Le aperture
Il Corriere della Sera: “Mirafiori, pronti ad andarcene”. “Referendum: Per Marcegaglia non è scontato che resti in Italia. Il Lingotto sale in Chrysler”. “Marchionne: via se vince il no. E il Pd alla Fiom: rispetti il voto”. A centro pagina: “Alemanno azzera la giunta. ‘Ho deciso, fase nuova’. Svolta del Sindaco dopo il caso Parentopoli”. L’editoriale è firmato da Piero Ostellino: “Il Cavaliere e il Professore”. Il professore è Giulio Tremonti. I temi sono quelli della leaderhisp e delle scelte economiche.
La Repubblica: “Se vince il no, la Fiat se ne va. Mirafiori: ultimatum di Marchionne. Referendum, Pd e Fiom si dividono. Alla vigilia del voto l’ad lancia la sfida da Detroit e annuncia: ‘Al Lingotto il 25 per cento di Chrysler’. Giù i consumi, tornati ai livelli del ’99”. A centro pagina la notizia del neonato morto di freddo a Bologna: dormiva in strada. “Il Comune: la madre rifiutò l’aiuto”. A centro pagina: “Alemanno azzera la giunta e vuole Bertolaso come vice”. “Terremoto in Campidoglio. Il sindaco messo in crisi dallo scandal di Parentopoli e dal crollo nei sondaggi”. Tra i commenti in prima pagina anche quello di Andrea Manzella, dedicato alla decisione imminente della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento: “Il Cavaliere e la Consulta”.
La Stampa: “Fiat sale in Chrysler: è al 25 per cento. ‘Molte alternative a Mirafiori’. Marchionne: vogliamo investire in Italia, ci dicano di sì”. “Cresce l’attesa per il referendum sull’accordo di Torino. Elkann assicura: nessuna vendita”. In alto sulla prima pagina del quotidiano torinese, la “Tunisia nel caos. Il governo chiude scuole e università. Rabbia ai funerali dei manifestanti morti negli scontri. Il Presidente: terroristi nelle strade”. In prima pagina anche un richiamo al neonato ucciso dal gelo a Bologna e alla situazione ad Haiti, ad un anno dal terremoto.
Il Foglio apre con questo titolo: “Da Tunisi a Nuova Delhi è scoppiata la crisi del panino con la cipolla. Ancora proteste e morti in Tunisia per il prezzo dell’olio e dello zucchero. “. Di spalla la politica: “Tra il Pdl e Casini c’è un Tremonti da scalare. Ma il Cav. ha un piano. Il premier vedrà il ministro per chiedergli di trattare con l’Udc sul federalismo (Lega d’accordo) e finanziare la ripresa”. “Da Forza Italia a ‘Italia’?”.
Il Riformista. “Ultimatum a Tremonti. Governo senza numeri. Resto un po’. Berlusconi fissa un incontro con il ministro del Tesoro per sbloccare le risorse necessarie ad ‘allargare’. Ma intanto prepara il voto”. Poi attenzione per la decisione del sindaco Alemanno di sciogliere la giunta comunale, sotto il titolo: “Saluto romano”.
Libero, con foto di Marchionne: “Perché lo vogliono morto. L’amministratore delegato Fiat nemico di politici e sindacati impegnati a impedire che le cose cambino”. E poi: I dipietristi si iscrivono alla ‘caccia allo sbirro’ lanciata dai comunisti per schedare gli agenti”.
Il Sole 24 Ore: “Fiat sale al 25 per cento di Chrysler. Marchionne: se non passa il referendum molte alternative a Mirafiori. Bersani alla Fiom: rispettate l’esito del voto. Marcegaglia: Lingotto e Confindustria sulla stessa sponda”. A centro pagina le notizie sui consumi: “In Italia ripresa dei consumi prevista solo nel 2012”. “Trichet: crescita ok, La Bce sostiene i bond portoghesi”.
Il Giornale: “Le carte segrete di Berlusconi. Casini e Lombardo si avvicinano, il Pdl cambia pelle e sui processi è in arrivo una beffa. Il Quirinale smentisce la vittima del terrorismo (ma censura Il Giornale)”. La beffa secondo Alessandro Sallusti, che firma l’editoriale, sarebbe nei processi a carico del premier: se anche la sentenza della Corte Costituzionale dovesse essere “completamente avversa (cosa difficile)”, spiega il direttore, i processi in corso rischiano comunque di finire in prescrizione”.
Il Fatto quotidiano: “Il giorno del giudizio. B. è un cittadino come gli altri? Oggi alla Consulta il legittimo impedimento. Verso un compromesso. Il Csm: il premier ha denigrato il pm sul caso Mills”. Un commento della costituzionalista Lorenza Carlassare in prima pagina è titolato “La legge è uguale anche per lui”.
L’Unità: “Pena capitale. Alemanno nella bufera cancella la sua giunta”. Di spalla: “Marchionne aspetta il sì ma è pronto a traslocare”.
Alemanno
“Ci vuol coraggio per ripartire da zero”, scrive Il Giornale parlando della decisione del sindaco di Roma Alemanno di licenziare la propria giunta. Si racconta che Alemanno stia cercando un vicesindaco forte – spiega Il Giornale – uno in grado di sfidare Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, Pd – quando ci sarà da battersi davanti agli elettori. Se la nuova giunta non dovesse decollare, si andrebbe inevitabilmente ad elezioni, e i sondaggi danno Zingaretti con il vento in poppa. Il nome del possibile vicesindaco è sempre lo stesso: Guido Bertolaso. Il sindaco potrebbe poi trasferirsi a Palazzo Chigi come vicepremier. Ma Roma è anche un esperimento politico e ci si interroga su un possibile ingresso dell’Udc nella nuova giunta, malgrado Casini si sia affrettato a smentire: Roma potrebbe essere quindi il battesimo di un accordo più vasto, di livello nazionale.
Simile la lettura de La Repubblica, che descrive Bertolaso come “l’asso da calare” cui verrebbe assegnato il ruolo di vicesindaco. Nel 2013, poi, dopo un incarico di vicepremier accanto a Berlusconi, Alemanno potrebbe aspirare a Palazzo Chigi: Berlusconi lo considererebe il più adatto a coprire “la rive droite del Pdl” assediata dai futuristi di Fini.
Anche sul Corriere si racconta come il sindaco sia stato “stretto da veti incrociati, dopo mesi di logoramento e trattative con le anime (in lotta) della coalizione”. Dalle inchieste giudiziarie alla bocciatura nei sondaggi, è stata ritenuta necessaria una “inversione di rotta”. Sergio Rizzo considera la decisione di Alemanno “un cambio di passo dovuto a tutti i cittadini romani, i quali hanno vissuto come un’onta la vicenda delle centinaia o forse migliaia di assunzioni pilotate nelle aziende comunali”. Ma quel che auspica Rizzo non è una giravolta indolore: “l’Italia, lo sappiamo, è una Repubblica democratica fondata sul rimpasto: la tecnica è sopraffina: si smonta un governo o una giunta per farne una diversa, ma utilizzando gli stessi ingredienti”.
Fiat
Su L’Unità una lettera della segretaria Cgil Camusso ai delegati della fabbrica di Mirafiori. La Camusso ribadisce che l’indicazione del sindacato è di partecipare alla consultazione referendaria.
Il Corriere della Sera intervista il presidente Fiat John Elkann, che dice: “Internazionalizzare sempre più la Fiat è una necessità e una sfida esaltante”. Domanda: la crescita all’estero passa per l’acquisizione della maggioranza della Chrysler, il percorso per salire al 35% del capitale è già segnato, come finanzierete l’acquisto del 16% che ancora manca per raggiungere quota 51%? Voci di cessioni dalla Alfa a Magneti Marelli vengono smentite, ma… Elkann ribadisce: “Ci teniamo stretto tutto”, “abbiamo già individuato, all’interno del bilancio Fiat, le risorse necessarie per finanziare l’acquisizione della quota Chrysler.
Maghreb
Il Giornale intervista Franco Rizzi, fondatore della Università per il Mediterraneo, secondo cui “non è solo il pane quello che vogliono” i giovani del Maghreb, perché “la loro è voglia di democrazia”, “sono ragazzi che hanno studiato all’università. E oggi hanno scoperto che non c’è posto nella società che li ha cresciuti”. Rizzi sottolinea che in questi Paesi c’è una economia “di tipo statalista, di stampo sovietico, soprattutto in Algeria”. A Tunisi la situazione è un po’ diversa, per esempio la classe media esiste, i giovani laureati e colti sono il fiore all’occhiello della società. E per questo “la rivolta ha meravigliato tutti”. Ma lì “manca la libertà di pensiero”. Quanto alle responsabilità dell’Europa, Rizzi ne sottolinea la miopia: “Ha preferito guardare ad est piuttosto che a sud, oltre a non aver mai trovato il coraggio di “elaborare il lutto del colonialismo” lasciando che questi Paesi si organizzassero senza aiutarli in modo concreto. L’Europa – dice Rizzi – “non ha mai accompagnato questi Stati nel processo di democratizzazione”: “Il problema vero sono proprio i governi, democrazie ereditarie”.
Difende il sistema Ben Ali l’imprenditore di tv e cinema tunisino Tarak Ben Ammar, che considera la rivolta il prezzo della modernità. Sottolinea che tanto il primo presidente Burghiba che Ben Ali hanno promosso tre direzioni nella politica del Paese: libertà della donna (il divorzio in Tunisia c’è dal 1957) laicità delle istituzioni, libertà di culto ed educazione. Dice: “Oggi in Tunisia escono dall’università 100 mila giovani ogni anno, e non tutti trovano lavoro”. Ridimensiona la vicenda dello studente costretto a fare il venditore ambulante, si è scontrato con un impiegato che gli ha chiesto la mazzetta, si è dato fuoco non perché sindacalista o uomo politico, “ma perché umiliato”. Dice che i navigatori web arrestati sono stati liberati, che il governo ha saputo coglierre i segnali di malessere: e ne offre conferma la messa in onda sulla tv da lui controllata in Tunisia (satellitare, Nessma) di un programma con politici, imprendiri e sindacalisti, sulla rivolta, con tanto di immagini dalle piazze. Se la prende invece con l’Europa, che chiude le porte a quei giovani che saranno la classe dirigente futura della Tunisia: “Grazie a questo nuovo muro non disporranno della stessa conoscenza della cultura europea e occidentale che hanno avuto i nostri padri della patria. E se domani questi Paesi dovessero cadere nell’area fondamentalista, com e è accaduto all’Iran? Le elite liberali non potranno far altro che fuggire, rifugiarsi in Italia, Francia.
Anche Il Sole 24 Ore si occupa di Tunisia e della crisi del sistema Ben Ali, una sorta di modello cinese sulla sponda sud dal Mediterraneo, ma economicamente legato a doppio filo all’Europa”, dato che il 75% delle sportazioni è diretto verso l’Unione e in Tunisia vi sono 25mila imprese straniere che hanno delocalizzato la produzione, soprattutto nel tessile. 750 sono italiane, invogliate dal basso costo della manodopera (salari medi di 200 euro) e dagli incentivi fiscali.
Intanto, il presidente Ben Ali in tv ieri ha promesso fermezza, ma anche 300 mila nuovi posti di lavoro, ma ha anche ordinato la chiusura di licei e università, come spiega il Corriere. Ben Ali ha definito le proteste “atti di terrorismo pilotati dalle forze straniere”. L’inviato del Corriere intervista una studentessa membro del comitato studentesco, che risponde all’accusa di essere al servizio dei fondamentalisti: “Assurdo. Qui siamo laici. Laici che vogliono il bene del loro Paese. Stanchi dei privilegi per le elites. Io pago oltre 3500 Euro per comprare dalla mafia il mio diritto di lavorare dopo la laurea. Come vi mobilitate? “Su Facebook”. Dice che la lotta è nata come rivolta studentesca ma sta diventando qualcosa di molto più radicale, contro un regime ingiusto: “Una volta non era così. I miei genitori al tempo dell’indipendenza dalla Francia avevano molte più opportunità di lavoro di noi oggi, la nostra società era sostanzialmente aperta, egualitaria.
La Stampa intervista il leader del partito di opposizione Congresso per la Repubblica, Moncef Marzouki, che dice: “L’Europa sbaglia, sta con un tiranno”. Chiede che Ben Ali se ne vada, fa appello all’esercito “che è lì per proteggere la popolazione, denuncia la corruzione del clan del Presidente”. Invoca un governo di unità nazionale o di transizione, dice che il Presidente “ha distrutto la magistratura, ha distrutto la polizia che è corrotta ed ha distrutto il sistema educativo”. Insiste: “Non c’è alcun pericolo islamista qui, questo è un Paese laico, un po’ come la Turchia, con una tradizione modernista, il movimento femminile è forte, c’è una forte borghesia. Gli islamici, in caso di vere elezioni, arriverebbero al massimo al 20-30 per cento. In queste settimane non si è sentita una sola parola d’ordine islamista. Italiani e francesi e spagnoli appoggiano Ben Ali perché credono che sia una trincea contro i fanatici”, ma “regimi come quello tunisino e algerino moltiplicheranno invece gli emigranti della miseria e creeranno i jihadisti”.
E poi
Ieri il presidente francese Sarkozy ha iniziato la sua visita negli Usa incontrando il suo omologo Obama. Ed ha portato ieri avanti l’istanza per una riforma del sistema monetario internazionale, nel contesto del G8-G20 di cui la Francia ha quest’anno la presidenza. Ne parla Il Sole 24 Ore spiegando che l’obiettivo di Parigi è quello di ridimensionare il ruolo internazionale del dollaro come principale moneta di riserva. E in questo interpreta non solo il pensiero di altri Paesi europei, ma anche di grandi potenze emergenti, Cina in testa. Sarkozy tornerà all’attacco su questo tema il prossimo 24 gennaio, presentando la sua agenda per il G20. Il quotidiano sottolinea anche che la sua visita è stata decisamente “schiacciata” sullo sfondo della visita che il Presidente cinese Hu Jin Tao si appresta a compiere negli Usa tra una settimana: “L’incontro con i cinesi è oggetto di una preparazione senza precedenti: domani il segretario al Tesoro Geithner pronuncerà un discorso all’università John Hopkins sui rapporti economici con la Cina, giovedì il segretario al commercio Locke spiegherà al China business council come migliorare il campo per le aziende americane e venerdì parlerà la segretaria di Stato Clinton delle relazioni Cina-Usa.
Della visita di Sarkozy si occupa anche Il Foglio, sottolineando quanto le richieste del Presidente francese suonino inaccettabili per Obama. Ci si riferisce tanto alla questione del “nuovo ordine monetario internazionale”, che alla domanda di Sarkozy di creare una organizzazione agricola internazionale per armonizzare le produzioni riducendo il rischio di penurie provocate dalla speculazione.
(Fonte: La Rassegna Italiana di Paolo Martini e Ada Pagliarulo)