Le aperture
Il Corriere della Sera: “Tripoli alla battaglia finale. I combattimenti si avvicinano. Gheddafi accusa Al Qaeda. Obama telefona a Berlusconi. La Ue nega l’emergenza profughi. Maroni: non c’è solidarietà”. A centro pagina le parole del leader di Futuro e Libertà, Fini, che “attacca il Cavaliere”: “Il leader Fli: il premier eletto, non unto dal Signore”. “Il Pdl al Colle. va fermato”. L’editoriale del quotidiano milanese è firmato da Ernesto Galli della Loggia, ed è dedicato al testamento biologico: “Una legge sbagliata. I confini della volontà”.
La Repubblica: “I ribelli marciano su Tripoli. La battaglia infuria a pochi chilometri dalla capitale. Messaggio del rais asserragliato nel suo bunker. Picchiati giornalisti italiani. In centinaia prigionieri all’aeroporto”. “Gheddafi: rivolta voluta da Bin Laden, morirete tutti. Pozzi di petrolio in mano agli insorti”. Il quotidiano offre la cronaca da Tripoli dell’inviato Vincenzo Nigro: “Nella città assediata dove regnano i miliziani”. A fondo pagina (“la polemica”) un articolo sulla denuncia di un parlamentare del Pd eletto nella circoscrizione Nord America, Gino Bucchino: “Passa col premier, ti diamo 150 mila euro”.
La Stampa: “I ribelli puntano su Tripoli. I morti sarebbero 7 mila. Alitalia e altre compagnie: stop ai voli per la Libia. L’Aeronautica riporta a casa gli italiani. Gheddafi bombarda gli insorti e si fa vivo dal bunker: c’è la mano di Al Qaeda. Usa e Ue pronti a blitz militari per i rimpatri. Maroni: poca solidarietà europea”. In prima pagina anche tre reportage da tre diverse città libiche, dalla tripolitania alla cirenaica e da Tripoli. Di spalla: “Il vertice della Bce: Napolitano lancia Draghi: ‘Nessun pregiudizio'”. “Ma Merkel ha le mani legate”, spiega un altro articolo.
Il Foglio: “Occupare Tripoli. Che può succedere se la Nato decide di sbarcare in Libia. L’emergenza umanitaria sull’altra costa del Mediterraneo. Con quali Paesi, quanti soldati e fino a quando. Esperti a confronto”. Si confrontano sull’argomento alcuni esperti militari. Di spalla: “Così l’emergenza libica rafforza il Cav e obbliga Fini al contrattacco. Nell’agenda berlusconiana c’è il ritorno (obbligato) alla politica internazionale, in quella di Fli c’è una falla da chiudere. Il soccorso di Casini e Rutelli”.
Il Sole 24 Ore: “Riad fornirà più petrolio. Il barile sale a 120 dollari, poi chiude in calo dopo le garanzie saudite: sostituiremo noi il greggio libico. Scaroni: Italia non a rischio. Marcegaglia: fermare il genocidio”.
Europa, quotidiano del Partito Democratico: “Nato ferma, la Ue aspetta. Italia, sospendi il trattato. Mozione del Polo, d’accordo radicali e Fassino: dare un segnale al popolo libico”. Un corsivo in prima pagina è titolato: “Quel segnale politico è urgente”. E poi: “Gheddafi verso lo scontro finale, il mondo assiste, italiani in pericolo”.
Libero: “La Fallaci aveva ragione. La profezia di Oriana si sta avverando: cadono le dittature, trionfano i fondamentalisti. L’Europa assiste inerte. E l’Italia rischia di essere invasa dai musulmani. Bisogna reagire”. In prima anche: “Inchiesta sulla sanità stende Vendola e tutto il sistema Pd. ‘Arrestate il senatore Tedesco’”.
Il Giornale apre con la “retata nella sanità pugliese”: “Sgominata la banda del Pd. La Procura chiede l’arresto del senatore Tedesco. In cella il capo della scorta di Vendola, che resta inquisito. Crolla il falso mito del governatore poeta: altro che ‘Fabbrica Puglia’, ha prodotto sprechi, bugie e affari”. L’editoriale, firmato da Alessandro Sallusti, è titolato: “Narraci questa, Nichi”. E poi: “Affittopoli a Milano, Pisapia e Signora si fanno fotografare nella casa low cost”. In evidenza in prima pagina anche una nuova iniziativa editoriale: “Domani in edicola: il Testamento del Duce gratis con Il Giornale”. E’ il testamento politico di Mussolini, “le ultime parole scritte dal Duce”.
Il Riformista si occupa del Pd: “Cosa succede in città. Milano, Torino, Napoli: guai per Bersani in vista del voto di primavera. Il Pd rischia di arrivare male al grande test della amministrative”, spiega il quotidiano.
Libia
Secondo il Corriere della Sera starebbe emergendo la possibilità di un vero intervento militare di stabilizzazione concertato tra Ue e Usa. L’unità di intervento rapido della Ue può dispiegare 1500 militari per operazioni umanitarie. Ma a Washington non si escluderebbe nessuna opzione, e vedrebbero bene anche un intervento solo di Francia e Italia per imporre una no fly zone che impedisca a Gheddafi di bombardare i connazionali insorti e salvare gli impianti petroliferi. La Nato per ora si è chiamata fuori.
Su Il Foglio si sviluppa l’ipotesi di un intervento Europa-Usa in Libia tracciando gli scenari possibili in un colloquio con esperti del settore militari: Gian Andrea Gaiani, Roberto Martinelli, Luciano Piacentini. Basi logistiche in Sicilia, doppio sbarco in Cirenaica e Tripolitania, collaborazione con le tribù.
E’ uno scenario che viene confermato anche dalle corrispondenze de La Stampa negli Usa, dove si legge che alcuni ufficiali statunitensi che hanno partecipato allo smantellamento del programma libico di armi di distruzione di massa, nel 2003, al Wall Street Journal hanno dichiarato che Tripoli ha ancora la metà delle 1300 tonnellate di materiale usato per sviluppare aggressivi chimici, oltre ad un numero imprecisato di missili Scud B. Ci si riferisce anche al “gas mostarda”, che potrebbe essere lanciato dall’alto con bombe. Sullo stesso quotidiano si dà conto anche delle dichiarazioni del premier russo Vladimir Putin ieri in sala stampa alla commissione Ue: “Non si deve interferire”, ha detto pensando alla Libia e magari al Caucaso. I russi non hanno mancato di sottolineare che la vicenda libica è la conferma di quanto il loro Paese sia il solo partner stabile su cui l’Ue possa contare in materia energetica. E il quotidiano racconta di uno scontro con il presidente Barroso quando Putin ha chiesto una deroga al principio europeo della separazione tra chi vende e chi distribuisce il gas.
“Putin attacca le regole europee sul gas”, titola anche Il Sole 24 Ore, dando conto delle parole del premier russo, che ha esplicitato il suo no a quello che definisce “l’aumento brutale dei prezzi del greggio”. Putin non ha fatto mistero del timore di un contagio di instabilità e di diffusione dell’estremismo islamico nel Caucaso del nord.
Il sociologo delle religioni Renzo Guolo, in una analisi su La Repubblica, contesta il coinvolgimento di Al Qaeda nella rivolta in Libia agitata come uno spauracchio da Gheddafi, e scrive: “Se proprio si vuole tirare in ballo l’islam, è della Senussia, la confraternita religiosa diffusa nell’area cirenaica, cui faceva riferimento il deposto re Idris, e che gli italiani conoscono bene per aver combattuto durante il fascismo, che si dovrebbe parlare”. Protagonisti della rivolta “sono stati, invece, giovani che non sanno che farsene del libretto Verde, connessi alla società mondiale attraverso la rete”. Ma la rivolta dei giovani ha associato richiesta di libertà a questioni come “la diseguale distribuzione del reddito nelle province”. Ed ha innescato anche quella delle tribù. Al contrario, “per gli estremisti radicali queste rivolte sono, invece, una cocente sconfitta”. Anche se è innegabile che la caduta dei regimi autocratici produca un vuoto politico sul quale anche l’organizzazione Al Qaeda nel Maghreb può innestare la sua strategia.
Su Europa “esperti a confronto”: il quotidiano ha interpellato Khalil Anani, analista politico egiziano, che, parlando delle rivolte, dice che “si tratta di mobilitazioni che trascendono le dimensioni nazionali” e “nessun regime della regione può dirsi oggi al sicuro”. L’attenzione si focalizza sul rientro in Arabia Saudita di re Abdallah: ha annunciato la concessione di sussidi e incentivi per un totale di 37 miliardi di dollari. Ma, secondo May Yamani, studioso saudita della Chatam House di Londra, il messaggio lanciato dal re è “ormai vecchio”, ha usato il denaro del petrolio per comprare silenzio e sottomissione. Anani sottolinea che si tratta di “rivoluzioni non solo contro i regimi e le oligarchie che sostengono il potere, ma contro le opposizioni gerontocratiche, formate da politici, spesso coetanei dei dittatori stessi e – come loro – lontani anni luce dalle realtà dei ventenni-trentenni e in parte da quella dei quarantenni arabi.
Sullo stesso quotidiano segnaliamo un articolo in cui si spiega come l’assemblea dei capiclan libici due giorni fa abbia nei fatti decretato la fine del colonnello. Il clan che ha fatto pendere l’ago della bilancia è quello dei Maghariba, cui appartiene anche l’ex premier Jallud, braccio destro di Gheddafi.
E proprio Jallud è il protagonista di una ricostruzione dell’incontro che portò faccia a faccia con il Presidente del consiglio italiano De Mita, nel 1988: non ci fu baciamano, ma una richiesta pressante e non esaudita di munizioni e armi. Pare che De Mita lo abbia congedato così: “ricordatevi di non parlare più di risarcimenti”.
Su L’Unità una intervista ad un diplomatico libico, Abdel Moneim Al-Honi, già rappresentante permanente della Libia presso la Lega Araba: “Temo che avverranno altri orribili massacri. Gheddafi non ha soluzioni: può uccidere, o può essere ucciso”. All’Europa dice: “non deve credere alla propaganda del regime, nessun feudo di Al Qaeda sarà mai possibile nella Libia liberata”. Dice che Gheddafi è “ben peggio di Hussein, perché quest’ultimo aveva un minimo di buon senso”. Gheddafi non si arrenderà mai ad una uscita di scena alla Mubarak. Invita l’Europa ad agire per porre fine alla mattanza ed evitare di essere complice di un genocidio. “Le sanzioni sono ormai un’arma spuntata e gli ultimi giorni di Gheddafi assomigliano a quelli di Hitler: vuole morire punendo il popolo che lo ha ‘tradito'”.
Sul Sole 24 Ore una analisi delle rivolte spiega quanto il nuovo scenario possa rafforzare l’Iran: “A cadere e ad essere minacciati sono i regimi arabi organicamente alleati degli americani o con interessi politici ed economici comuni. Gli altri, l’altro fronte, per ora tengono il controllo delle loro piazze. Della Siria non si sa nulla, l’Iran ha represso nel sangue alcune manifestazioni, il Libano “al momento è sotto il controllo di Hezbollah”. Regna l’incertezza nel Bahrein, abitato al 70 per cento dagli sciiti ma governato da una monarchia sunnita filo-occidentale.
E poi
Si vota in Irlanda domenica. Il Sole 24 Ore dedica un articolo a Gerry Adams, il leader dello Sinn Fein che sarà candidato e che al primo posto del programma politico ha l’azzeramento dell’accordo con l’UE e il Fondo Monetario.
Sul Corriere della Sera una lettera dell’ex ambasciatore Usa in Italia Ronald Spogli dedicata alle notizie provenienti da Wikileaks sui rapporti tra Washington e Roma. Spogli dice: “Quando è stata invititata ad appoggiare un obiettivo americano l’Italia non si è mai tirata indietro”, dice l’ambasciatore, citando il suo impegno in Libano, Medio Oriente, Iraq, Afghanistan, dove il contributo italiano in termini di uomini, materiali e aiuti finanziari “resta impareggiabile”. E ancora: “Spesso giudicata in passato un partner di secondo piano, dal 2000 in poi l’Italia ha assunto una posizione di grande rilievo sul palcoscenico mondiale dei Paesi del G8”, “solo con l’insediamento del governo di Silvio Berlusconi nel 2001-2006 i nostri rapporti politici hanno raggiunto la preminenza di cui godono oggi”. Certo, ammette Spogli, ci sono state divergenze di opinione “per lo più riguardanti la Russia, ma non solo”.
Su L’Unità e altri quotidiani delle anticipazioni degli ultimi cablo di Wikileaks pubblicati oggi da L’Espresso: l’attenzione è puntata sui giudizi dell’attuale ambasciatore Usa Thorne. Che usa, nel descrivere la politica estera berlusconiana nel Mediterraneo, il termine “sexier portfolio”: sceglie cioè le relazioni più appetibili sessualmente, mentre al ministro Frattini tocca la parte più noiosa. E nella lista sexy dei dittatori Thorne dice che Berlusconi li incontra come “vecchi amici” e per “nuovi business”.
(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)
E oggi 26 febbraio sul Corriere della Sera nel fondo di Franco Venturini si legge che le misure intraprese dall’Unione Europea come le sanzioni che
vietano la vendita di armi alla Libia sono davvero poco al cospetto di migliaia di morti e di una guerra civile che continua . Meglio sarebbe un “no fly zone” che può essere dichiarata solo dall’Onu : nessun aereo o elicottero libico potrebbero più alzarsi e andare a colpire i ribelli senza rischiare di essere abbattuti. Sarebbe anche un forte messaggio di solidarietà per i rivoltosi. Ecco la necessità dell’appello all’Onu. http://www.avaaz.org/it/libya_stop_the_crackdown_eu/?vl