La Fiat rompe con Confindustria

Pubblicato il 4 Ottobre 2011 in , , da redazione grey-panthers
Minacce dell'Isis all'Italia

Le aperture

Tutti i giornali dedicano il titolo principale alla assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. “Amanda assolta piange in aula”, titola Il Corriere della Sera. “La sentenza di appello: lei e Raffaele non hanno ucciso Meredith”. “Ribaltato il verdetto di primo grado, scarcerazione immediata. Contestazione della folla: ‘Vergogna’”. L’americana, scrive La Stampa, è stata però condannata a tre anni per calunnia, già scontati. “Non si poteva decidere altrimenti” è il titolo del commento di Carlo Federico Grosso sullo stesso quotidiano. La Repubblica sottolinea in uno dei titoli le parole di alcuni dei progagonisti: “La Knox: ‘Ho sopportato l’insopportabile’. Sollecito: ‘Voglio rivederla presto’. Impietrita la madre di Meredith”. “La vittima oscurata dallo show” è il titolo di uno dei commenti, firmato da Natalia Aspesi.
Il Giornale: “Amanda e Raffele assolti. Da condannare sono i pm”.

Il quotidiano diretto di Sallusti dedica il titolo di apertura ad altro: “Fiat saluta e se ne va. Marchionne annuncia l’addio a Confindustria. Non aveva scelta: ormai Emma pensa solo alla politica”. “Schiaffo alla Marcegaglia”. In evidenza anche le parole pronunciate ieri da Berlusconi: “La sinistra si occupa della mia poltrona e non del Paese”.
Il Corriere della Sera, a centro pagina: “La Fiat rompe con Confindustria. Marchionne accusa: passo indietro sulla flessibilità in fabbrica. Il Lingotto: anestetizzato l’articolo 8 sulla possibilità di licenziare. Marcegaglia: non condivido”. L’editoriale, firmato da Dario di Vico, si sofferma sulla questione: “Una dannosa separazione”.
La Repubblica: “Fiat abbandona Confindustria: ‘Fa politica’”. “L’ultimo strappo di Marchionne” è il titolo dell’editoriale di Massimo Giannini. A centro pagina la politica: “Elezioni, Bossi attacca Maroni”, le cui dichiarazioni di domenica avevano fatto pensare ad un parere favorevole al voto anticipato. “Nella Lega troppi parlano a vanvera”, ha detto ieri Bossi. E poi: “Berlusconi: non mi occupo di legge elettorale”. E ancora, sulla riunione della direzione del Pd, ieri: “Scontro nel Pd Bersani-Veltroni”.
Su La Stampa un retroscena si occupa delle possibili mosse del Presidente della Repubblica: “Voto anticipato sotto la lente del Quirinale”, il titolo.

Fiat

“Sindacati e industriali fermi al 900” è il titolo di un articolo su Il Giornale, firmato da Nicola Porro, che scrive: “Sergio Marchionne lascia la Confindustria perché il sindacato degli industriali è come la Ritmo diesel, è roba vecchia. Almeno per Fiat”. Spiega Porro che la Fiat ha rotto il “monopolio” di Confindustria, perché “se ci può essere pluralismo sindacale per i lavoratori, non si capisce perché non possa esistere per le imprese”. E sarà difficile pensare che le altre aziende metalmeccaniche, da domani, accetteranno un contratto diverso e più oneroso di quello Fiat. Marchionne, aggiunge Porro, ha “svelato il bluff” di Confindustria, “questi signori dell’Eur si prendono molto sul serio, alle loro assemblee, fino a pochi mesi fa, si compiacevano di quelle prime file zeppe di politici”, “per troppo tempo hanno pensato più agli affari romani che alle loro fabbriche”, e ora “Marchionne, sbattendogli la porta in faccia” li ha riportati alla realtà.
Secondo Dario Di Vico, che firma l’editoriale sul Corriere della Sera, la querelle tra Confindustria e Marchionne, che ruota attorno agli effetti dell’accordo del 28 luglio, è una questione “che onestamente si fa fatica a comprendere”. “Da ambo le parti ci sono pareri di eccellenti giuristi, ma la distanza tra le interpretazioni non giustifica una guerra. Anche perché altre multinazionali che operano in Italia in settori altrettanto aperti alla concorrenza come l’auto hanno concluso in questi mesi accordi sindacali innovativi, in qualche caso senza un’ora di sciopero”. L’uscita di Fiat costituisce sicuramente un trauma per Confindustria, che a questo punto ha una sola strada: “Avviare una radicale autoriforma” della sua struttura, una autoriforma che la Marcegaglia aveva promesso e che “toccherà al suo successore” realizzare. Il quotidiano milanese pubblica anche il “carteggio tra Lingotto ed Emma”, con le lettere, dal giugno scorso in poi: “L’accordo non garantisce Pomigliano” è il titolo.
Ancora sul Corriere, in una analisi, si sottolineano le possibili ripercussioni della uscita Fiat da Confindustria sulla partita in atto tra lo stesso gruppo automobilistico e la Fiom Cgil: finora la partita si è svolta prevalentemente nelle aule dei Tribunali, dove la Fiom ha impugnato il contratto di Pomigliano d’Arco. Il giudice ha riconosciuto la validità dell’accordo tra Fiat e gli altri sindacati, ma ha anche detto che la Fiom non può essere esclusa dalle rappresentanze sindacali previste dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. La Fiat ha annunciato l’appello, sostenendo che l’articolo 19, dopo il referendum del 1995, assegna il diritto di costituire le rsa solo ai sindacati firmatari di contratti, e quindi la Fiom sarebbe fuori. A questo punto Fiat potrebbe puntare ad un contratto dell’auto che è fuori dal sistema Confindustria: la Fiom non potrebbe quindi ricorrere al giudice chiedendo l’applicazione del contratto nazionale metalmeccanici perché Fiat non è più associata a Confindustria.
Anche su La Repubblica: “Sindacati conflittuali fuori dalla fabbrica. L’obiettivo dello strappo del Lingotto”. Dove si spiega che nella nuova Fiat non c’è posto né per il sindacato conflittuale, né per l’associazione degli industriali. Secondo le accuse della Fiom, sui 190 lavoratori assunti nella nuova fabbrica di Pomigliano, nessuno è iscritto alla Cgil. Ma il secondo fronte aperto ieri da Marchionne è quello dei rapporti tra Confindustria e le aziende dell’indotto auto che – secondo Repubblica – sarebbero spinte a uscire anche loro dall’associazione e ad applicare l’accordo di Pomigliano, trasformandolo in un contratto nazionale dell’auto.

Massimo Giannini su La Repubblica si sofferma, “al di là delle dietrologie”, su quello che “si vede”: “La Fiat di Marchionne, a dispetto delle promesse, fatica a tenere la competizione globale e non regge la competizione nazionale. I numeri parlano chiaro. Sia quelli della finanza che quelli dell’industria”. E ancora: “i nuovi modelli continuano a latitare: a prescindere dalla nuova Panda appena lanciata, i 9 nuovi modelli e i 4 restyling previsti  non si vedranno prima dell’inizio 2013”, e anche “il mitico progetto Fabbrica Italia resta un’Araba Fenice”. Insomma: “Marchionne può dire quello che vuole. Ma tanti indizi, ormai, cominciano a fare una prova. La ‘strategia delle mani libere’ non ha più nessuna altra giustificazione, se non quella del disimpegno. Dopo il divorzio da Confindustria, arriverà anche il divorzio dall’Italia”.
La Stampa, in un retroscena, scrive che un messaggio “che sta a cuore” di Marchionne va in direzione opposta: “La Fiat esce da Confindustria ma non esce dall’Italia. ‘Era importante sbloccare il sistema per quanto riguarda la burocrazia e la capacità di essere competitivi. Questo, di conseguenza, ha portato allo sblocco degli investimenti. Fabbrica Italia va avanti. Gli investimenti programmati nonostante la crisi, pure”.
Secondo Mario Deaglio, che firma l’editoriale sulla prima pagina del quotidiano torinese, Marchionne “può essere ammirato o criticato, ma di sicuro non è un Gattopardo”, la scommessa che sta facendo è “importante” e “dall’esito non scontato, in un mondo industriale che non ama molto scommettere e che cerca spesso garanzie pubbliche e coperture bancarie, oltre che l’assenso informale del sindacato a gran parte delle proprie iniziative”. Questo non significa “che il mondo industriale non possa trovare una sua dimensione internazionale o che l’ambiente in cui operano le imprese italiane sia oggettivamente privo di punti di forza; di sicuro, però, tale ambiente si è rivelato poco adatto al quadro competitivo che, per il momento almeno, prevale nel mondo”.
Deaglio sottolinea che da anni nessuna grande impresa, italiana o estera che sia, compie investimenti importanti nel Mezzogiorno, e che il resto d’Italia vive in un clima economico stagnante il marcato contrasto, anche in questo periodo di crisi, con il carattere estremamente dinamico della economia mondiale. L’Italia può anche scegliere la strada delle relazioni sindacali in cui si stabilisce che tutto cambi, come con l’articolo 8 della manovra, che consente di regolare con accordi anche i licenziamenti individuali, “salvo poi procedere a una intesa Confindustria-sindacato che impegna i contraenti a non applicare tale articolo. Ed è tale intesa la causa prossima dell’uscita di Fiat da Confindustria”.

Amanda

Il Corriere della Sera intervista il penalista e scrittore americano Scott Turow. Pensa che Amanda sia innocente? “Non dico affatto che sia colpevole o innocente, ma solo che era impossibile, con le prove raccolte dall’accusa, stabilire con esattezza cosa è successo in quella casa”. Per Turow le prove non erano sufficienti e secondo gli standard americani avrebbe dovuto essere assolta in primo grado, visto che la maggior parte delle prove a suo carico erano contraddittorie ed equivoche. Turow descrive anche il clima, e la natura delle accuse, che erano “quasi esclusivamente di natura sessuale”: “l’aver dipinto sin dal primo istante la Knox come una giovane americana viziosa, promiscua e drogata, giunta in Italia dalla capitale degli hippy Seattle solo per divertirsi, ha consolidato uno stereotipo con grande presa sulla vostra opinione pubblica”. Ma precisa: “Non intendo dire che il nostro sistema è migliore del vostro”, “purtroppo anche le giurie popolari degli Usa mandano spesso a morte degli innocenti”: ma “il nostro sistema giudiziario parte sempre dal presupposto di innocenza, e sta all’accusa dimostrare la colpevolezza di un imputato”.
Su Il Giornale “Amanda e Raffele assolti. Da condannare sono i pm”. Due anni di carcere preventivo, due dopo la sentenza ingiusta: i nostri magistrati ancora una volta hanno sbagliato”. Dove si sottolinea che i due sono stati per quattro anni in un carcere senza una condanna definitiva, e che qualcosa al di là di Berlusconi e della sua storia va fatto”, “non è più una questione politica. E’ umanità, non ad personam, ma erga omnes”.

Politica

Ieri a Roma la riunione della Direzione del Pd. Dove sono partite le accuse del segretario Bersani: “ci sono dirigenti che azzoppano il partito”. Secondo La Repubblica ce l’aveva con Arturo Parisi, il professore prodiano promotore del referendum elettorale. Interrogativi sono stati posti ieri nel corso della riunione sulla linea possibile in un berlusconismo considerato agonizzante: prepararsi al voto o puntare su un governo di transizione? Bersani dice: “Il nostro orizzonte sono le elezioni, ma non ci sottraiamo ad un governo di emergenza. Veltroni, leader della minoranza: “L’orizzonte in cui si muove il Pd non è quello delle elezioni, bensì quello del superamento del governo Berlusconi con un governo davvero responsabile”. E le accuse di Parisi, riferite dal Corriere della Sera: “La scelta di non sostenere il referendum è stato un grave errore di valutazione politica”, “se il Pd fosse un partito serio il segretario si presenterebbe con le dimissioni”. Poi pare si corregga, negando la richiesta. Poi le divergenze sui temi economici: il responsabile economia Stefano Fassina considera “iniqua e irrealistica” la ricetta della Bce. Enrico Letta, invece: “Non si può essere super-europeisti a intermittenza”. Bersani: “Nessuna critica alla Bce. Ha avuto un ruolo di supplenza. Siamo pronti a rispettare le indicazioni sui conti, ma sulle ricette vogliamo discutere”.
Su La Repubblica: “I sospetti del leader su Walter e Prodi, ‘vogliono tempo per liberarsi di me'”. Nelle mosse di Arturo Parisi molti vedono anche la ripresa di un movimentismo legato al Professore. Con quale obiettivo, la corsa al Quirinale dell’ex premier bolognese: che potrebbe trovare ostacoli nel mondo diessino e in accordi preventivi tra il Pd di Bersani e l’Udc di Casini, in vista dell’elezione al Colle del 2013.
Su Il Giornale: “Referendum, Parisi chiede la testa di Bersani”.

Indignati americani

Parla degli “indignati di Wall Street” La Repubblica, che intervista il fondatore di AdBusters, il piccolo giornale non profit che ha lanciato Occupy Wall Street. Si chiama Kalle Larsn e dice che a ispirare il movimento è stato “quel che vedevamo succedere in Egitto, nella primavera araba”. Racconta che la sinistra americana ha attraversato un periodo durissimo, con Bush, poi c’è stato l’avvento dei Tea Party, e “qui si è visto che Barack Obama non aveva abbastanza fegato”. Obama era “un outsider” e una volta eletto è rimasto tale, “sempre a voler piacere a tutti”. Conferma che la richiesta fondamentale del movimento è la Robin Tax.

E poi

Oggi alla Camera si tiene un convegno dedicato a Mino Martinazzoli. Il Corriere offre ai lettori in prima il ricordo del Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Su La Repubblica, nelle pagine R2 della cultura, la recensione di un libro di Giorgio Del Zanna dedicato alle vicende in Medio Oriente delle diverse comunità cristiane (greci ortodossi, maroniti, armeni, copti) che, numericamente minoritarie, hanno svolto un ruolo molto dinamico sotto il profilo culturale, economico e politico. In particolare, sono state cruciali nella penetrazione del modello europeo di Stato nazionale, che ha finito per sostituire l’antica costruzione imperiale ottomana.
Su Il Giornale si riferisce dell’incendio doloso di una moschea in Galilea, condotto, a quanto pare, da estremisti di destra o da coloni ultrà. Nel tentativo di mantenere le prime manifestazioni di collera, il premier israeliano Netanhyahu ha espresso una dura condanna, mentre il capo dello Stato Peres si è recato di persona nella moschea profanata, esprimendo “vergogna e sdegno”. Ieri in Israele è arrivato il segretario Usa alla Difesa Leon Panetta, ed ha sollecitato Israele a rendersi conto che è sempre più isolato al suo esterno: non solo di fronte ai palestinesi, ma anche a Egitto e Turchia.

 

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini