Le aperture
Il Corriere della Sera: “Sfida ai pm in Parlamento. In caso di giudizio immediato, il Pdl prepara il sì della Camera sul conflitto di attribuzione. Manifestazione anti-Berlusconi ad Arcore”. A centro pagina: “Rogo nel campo rom: muoiono quattro bimbi. Alemanno: via le maledette baracche abusive”.
Il Giornale: “Dopo le ragazze, gli idioti. L’assalto ad Arcore. Ieri la residenza del Cavaliere è stata presa in ostaggio da un gruppo di violenti. Feriti, arresti e scene di guerriglia. E Di Pietro soffia sul fuoco: ‘Prendiamo la Bastiglia’”. Alla manifestazione del Palasharp di sabato è dedicato l’editoriale di Alessandro Sallusti: “De Benedetti a Milano, comparsata da 800 milioni”. In prima pagina anche due contributi sull’economia: Emma Marcegaglia si rivolge a Giuliano Ferrara (“Caro Giuliano, la ‘frustata’ va bene ma…”) e Ferrara risponde (“Cara Emma, non faccia però la prima della classe”).
La Repubblica: “Berlusconi attacca stampa e pm”. E poi: “Raduno pacifico per invocare le dimissioni del Cavaliere, poi i centri sociali si scatenano. La condanna dei promotori”. “Scontri ed arresti ad Arcore dopo una manifestazione del Popolo viola”. A centro pagina: “Orrore nel campo rom, 4 bimbi muoiono bruciati”. In prima anche un richiamo per la Fiat: “Il premier convoca Marchionne. Vertice con i ministri economici”.
La Stampa: “Scontri al corteo anti-premier. Tensione ad Arcore davanti alla villa del Cavaliere. Duello a distanza con Fini: è un traditore. La replica: ha fallito”. “Blitz dei centri sociali, due arrestati. Il Popolo viola si dissocia. Il Pdl: squadristi. Berlusconi: niente rimpasto. E accusa ancora stampa e pm: spiano le nostre vite”. A centro pagina: “Egitto, intesa con gli islamisti. La piazza non cede: via il raiss. Prove di dialogo al Cairo tra governo e opposizione”. In prima pagina con evidenza anche la notizia del rogo a Roma: “Rogo nella baracca. Carbonizzati quattro fratellini rom. La tragedia a Roma, i bambini avevano tra i 4 e gli 11 anni. La mamma disperata: resto vicino a loro. La rabbia di Alemanno: uccisi dalla burocrazia, voglio poteri speciali”. Il sindaco si riferisce alle difficoltà di trasferimento dei rom nel nuovo campo nomadi a Roma.
L’Unità: “Solo una maschera. L’ennessimo messaggio. Berlusconi ormai evita la gente e al telefono attacca pm e sinistra. Poi uno sgarbo al Quirinale”. Nel testo del messaggio era previsto che dicesse che sul federalismo avrebbe seguito le indicazioni di Napolitano, “ma poi non lo dice”, scrive il quotidiano del Pd.
Libero: “Di Pietro: un libro svela i suoi segreti. I Servizi, le foto americane e una misteriosa valigetta di Hong Kong. Ecco il racconto che Tonino ha cercato di fermare in tutti i modi”: Da oggi sarà in edicola una biografia “non autorizzata” del leader di Italia dei Valori, scritta da un avvocato civilista ex amico e co-fondatore del partito di Di Pietro. “Il libro accusa Di Pietro di aver compiuto una nutrita serie di irregolarità, scorrettezze e persino reati”. A centro pagina: “Pannella stangherà i pm per conto del Cav. Il leader radicale promette nove novi al premier”.
Egitto, Tunisia
Su La Stampa una intervista a Norman Podhoretz, teorico dei neoconservatori Usa dedicata alla gestione della crisi egiziana da parte dell’Amministrazione di Obama. Due gli errori contestati al Presidente: “cambia idea in continuazione”, “dimostrando quella incompetenza che Hillary Clinton gli rimproverava durante le primarie democratiche del 2008”. Il secondo errore è “strategico”, perché “ritiene che il fondamentalismo islamico sia diviso tra estremisti e moderati, e che con questi ultimi sia possibile parlare”. Questa divisione “è una finzione ad uso e consumo dell’opinione pubblica occidentale”. “I Fratelli Musulmani si fingono moderati per guadagnare terreno politico in Egitto. Legittimandoli, Obama pone le premesse che potrebbero consetnire loro entro un anno di avere in mano l’Egitto, e dunque il canale di Suez”.
Secondo Podhoretz il rischio che corre Obama è quello di far rafforzare l’Iran.
Se Obama dice di essere a favore delle riforme, secondo Podhoretz, perché non ha appoggiato le proteste in Iran nel 2009, all’epoca della contestata rielezione di Ahmadinejad? Lì, “scelse il basso profilo” facendo prevalere la volontà di dialogo con un regime nostro nemico. Ha la tendenza ad essere “più duro con gli amici che non con i nemici dell’America”, come fece Carter nel 1979 liquidando lo scià di Persia. Alla base “c’è una idea negativa dell’America. La convinzione che gli Stati Uniti, i precedenti presidenti, si siano comportati male”:
Alla decisione del vicepresidente egiziano Suleiman di incontrare le opposizioni, e tra esse anche i Fratelli Musulmani, è dedicata la riflessione di Renzo Guolo, che compare oggi su La Repubblica sotto il titolo “il tabù infranto in Egitto”. L’analisi ricostruisce i complessi rapporti tra la Fratellanza e i presidenti egiziani, da Sadat (che aveva concesso loro una certa libertà di azione nelle università per contrastare la sinistra nasseriana) a Mubarak (che aveva perfezionato quel patto silenzioso permettendo loro di occuparsi di welfare religioso o di partecipare ad elezioni che non avrebbero mai potuto vincere essendo obbligatoriamente candidati a un limitato numero di seggi).
André Glucksmann, sul Corriere della Sera, scrive: “Quante volte è stato ripetuto fino alla noia che libertà e democrazia non interessano la ‘piazza araba’, finché dura il conflitto israelo-palestinese?”. E, ripercorrendo le tappe fondamentali delle grandi rivoluzioni della storia, ricorda che “chi dice Rivoluzione e Libertà non dice subito democrazia, rispetto delle minoranze, uguaglianza dei sessi, rapporti di buon vicinato con i popoli. Tutto questo resta da conquistare. Rendiamo omaggio alle rivoluzioni ‘arabe’ perché infrangono la pseudofatalità. Ma, di grazia, non le incoraggiamo: i rischi, tutti, anche i pericoli peggiori, sono davanti a loro”.
L’Unità intervista George Ishak, il sindacalista fondatore del Movimento per la democrazia “Kefaya”, che difende la scelta di incontrare il vicepresidente Suleiman: la sua nomina – spiega – “è stata voluta, imposta dall’esercito. E l’esercito è per noi un soggetto fondamentale per garantire una transizione ordinata. Se fosse stato per Mubarak nulla sarebbe cambiato”. Sui Fratelli Musulmani: “Non sono un corpo estraneo alla società egiziana. Ne fanno parte, ne rappresentano istanze e aspettative. Ma non ne sono la maggioranza”, in libere elezioni “potrebbero raggiungere il 20 o 25 per cento dei consensi”. Sullo stesso quotidiano si raccontano le manifestazioni al Cairo: “Croce e corano insieme nella piazza della rivolta”.
Da L’Unità segnaliamo anche l’inserto “Cose dell’altro mondo”, che dedica ampio spazio alle rivolte nel mondo arabo e ai rapporti tra le ribellioni e i social network, anche in Paesi come l’Iran.
La Stampa intervista Rashid Ghannouchi, il fondatore del Nahda, i “Fratelli Musulmani” tunisini, per anni in esilio a Londra. E’ tornato nel proprio Paese, accolto festosamente all’aeroporto. Cosa che a qualcuno ha ricordato il ritorno in Iran di Khomeini: “Non sono Khomeini, sono sunnita e non sciita, la Tunisia è assai più piccola dell’Iran, non ho alcuna ambizione a diventare Presidente del Paese e neppure ministro o deputato”. Anticipa il programma del partito: “Al Nahda riconosce il sistema multipartitico, la libertà di espressione e le elezioni democratiche”. Lo Statuto dei Fratelli Musulmani egiziani prevede che a donne e cristiani copti sia preclusa la presidenza. Condividete? “Non è che siamo d’accordo su tutto. Per noi può diventare presidente tanto una donna che un copto”. Il vostro programma prevede un Paese islamico? “Lo Stato tunisino non è laico. L’articolo 1 della Costituzione dichiara che si tratta di uno stato islamico”. A quale Paese islamico vorreste che assomigliasse la Tunisia? “La Turchia, ovviamente. Ma anche l’Indonesia, la Malesia, i Paesi islamici con sistemi democratici”. Lo stesso quotidiano, sulla stessa pagina, si occupa di come Ankara guardi alle rivolte nella regione. Si ricorda che il premier Erdogan nei giorni scorsi consigliò al presidente Mubarak di ascoltare il proprio popolo, interpretata come un invito a lasciare la presidenza nella speranza, malcelata, che la Turchia possa prendere il posto dell’Egitto negli equilibri mediorientali.
Economia
Su Il Giornale la Presidente di Confindustria interviene dopo l’editoriale di Giuliano Ferrara dedicato alla ripresa dell’economia. A proposito del sostegno espresso da Ferrara alla linea di Sergio Marchionne, ricorda che “i nuovi assetti contrattuali sono stati firmati dalla Confindustria da lei presieduta due anni fa con Cisl e Uil, mentre la Cgil si tirava indietro”. Ricorda anche che primo dovere di una presidente di Confindustria è “evitare ogni collateralismo con ogni parte politica”, che “Confindustria ha sollecitato più volte il governo a sostenere una crescita troppo bassa”, e scrive: “Ora come ora non posso che guardare con grande favore alla svolta preannunciata per il Consiglio dei ministri di questa settimana. Ma è la politica ad aver perso tempo”. La riforma dell’articolo 41 della Costituzione – scrive Marcegaglia – è un manifesto utile, ma per tornare a una crescita superiore al 2 per cento serve di più, l’immediato sblocco dei fondi già stanziati per gli investimenti in infrastrutture e per la ricerca, serve una vera riforma fiscale che abbatta le tasse a lavoratori e imprese, serve infine un forte piano di liberalizzazioni”:
Scrive il Corriere della Sera che sul caso Fiat scenderà in campo il presidente del Consiglio: incontrerà l’Ad Marchionne per chiarire l’ipotesi arrivata dagli Usa di un trasferimento a Detroit del quartier generale del gruppo, diventato italo-americano con l’acquisizione Chrysler. L’incontro si terrà probabilmente il prossimo fine settimana.
La Repubblica descrive invece il governo come “rassegnato” ad un Lingotto americano: “Fiat-Chrysler sarà una società americana. Avrà negli States la sua sede legale, applicherà le leggi di quel Paese. Per molti analisti era scontato che sarebbe finita così”. Se ne è reso conto anche il governo, preoccupato della possibilità che Torino diventi “periferia di Detroit”. Il ministro del Lavoro Sacconi si sarebbe “precipitato” a chiamare Marchionne dopo le dichiarazioni del manager: Marchionne gli avrebbe esposto il progetto dei 4 centi direzionali (Detroit per l’America settentrionale, il Brasile per quella meridionale, l’Italia per l’Europa e un asiatico per l’estremo oriente) ma non avrebbe affatto garantito che il nuovo gruppo multinazionale proseguirà ad avere la sua sede legale a Torino.
Su L’Unità intervista al sindaco di Torino Sergio Chiamparino, che aveva chiesto ufficialmente al Pd di non attaccare Marchionne: “La testa, l’head quarter, non è la stessa cosa della produzione dei Suv”. E, richiesto di un commento sulla possibile localizzazione del quartier generale a Detroit, dice: “Io questo lo davo per scontato, visto che si tratta di una multinazionale, nel mercato globale le diverse aree di distinguono per compiti e funzioni. Il governo dovrebbe, anziché affannarsi a rincorrere Marchionne, degnarsi di fare un tavolo con gli enti locali per verificare lo stato di attuazione dei due progetti, Pomigliano e Mirafiori, e chieder conto del piano strategico”.
(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)