Il sistema della corruzione in Italia ha dimostrato capacità di radicamento nella società civile, innervandosi in profondità nel mondo delle professioni, dell’imprenditoria, della finanza, della politica. La corruzione ha oggi un carattere sistemico e le numerose modifiche legislative non hanno fino ad ora cambiato il quadro generale, tanto da fare pensare che combatterla solo per via giudiziaria non ottenga alcun risultato, la repressione penale non basta. Negli anni recenti, giuristi e filosofi (da Piero Calamandrei a Edmondo Bruti Liberati, ad Alessandro Galante Garrone) sostengono che l’unica nostra speranza è “rifare noi stessi”. Questa speranza apre lo spazio a una ricerca psicoanalitica che si impegni a indicare ipotesi utili per “rifare noi stessi”, appunto.
Questo libro rappresenta una prima ricognizione del problema della corruzione in cui si è impegnato un gruppo di psicoanalisti del Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti.
ASPETTI SOCIOLOGICI
- L’osservazione psicoanalitica, per sua natura, tende a interrogare i fenomeni per cogliere, a partire da questi, tratti della cultura diffusa in cui tutti siamo immersi, per formulare ipotesi sulla natura primaria dei funzionamenti mentali che la sostengono, per individuare vie di evoluzione possibili.
- Interrogare la corruzione significa cogliere i meccanismi psichici e culturali che ne consentono la diffusione: la cultura ha meccanismi generativi arcaici e primari, si riferisce alla mentalità nella quale un bambino è stato allevato, ai modi psichici che ha trovato per modificarla oppure per assorbirla in modo acritico.
- Questa sola premessa mette in campo una dialettica conflittuale tra il pensiero individuale e quello del gruppo, in gergo psicoanalitico tra sublimazione da una parte e conformismo, passività, adesione dall’altra.
- Nel libro viene posto un diretto collegamento tra il funzionamento familiare, quello gruppale e quello Istituzionale, sorretti da meccanismi seduttivi e affiliativi che sedano l’angoscia e la paura che impregnano il nostro Paese in questi anni, senza elaborarle né trasformarle.
LA CORRUZIONE COME STRUMENTO PER SEDARE IL CONFLITTO
- Nella cultura di questi anni, infatti, la conflittualità viene aggirata sul piano psichico come su quello sociale, non viene considerata come una normale componente della dialettica dello sviluppo individuale e sociale; questa dialettica viene appiattita, invece, sulla violenza senza parole di sottogruppi, etnici, religiosi, o geografici.
- In questo modo il singolo può eludere l’esperienza del conflitto (interno, ed esterno e interpersonale), tirarsene fuori e risparmiarsi lavoro psichico; il sociale rimane uno spazio incapace di produrre proposte, di stimolare e lasciare incontrare le ragioni dei singoli e dei diversi gruppi.
- Spesso una (apparente) attività febbrile dà l’impressione di un individuo pratico e indaffarato, ma, in effetti, è un fare senza significato, espressione di un involucro psichico anestetizzato, come morto. Queste prime ipotesi lasciano immaginare che i comportamenti corrotti abbiano una funzione psichica anti-depressiva, nel senso di anti-morte e anti passività psichica.
LA CORRUZIONE COME MEZZO PER RECUPERARE UN’ILLUSORIA SELF-AGENCY
- Ma la piccola corruzione, minuta, quella della zona grigia, porta spesso in evidenza altri moventi: il desiderio di semplificare una intricata burocrazia, la ricerca di scorciatoie nel groviglio delle norme e contro-norme, il bisogno di fare qualcosa, di realizzare qualcosa, nonostante il muro di gomma che (da dentro e da fuori) sembra opporsi a ogni iniziativa.
- La corruzione come fenomeno minuto ci porta, insomma, a considerarla come un (illusorio) tentativo di recuperare agency e potenza realizzativa. Ma dinnanzi al lavoro necessario, dinnanzi agli ostacoli, questa spinta realizzativa si corrompe anch’essa, sembra venire degradata in un accaparramento senza legge, in un prendere a man bassa con i mezzi che si riesce ad individuare a dispetto delle leggi e delle norme.
- In questo modo il desiderio realizzativo, non trovando un suo effettivo soddisfacimento, prende un carattere di coazione antidepressiva, anti-passività. La corruzione si intreccia con la spinta a prendere iniziative, come conformismo e omogeneità che al primo ostacolo, alla prima frustrazione stoppano il fare personale, le idee proprie e originali.
VITTIMISMO E RISENTIMENTO, LA DIFESA DEI CORRUTTORI
- Non a caso, al di sotto della spavalderia spesso ostentata (si pensi solo ai toni di certe intercettazioni telefoniche) gli individui accusati di corruzione fanno ricorso con estrema facilità alla figura della vittima, prototipo, appunto, della passività (obbligata talora da drammatiche circostanze esterne, talora indotta da meccanismi psichici interni).
- Il vittimismo non è una relazione, ma uno schema ripetitivo che tende a riprodursi all’infinito. Proprio questo schema di rapporto viene proposto ogni volta che si viene colti con le mani nel sacco: ci si dichiara vittime nel proprio slancio costruttivo, nel proprio desiderio realizzativo, frustrato, incompreso, vilipeso. (Quando poi ad atteggiarsi a vittima è il leader di un gruppo c’è il rischio che egli chiami i suoi seguaci-amici-complici a un patto affettivo fondato sul risentimento), che non sollecita l’azione innovativa, ma è matrice di razzismo e populismo. Il rancore vittimario dei vincenti è, forse, uno dei fenomeni tipici del nostro tempo.
- Si può dire che quando operiamo in modo corrotto diamo voce al risentimento per i traumi precoci subiti, ma anche immediatamente denunciamo l’assenza di un nostro lavoro psichico intorno alle dolorose peripezie precoci, di cui resta traccia solo nel risentimento.
- Il risentimento non è la protesta, questa muove l’agency, l’iniziativa, proprio nel senso di dare inizio a qualcosa di nuovo; il risentimento è mugugno e ripetizione, fino a posizioni tipo: le vere vittime siamo noi, i corrotti, perché la società, le leggi, la burocrazia… ci hanno costretto…..
- La pretesa vittimistica è considerata vincente: chiama gli altri all’empatia, diffonde una aspettativa di innocenza e impunibilità, a patto di restare incollati al proprio particolare, al micro-mondo e ai suoi schemi, di non essere connessi con la più ampia communitas e di non pensare. In definitiva l’ideologia vittimaria mantiene in campo la passività psichica senza trovare vie elaborative.
USCIRE DAL SISTEMA, UN ATTO DI CORAGGIO
- “La psicoanalisi e le istituzioni psicoanalitiche dovrebbero fare da battistrada a una revisione critica dei modi di vivere nel collettivo” scrive lo psicoanalista Giuseppe Di Chiara, riprendendo anche il celebre invito di Sigmund Freud nel ‘29 a imbarcarsi nel difficile compito di studiare la patologia della comunità civile.
- Si tratta di superare l’incapacità di agire collettivamente, in vista di uno scopo comune che “andasse oltre l’interesse materiale immediato della famiglia nucleare” ritenendo, a ragione, che questo fosse l’atteggiamento comune a tutti.
- Se si considerano mafia, camorra, ‘ndrangheta, al Sud come al Nord, sembra inceppato il meccanismo che consente di sentire nell’estraneo anche qualcosa di sé stessi: saremmo di fronte a una specifica patologia del legame, con un deficit della perturbante articolazione fra sé e il mondo.
- L’altro diventa un soggetto-oggetto persecutorio e quindi da predare in carenza di uno scenario, di un campo condiviso sociale, con un congelamento delle funzioni sublimatorie, che inceppa possibilità trasformative.
- Tradire la mentalità del gruppo appare allora come un atto di coraggio, che apre la via al cambiamento e alla soggettivazione, capace di azione.
- La corruzione, come fenomeno psichico, poggia su un funzionamento mentale che può permeare dall’origine la famiglia quando questa non indica campi di esplorazione e di ingaggio, non valorizza la curiosità del piccolo scienziato che è il bambino, la ottunde con risposte prefabbricate. Nell’esperienza psicoanalitica si tratta spesso di famiglie in cui la funzione paterna non ha spazio né spessore, anche quando un padre è presente. Allora viene elusa la funzione di indicare il mondo esterno come uno spazio appassionante (la funzione paterna dei genitori, appunto). Per il bambino si tratta di trattenersi dentro il nucleo primario, di legarsi ai primi climi e ai primi amori, sottomettendosi, adeguandosi, tacitando i nascenti desideri e curiosità
- Un esempio della contaminazione seduttiva per pensiero corruttivo è indicato nel libro nei fatti recenti di Casale Monferrato (In Italia nei primi anni Settanta iniziò a circolare l’idea che i numerosi casi di morte per patologie polmonari nei lavoratori dell’Eternit potessero essere collegate all’utilizzo dell’amianto.) Una cornice ben precisa costituita da semplificazioni – ripetute come una sorta di mantra – sulla realtà della fabbrica, sulla natura della produzione e sulla nocività dell’amianto, mirate a far crescere un senso di sicurezza e protezione in tutti gli operai e non solo. Talvolta gli stessi operai contribuivano a minimizzare i rischi e la paura conseguente, non tanto all’interno della fabbrica, ma più frequentemente nel loro privato.
I crimini d’impresa sono essenzialmente ambigui per il legame che si crea rispetto a tre vertici ricorrenti.
- Il primo riguarda le aziende, sprezzanti nell’incarnare l’assunto che produzione e produttività siano bisogni primari del modello di società che impongono, a costo di esercitare una sistematica violazione della legge.
- Il secondo riguarda le Istituzioni e lo Stato, spesso distratti o incapaci di esercitare una concreta tutela della salute.
- Il terzo riguarda i lavoratori, schiacciati dalla necessità della sopravvivenza o di uno stile di vita che il più delle volte non riconoscono neppure di subire: “siamo pagati, non possiamo dire niente”. La tragedia dell’Eternit è anche questo.
TENSIONI CORRUTTIVE IN ETÀ ADOLESCENZIALE
- I ragazzi che delinquono, che commettono reati, l’incertezza identitaria (che riguarda la costruzione individuale di sé), incertezza che è una caratteristica fondamentale e positiva dell’adolescenza, sembra essere divenuta intollerabile (rischio di un insostenibile senso d’isolamento e solitudine), e viene quindi evitata e sostituita da una sorta d’inquestionabile e indifferenziata affermazione di appartenenza. Questa appartenenza deve essere messa in campo e difesa a qualunque costo e, come un buco nero, assorbe il soggetto individuale, lo corrompe.
- Ognuno di loro si sente e si presenta come espressione di un insieme collettivo che lo nomina e gli dà sicurezza, membro di una famiglia radicata in un ambiente sociale e culturale ben definito, di cui condivide totalmente i valori, parte di un clan. Elemento unificatore è la mancanza di una tensione centrifuga, che possa sostenere la conquista soggettiva del mondo, mondo esterno e mondo interno.
- E’ delicatissimo in questo il passaggio tra le generazioni, quando le vecchie generazioni diventano dei maestri tiranni che mirano alla sottomissione dei giovani. Questo può generare giovani conformisti che anziché elaborare e ridiscutere quanto gli viene trasmesso, tendono a imitare le vecchie generazioni all’interno di una collusione narcisistica che è reciprocamente corruttiva.
Una lettura di riflessione, per capire meglio il nostro tempo. Un libro da acquistare subito e leggere poco alla volta, meditando. Anche se a un certo punto si scoprirà di aumentare la velocità di lettura, presi dall’interesse e dalla piacevole sensazione di “vederci chiaro”.
Alcune informazioni sui curatori dell’opera:
*Laura Ambrosiano, psicosociologa e psicoanalista con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association. Tra le sue ultime pubblicazioni Ululare con i lupi (con Eugenio Gaburri, 2014), Pensare con Freud (con Eugenio Gaburri, 2013)
° Marco Sarno, psichiatra, psicoanalista individuale, membro ordinario con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association. Psicoanalista di gruppo, membro ordinario con funzioni di training dell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo e dell’European Federation for Psychoanalytical Psychoterapy in the Public Sector. Autore di numerose pubblicazioni su riviste e volumi collettivi, ha recentemente curato con P. Chiari il libro Navigando l’inconscio (2014).
Il volume raccoglie contributi di: Pietro Rizzi, Franca Manoukian, Marta Badoni, Antonella Granieri, Noè Loiacono, Cristina Saottini, Ronny Jaffè, Fabio Castriota