“Il pioppo del sempione”, di Giovanni Lupo
Ed. Aboca
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Nella scuola serale di Legnano, un giovane professore insegna italiano a una classe di immigrati di diverse nazionalità: magrebini, albanesi, sudamericani, perfino un quarantenne con tre figli e una laurea in ingegneria, conseguita in Iraq. Tra di loro ci sono Cesar e Apollinaire, padre e figlio sbarcati in Italia dalla Costa d’Avorio, Amin l’albanese, partito a bordo di un gommone e arrivato a Brindisi a nuoto, Rafkani e Mohammed, il più silenzioso degli alunni. Le loro lezioni sono, però, insolite, perché a ravvivarle, sul finire, arriva nonno Paplush, personaggio amato da tutti e memoria storica del paese: si affaccia alla porta, si siede in prima fila e inizia a raccontare la sua giornata e il suo passato, di quando faceva l’operaio alla teleria, “la madre che ci ha dato da vivere”, insieme a Ottavio, di quella volta che nel 1954 sorprese Fausto Coppi a fare pipì su un muro durante una tappa a cronometro, e di quando frequentava la vecchia locanda dove la giovane Rossana sognava di fare, un giorno, la ballerina e intanto cucinava per tutti e cresceva un figlio non riconosciuto dal padre. Ma in tutti i ricordi dolceamari di nonno Paplush c’è una figura che ritorna sempre, l’antico pioppo della Corte del Villoresi con cui il nonno ha un legame speciale…
La collana “Il bosco degli scrittori” si arricchisce di un romanzo che ci fa riflettere su tematiche molto attuali: prime tra tutte, l’integrazione, l’inclusione sociale e il valore della memoria storica, che va di pari passo con la riflessione sulla modernità. Giuseppe Lupo, in un seducente rifiuto e desiderio di dire, ci consegna una storia che da sacralità al silenzio e alla scrittura stessa, quella che nella memoria cerca le risposte e nella Letteratura i meccanismi per comprenderle. Come dice l’autore: “Scriviamo ciò che è destinato a essere cancellato, scriviamo per dimenticare. Un meccanismo strano: la letteratura è la malattia dell’oblio, non della memoria. Questo avrei voluto dire a Cesare, se fosse venuto a tenermi compagnia”.
L’autore: Giuseppe Lupo