Qualche sera fa, all’imbrunire, al calar della nebbia, attraversavo il ponte che giace davanti a Via Corsico, sul Naviglio Grande. Lì hanno abitato i miei nonni, sono nati i miei genitori, sono cresciuto io, quando ancora usavano i trattori per riportare indietro i barconi scarichi di sabbia. Conosco ogni pietra di quel ponte, ogni abbaglio di luce rapibile è gelosamente e ordinatamente catalogata nella mia memoria. Eppure..distrattamente quella sera ho guardato prima a destra e poi a sinistra quei filari di luce, visti tante volte…il passo si è improvvisamente frenato, proprio nel centro del ponte, e lo sguardo si è rivolto come incantato verso quello di via Valenza. Verso quelle luci che si perdono nel buio ovattato, lentamente, malinconicamente, lasciando quasi immaginare un mondo altro, misterioso, dentro quel buio. Mi sono appoggiato al corrimano, e sono rimasto lì, come se fosse la prima volta, perso ed inghiottito dentro quella luce magica. Sono rimasto lì, mentre il freddo risaliva lentamente dalle dita.
Non so quanto. Non so. Non è per un caldo invito che sto scrivendo….ma per qualcosa che è accaduto dentro di me, e che si chiama meraviglia. Proprio in quel luogo, conosciuto fin troppo. Una folgorazione, come Paolo sulla via di Damasco. Estasiata meraviglia. Solo questa. Se qualcuno pensa a un intreccio di nostalgia, come se quello spettacolo rimandasse a piacevoli immagini interiori affondate nella memoria, non è quel che accaduto.
Meraviglia, solo meraviglia. Soffermarsi piacevolmente immerso in uno stato emotivo che sospende il tempo, la percezione corporea, e ti catalizza davanti a quello spettacolo, esaurendo ogni tuo canale percettivo. Non so quanto sia durata quella sospensione. Senz’altro l’indisponente freddo alle mani improvviso e improvvido come un’amante tradita, colpevole, mi ha strappato a quel dolcissimo trasporto. E le gambe mi hanno riportato, con perentorietà, giù dal ponte, verso via Argellati.
Ho sessant’anni, la giovinezza e le sue emozioni sono piacevoli ricordi. Eppure quella sera ho vibrato, di nuovo, come solo la giovinezza sa farti vibrare: ho scoperto che tutto è ancora intatto dentro di me. Intatto. E non lo sapevo.. E ho imparato qualcosa di altrettanto importante: che il quotidiano può essere noioso, ripetitivo, uguale a se stesso solo se siamo noi a volerlo, ricoprendolo di indifferenza. Quel quotidiano è ambivalente, ci annoia e ci tranquillizza, ci rilassa e ci indispone. Ma può anche meravigliarci. Ecco, credo che questo sia un dono da conservare gelosamente: poter gioire e godere di quel che ti circonda in ogni momento della vita, anche di quello che pensi insignificante.
La vita che si rinnova nelle piccole cose, ogni giorno. Rinnovare è scoprire qualcosa di nuovo, e si può in quel che già ci circonda. E aggiungo: questa gioia riaffiora in me ogni volta che ne parlo, come ora che ne scrivo. La vita e la sua bellezza ci sfugge e non ce ne accorgiamo …