nessuna tregua. Bossi insiste: voto a dicembre”. Di fianco: americani via dall’Iraq, ‘ora la guerra è finita. A centro pagina: “La ripresa Usa frena, giù le Borse”. “Deludenti i dati sull’occupazione e l’industria. Obama: ‘Pronti ad agire'”.

Il Corriere della Sera: “Bossi: si corre verso le urne. Spaccatura tra i dissidenti sull’attacco di FareFuturo che parla di ‘berlusconismo e killeraggio'”. “Oggi il vertice del Pdl. Il premier spera di recuperare 12 finiani”. In alto: “Per l’esercito americano dopo sette anni la guerra in Iraq è finita”.

La Stampa: “Iraq, la guerra è finita. Obama invierà nel Paese migliaia di civili al posto dei soldati”. Nella foto in prima pagina, alcuni soldati americani ripiegano la bandiera a stelle e strisce lasciando una base militare a sud di Baghdad. Il titolo di apertura è dedicato alla politica italiana: “Bossi insiste, ‘voto ai primi di dicembre’. Oggi il vertice con Berlusconi per decidere la sorte del governo”. nei titoli anche la presa di distanza dei finiani rispetto all’articolo uscito ieri sul sito di FareFuturo, che attaccava il premier.

Il Fatto quotidiano: “I finiani di ‘Farefuturo’ dicono che Berlusconi è davvero il caimano degli ‘editti e dei ricatti’ e si ‘vergognano’ di non averlo denunciato prima. Per chi, da anni, ha detto le stesse cose e ne ha subito le conseguenze, Enzo Biagi per tutti, è una giornata importante. Ma quando il Pd userà le stesse parole?”. E il quotidiano spiega: “Scoppia un casino, Moffa Bocchino e Viespoli prendono le distanze: ‘Non forniamo pretesti a B.’. Mercato dei parlamentari ed elezioni anticipate: Pisanu non si fa convincere dal premier . Oggi ‘gabinetto di guerra’ a Palazzo Grazioli”. Il Fatto continua ad insistere sul Presidente del Senato, citando le dichiarazioni di Di Pietro in prima pagina: “Su Schifani ombre inquietanti”. Si tratta di una intervista al leader dell’Italia dei Valori: il quotidiano torna su una inchiesta del 1996 della Procura di Palermo (archiviata nel 2002) relativa ad una gara che sarebbe stata truccata a suon di mazzette, nella quale fu coinvolto anche l’attuale presidente del Senato.

Il Giornale: “Indagini sulle case della Tulliani. I Pm di Perugia aprono un fascicolo sull’impero della famiglia acquisita dal Presidente della Camera. La Procura vuole anche fare luce sui beni in possesso di Elisabetta e rivendicati dal suo ex Gaucci”. “E sotto, grande evidenza le dichiarazioni di Bossi. ‘Fini si dimetta e faccia l’immobiliarista’”. A centro pagina la foto di Patrizia D’Addario: “La triste fine del mito della sinistra”, vittima del suo lavoro. Il titolo si riferisce al fatto che la donna ha accusato un imprenditore di sequestro e tentato stupro per giorni, ma l’interessato nega: “Un anno gli fa gli antiberlusconi la dipingevano come una eroina della libertà. Ma lei era ed è rimasta la stessa: un’escort”.

Libero: “Fini, l’inchiesta si ingrossa. Parenti, amici e guai. Gianfranco cerca di insabbiare lo scandalo della casa di Montecarlo, ma i Pm indagano sul patrimonio della Tulliani e sentiranno Urso sul suo attico da 3 milioni”.Spiega il quotidiano che i magistrati romani hanno deciso di convocare l’esponente di Futuro e libertà Urso per chiarire il mutuo da 9000 euro al mese sull’appartamento di Ponte Cavour, a Roma. E scrive polemicamente: “Un’attico da tre milioni non è cosa da viceministro”. L’attico sembrerebbe acquistato ad un prezzo inferiore a quello di mercato da un agenzia immobiliare. (L’indiscrezione ha avuto come fonte il sito Dagospia).

Il Foglio: “Il Cav raduna il consiglio di guerra e prepara la mobilitazione elettorale. L’offensiva per trattenere nel Pdl i finiani dubbiosi sembra fallita, si lavora ad una agenda di riforme con date di scadenza”. Si parla poi di un “Casini all’uscio”: “E se alla Fine fosse il Cav a usare l’apparentamento con l’Udc per punire l’esuberanza dei finiani?”. Il Cavaliere potrebbe rimpiazzare Fini con Casini: il Foglio scrive che si tratterebbe della riedizione della politica dei due forni di Giulio Andreotti per tenere a bada Pci e Psi, ma anche la morte in culla del cosiddetto terzo polo. A centro pagina la notizia di un tribunale dell’Onu che ha aperto una inchiesta contro Carla del Ponte, ex procuratrice del tribunale sulla ex Jugoslavia, poiché si contestano ai suoi uomini metodi di interrogatorio che comprendevano privazioni del sonno, minacce, offerte di denaro.

Il Riformista focalizza l’attenzione sui problemi interni alla maggioranza: “Decide Pisanu”, “l’ex ministro ha in mano la sorte della legislatura”. E sulle elezion i: “Bossi le vuole a novembre. Ma Berlusconi sa che se il suo senatore (Pisanu) passa dall’altra parte, può perdere la maggioranza anche a Palazzo Madama. Oggi il premier presenta la resa dei conti al vertice del Pdl”. Sull’Iraq: “La guerra è finita”. E “Missione incompiuta” sono i titoli dei due articoli in cui si racconta come i soldati festeggino mentre gli iracheni tremano. Il quotidiano offre ai lettori, infatti, anche un reportage dal Paese.

Il Sole 24 Ore ha una grande foto per il ritiro Usa dall’Iraq e a centro pagina il titolo: “L’Europa cresce, l’America no”, “la Germania migliora al 3 per cento la stima del Pil 2010, negli Stati Uniti salgono disoccupati e deficit federale”, “Wall Street perde l’1,7 per cento e trascina al ribasso tutti i mercati”. In prima pagina focus sui centri di identificazione ed espulsione: “Poche espulsioni e detenzioni lunghe, centri Cie al limite”. Il quotidiano scrive che costa oltre 200 mila euro al giorno la gestione degli irregolari nei centri di espulsione. Va anche segnalata su tutti i quotidiani l’attenzione di uno sbarco di immigrati avvenuto la notte scorsa a bordo di uno yacht di lusso.

L’Unità è l’unico quotidiano a riportare l’attenzione sul trattato tra Italia e Libia di cui verrà festeggiato il secondo anniversario nei prossimi giorni. Grande foto di Gheddafi sotto il titolo “Il nervo scoperto”. Per L’Unità ci sono in ballo “affari di famiglia”, poiché si sofferma sui rapporti tra premier e Gheddafi e dà conto della reazione “rabbiosa” di Niccolò Ghedini, legale del premier, all’articolo pubblicato ieri dal quotidiano sulla “diplomazia degli affari”. Di spalla: “Bossi indice le elezioni, ‘fra tre mesi alle urne’. Farefuturo: dal caimano azioni di killeraggio. Futuro e libertà cauto. Oggi il summit dal Cavaliere”.

Iraq

Il Riformista ha intervistato il capo di stato maggiore iracheno, generale Babachir Z ebari, che anche nei giorni scorsi aveva chiesto che le truppe Usa restassero. Ex baathista, dal 1973 in poi è stato un leader militare della guerriglia curda. Durante l’operazione Iraqi freedom il suo sostegno operativo dal Kurdistan è stato determinante per le forze della coalizione. Ricorda che comunque rimarranno 50 mila soldati americani, sottolinea che i soldati iracheni sono enormemente migliorati, e che gli episodi di violenza non sono sicuramente ai livelli di prima: “Prima avevamo bisogno di carri armati, mitragliatrici, adesso quello che più ci preme è consolidare un lavoro di intelligence che sappia prevenire e individuare i gruppi terroristici, colpendoli prima che possano agire. L’esercito iracheno non farà più la sicurezza dentro le città, abbiamo passato la palla alla polizia, e questo significa indubbiamente che la situazione è migliorata”.
Le pagine 2 e 3 del Corriere della Sera si occupano di Iraq. Completato il ritiro d elle truppe combattenti, restano solo 50 mila addestratori. L’inviato Lorenzo Cremonesi descrive un Paese impaurito, che si sente minacciato dai vicini. Sino ad ora si doveva  combattere, adesso si rimane per addestrare le nuove forze di sicurezza irachene. “La missione iraqi freedom” ha “new dawn” (nuova alba), “da soldati a istruttori”. In 90 giorni sono partiti un milioni e mezzo di pezzi: frigoriferi, radar, armamenti, computer e tanto altro. Di questi il 30 per cento andrà in Afghanistan, il resto verrà distribuito tra le basi nel Golfo e quelle in patria. Le corrispondenze sottolineano anche come la ricostruzione non riesca a decollare. E come la paralisi politica condizioni tutta la vita economica: dalle elezioni parlamentari del 7 marzo non vengono firmati contratti importanti, l’impasse negoziale tra il blocco sciita legato a Maliki e quello sunnita di Ayad Allawi contribuisce al ristagno economico. Oltre il 90 per cento delle entrate dello Stato derivano dal la vendita del greggio. “Indubbiamente la sicurezza è migliorata rispetto a due o tre anni fa”, scrive Cremonesi, però gli iracheni temono che la situazione si reversibile verso il peggio. E non cessa la fuga dei cristiani verso l’estero. L’arcivescovo latino di origine libanese, Gean Sliman, in Iraq dal 2001: “Al cuore della violenza sta il problema profondo della identità collettiva irachena. E’ scomparsa nella polvere la vecchia identità laica baathista. Ma appare impossibile trovarne una sostituiva che valga per tutti”.
La Stampa intervista Robert Baer, che è stato inviato Cia in Medio Oriente: “Questo ritiro delle truppe combattenti schiude le porte alla guerra civile”, dice, ricordando che a nord sunniti e curdi si contendono le aree dei pozzi petroliferi a Mosul e Kirkuk. E che a sud è in corso un braccio di ferro la cui posta in palio è la primazia sciita, ovvero il controllo politico dell’etnia di maggioranza, da cui dipende il con trollo della nazione. Fra chi è lo scontro? “Da una parte ci sono i laici, guidati dall’ex premier Allawi. Dall’altra i religiosi. I leader dei due fronti sono all’opposto su tutto, ma in comune hanno il fatto di guardare soprattutto a Teheran, dove non a caso ogni capo partito si è recato dopo le elezioni”. Per Baer l’Iraq ha bisogno di un “uomo forte per restare unito, come avvenuto in passato. Ma al momento nessuno dei leader politici nazionali lo è abbastanza per riuscire ad imporsi”. Parlando di ciò che è avvenuto tra il 2005 e il 2007 dice che “c’è stata una operazione massiccia di pulizia etnica anti sunnita nelle roccaforti della guerriglia. Ha avuto successo, certo, ma non è riuscita a spazzare via del tutto Al Qaeda dall’Iraq”. Sullo stesso quotidiano, intervista al vescovo ausiliario Baghdad, Warduni, leader dei caldei dell’Iraq: dice che “Il Paese è nel caos” e che le truppe americane lasciano un Iraq peggiore di quello che ganno trovato sette anni fa. Accusa la Casa Bianca di aver “tradito il dovere di portare pace e sicurezza”: “il ritiro degli Stati Uniti è una disastrosa fuga dalle responsabilità”, in una situazione in cui “abbiamo paura di uscire di casa” poiché la situazione è peggiorata, soprattutto per i cristiani. “Aveva ragione quel grande santo di karol Wojtyla a condannare la guerra in Iraq: sono stati creati più problemi di quanti ne siano stati risolti”, dice il vescovo spiegando che “prima c’era la ditttura, però la gente viveva abbastanza bene. Oggi vige l’insicurezza totale”.  ,

Foto e vignette da non perdere

Sul Corriere della Sera il servizio fotografico sulla cena per il compleanno di Tremonti che si è tenuta in un ristorante di Calalzo, in provincia di Belluno. Attovagliati Tremonti e Bossi, serviti dal patron del ristorante, il “mitico Gino Mondin”. Saremo gli unici a chiederci perché indossa, nel servire una torta di compleanno con tanto di candelina, un giubbotto e un colbacco con paraorecchie con stella rossa made un Urss?
In prima pagina su Il Fatto quotidiano, ma anche su La Repubblica e il Corriere, il presidente della Camera che si intrattiene con un ambulante pakistano sulla spiaggia di Ansedonia. Il migrante è un poeta, e gli regala le sue poesie.
La faccia del pedofilo italiano condannato in Colombia a 15 anni su La Stampa.
Quella del toro che in Spagna è saltato fuori dall’arena, dilagando tra gli spalti, facendo 40 feriti. Un bambino è grave. (Sorprendentemente ironico Il Giornale: “non è colpa dell’animale: si è solo difeso dalle torture di un rito insensato”).
Altan su La Repubblica. Un tizio a Berlusconi: “Cossiga non ha voluto le istituzioni al funerale”. Berlusconi, banana in mano: “Io non le voglio neanche da vivo”.

Materie prime
Scrive Il Sole 24 Ore che il mondo, senza neppure saperlo, ha un oggetto del desiderio enorme e irrinunciabile, la cui sigla è “N-P-K”: che sta per Azoto (N), Fosforo (P) e Potassio (K). Senza questo trio di atomi, variamente combinati ad altri elementi per fare i fertilizzanti, la produzione alimentare intensiva che conosciamo oggi sarebbe semplicemente utopia. E c’è un’azienda canadese, la Potash, che li produce tutti e tre, e che è oggetto del desiderio di un mercato azionario pur depresso dalla crisi. Il gigante minerario angloaustraliano Bhp Billiton ha lanciato un’Opa su Potash: è una guerra per la conquista del titolo di maggior produttore di potassio. Quanto al fosforo, la scorsa settimana, al 19esimo Congresso internazionale sulla scienza del suolo, un universitario australiano ha detto che “Nel 2033 la produzione mondiale di fertilizzanti a base di fosforo toccherà il picco. E anche qualora il picco arrivasse qualche anno dopo, i fosf ati rocciosi diventeranno sempre più scarsi e i loro prezzi saliranno”. Il fatto è che il fosforo non è una risorsa rinnovabile. Marocco, Stati Uniti e Cina sono i primi produttori al mondo di fosfati rocciosi per fertilizzanti: ma i grandi giacimenti si trovano in Africa, il continente che più ha fame, come sottolinea Il Sole. E nel 2008 la Cina impose un dazio all’export sul fosforo per scoraggiarne le esportazioni.
Del tema si occupa anche La Stampa: “La mancanza di cibo scatena una guerra da miliardi di dollari”, “Battaglia per le riserve di un metallo leggero, meno denso dell’acqua etagliabile con un coltello. Il potassio è conteso da Canada, Australia e russia. Produrrà fertilizzanti senza i quali non sfameremo il mondo”. La guerra dei fertilizzanti, insomma, è una vera e propria “business war”, come sottolinea il quotidiano, solo che quel su cui si scommette è la sventura, cioè la fame. Anche qui ci si occupa della scal ata della Bhp alla Potash: l’offerta degli australiani di 38,6 miliardi di dollari è stata considerata troppo bassa dal board della canadese Potash.
Il dossier de La Stampa si sofferma anche sulla caccia al litio nei depositi di sale delle Ande. Serve a muovere le auto elettriche ed il Sudamerica ne è considerato la cassaforte globale (Cile, Argentina, Bolivia). Ecco perché in Cile si discute se questa ricchezza debba andare in mani private o se debba invece essere un business “nacional”, mentre la Bolivia ha già nazionalizzato il litio. Ma non ha le tecnologie per poterlo estrarre. Non manca nel dossier il capitolo oro: e qui si parla soprattutto del Sudan, dove la caccia, nel nord del Paese, si fa a mani nude, come ai vecchi tempi.
La Repubblica si occupa invece delle conseguenze degli incendi in Russia: “Il granaio d’Europa è vuoto, la Russia costretta a importare”. Il primo Paese da cui si acquisterà il frumento sarà il Kazakhstan, pronto a inviare 5 milioni di tonnellate, che però non basteranno.

E poi

Su Il Foglio si parla di Houshang Asadi, iraniano che fu incarcerato dallo scià e si ritrovò ad avere come compagno di cella l’attuale Guida Suprema della Rivoluzione islamica Ali Khamenei. Dopo la rivoluzione, da dissidente è stato seviziato dagli ayatollah: gli hanno fatto mangiare escrementi ed hanno simulato lo stupro della moglie per fargli confessare un colpo di stato. Era un giornalista, non aveva nessuna informazione particolare da dare. Adesso ha scritto un libro, “Letters to my torturer”. Scherza sulla sua prigionia dicendo di essere “l’unico al mondo ad aver visto le parti intime del Grande Ayatollah Ali Khamenei”.

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)