Alla scomparsa un mese fa Solzenicyn è stato celebrato come lo scrittore che ha svelato al mondo gli orrori dei gulag, i campi di lavoro forzato per prigionieri politici della Russia di Lenin e di Stalin. Ed è giusto che sia stato così e che i capi della Russia postcomunista –Putin, Medvedev – abbiano reso omaggio all’indomito prigioniero, al Premio Nobel mandato in esilio, alla coscienza morale della nuova Russia. Si è invece letto assai poco della sua opera letteraria, della sua prosa. Vorremmo qui proporre un “invito alla lettura” di Solzenicyn. Perché leggere i suoi romanzi e scritti?
Solzenicyn è uno scrittore grande, potente. Usa un “linguaggio rude, come in una narrazione popolare”, ha scritto Barbara Spinelli. I suoi personaggi sono autentici perché vengono dal dolore della Storia. Ora la Storia per Solzenicyn e per milioni di russi e di europei è stata dolore ma non solo questo: è anche resistenza alle prepotenze, alla tirannia e alle crudeltà. E’ anche speranza. Tutto questo in maniera realistica perché documentata. E per di più vissuta in prima persona, sulla sua pelle.
L’opera di Solzenicyn può essere interpretata come la Divina Commedia del Novecento russo ed europeo e mondiale. Infatti il titolo del primo romanzo si richiama deliberatamente all’Inferno di Dante: “Il primo cerchio”.
Solzenicyn scontata la pena nel gulag siberiano per delitto di opinione sente il bisogno e il dovere di scrivere, lui che era professore di matematica. Era stato militare valoroso al fronte e nel 1945 aveva criticato in una lettera a un commilitone la condotta della guerra da parte di Stalin.
“Il primo cerchio” descrive un carcere speciale in cui i condannati sono tecnici obbligati a decifrare registrazioni telefoniche per conto del regime che li opprime.
Solzenicyn scrive quando Stalin è ancora vivo; alla sua morte segue il “disgelo” del successore, Krusciov; a Solzenicyn è permesso di pubblicare “Una giornata di Ivan Denissovic”.
E’ un romanzo breve o racconto lungo. Nell’unità classica di spazio, tempo e azione, è un capolavoro di forza narrativa lineare, priva di retorica. Ivan è stato ingiustamente condannato per tradimento; è un contadino che nel gulag siberiano fa il muratore; lotta ogni giorno contro i lavori all’aperto nel gelo, vive con una scodella di sbobba. Ciononostante non perde la dignità.
Krusciov stesso raccomandò ai dirigenti comunisti di leggere “Una giornata di Ivan Denissovic”; tecnici e compagni semplici saranno liberati; anche Solzenicyn conoscerà una breve stagione di respiro e fama. Con Dante Solzenicyn può dire: “e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Ora, cosa segue all’Inferno? il Purgatorio.
Il romanzo successivo si intitola infatti “Divisione Cancro” (apparso la prima volta in Italia col titolo “Reparto C” per motivi eufemistici). Negli ultimi giorni di prigionia a Solzenicyn era stata scoperta la malattia; all’Ospedale lo avevano salvato. Nonostante la terribilità della situazione Solzenicyn descrive personaggi per i quali una fiammella di umanità può sopravvivere.
A questo punto Solzenicyn vuol capire come la sequenza di ingiustizie e di stragi anche se con salvataggi dell’anima e talora dei corpi sia stata possibile. Solzenicyn è convinto che la rottura della storia dei russi e degli europei sia stato lo sbocco della rivoluzione di Lenin a conclusione della Grande Guerra. Da buon scrittore raccoglie documentazioni impressionanti. Scrive “Agosto 1914”; apre il cantiere delle opere di storia di quel periodo; tra esse spicca “Lenin a Zurigo”, acuta psicologia del capo rivoluzionario che nell’esilio si prepara alla presa del potere.
Solzenicyn si dedica soprattutto alla grande opera di sintesi, “L’arcipelago Gulag”. Il sottotitolo è: “1918-1956″. Saggio di indagine letteraria”. Che cosa vogliono dire queste parole, qual è il genere di questo libro? è letteratura, è saggistica?
“Arcipelago Gulag” è l’esposizione in appassionata prosa della raccolta di dati sulle deportazioni nei gulag: una raccolta portata a termine dopo undici anni con l’aiuto di compagni di prigionia e di amici. Per l’esattezza, 227 persone: tutti testimoni oculari, vittime di vario grado e livello. La maggior parte erano condannati sulla base del famigerato “articolo 58”, che conteneva la vaga espressione “attività controrivoluzionaria”. Era poi la polizia politica – man mano, Ceka, GPU, KGB – che provvedeva agli arresti di notte, agli sfiancanti interrogatori nella Lubianka, all’applicazione delle condanne, che erano sempre o quasi a dieci o venti/venticinque anni e comunque ai lavori forzati all’aperto nella Siberia estrema.
Solzenicyn nella vicenda iniziata appunto nel 1918 ossia immediatamente dopo la Rivoluzione d’Ottobre e durata sino a dopo la morte di Stalin mette a fuoco tre figure di prigionieri: la vittima, il fuggiasco, il ribelle. Ancora una volta è una triade dantesca: il condannato che finirà sommerso; il condannato che soffre e forse ce la farà; il condannato che si risolve alle rivolte, che storicamente si verificarono anche se il mondo non lo sapeva e continua a saperne poco. E’ un altro modo per dire che l’universo dei gulag è stato anche un passaggio dalla depravazione all’elevazione. Le pagine di Solzenicyn sono tragiche ma non sono cupe, nere: Solzenicyn invita a puntare lo sguardo sul male, anche quello che è dentro ognuno di noi, ma pure a guardare avanti: la vita continuerà.
Nell’URSS è però avvenuta la restaurazione di Breznev; Solzenicyn viene accusato di tradimento del comunismo e delle patrie lettere; il conferimento del premio Nobel è una provocazione del nemico di classe. In conclusione Solzenicyn è spinto all’esilio.
Si stabilisce nello stato americano del Vermont i cui boschi silenziosi di abeti e larici gli ricordano la Russia profonda. Sono i suoi “quaranta giorni nel deserto”
Torna dopo la fine del comunismo in Russia sbarcando a Oriente, da Vladivostok; è accolto come un Messia; afferma e scrive che il Paradiso promesso esiste ed è la riscoperta dell’ortodossia slava. E’ evidente che non è necessario seguirlo; è chiaro che è istruttivo ed esaltante leggerlo.
Solzenicyn come ogni grande scrittore ha creato un lessico nuovo, ha regalato all’umanità tutta significati più ampi. “Campo” non è più solo un termine nazista; diventa anche comunista; a lager si affianca gulag (e ora in Cina laogai). “Zek”, abbreviativo di “prigioniero”, indicherà per sempre il perseguitato politico, da trattare come Lenin disse che andavano trattati: come “insetti”.
L’”invito alla lettura” si può concludere con questi suggerimenti: leggere nell’ordine “La giornata di Ivan Denissovic”, “Arcipelago Gulag” e “Divisione cancro”. Per chi ama il romanzo storico, il ciclo che inizia con “Agosto 1914”, senza assolutamente perdere “Lenin a Zurigo”. Per chi ama la memorialistica, lo scritto autobiografico “Quando il vitello incorna la quercia”, del 1975.
Emilio Renzi