Per colpirlo nel vivo, per metterlo a tacere, Salvini ha dato del vecchio al procuratore capo Spataro: «Se è stanco si ritiri dal lavoro, gli auguro un futuro serenissimo da pensionato». Il ministro sa che tra dieci giorni il pm raggiungerà i 70 anni, e dunque lascerà il suo incarico. E ne ha approfittato per svilirne la credibilità e l’autorità: che volete che conti il parere di uno che sta per andare in pensione? I giovani sono spesso arroganti nei confronti degli anziani.
Ma questo accenno alla pensione come a una condizione di inferiorità, quasi che il procuratore capo di Torino stesse per trasformarsi in un umarell con cui non vale la pena di perder tempo, stona sulle labbra di un politico che sta facendo di tutto, impegnando una buona fetta di denaro pubblico, per consentire a quattrocentomila lavoratori di andare in pensione a 62 anni. In questa contraddizione si misura davvero la schizofrenia del dibattito pubblico nel nostro Paese: la pensione oscilla tra l’essere presentata come una specie di nirvana, agognato dai più, e l’essere invece trattata al pari di una dichiarazione di morte civile, l’ingresso ufficiale un limbo in cui non si serve più a nulla. Mentre invece dovremmo urgentemente chiederci come rendere utili i milioni di over 65 che già sono tra noi, e che saranno la bellezza di venti milioni, uno ogni tre italiani, tra non più di venticinque anni.
In realtà in giro per l’Italia si moltiplicano le iniziative private e del non profit che vogliono trasformare i pensionati in Kaumatua . Cosi vengono definiti nelle tribù dei Maori, gli indigeni della Nuova Zelanda, gli anziani cui viene affidato il compito di insegnare alle nuove generazioni, di trasmettere il patrimonio di conoscenze e di esperienza di cui dispongono, di passare il Mana , «la forza che viene da dentro» (qualcosa di cui anche i nostri figli mi pare abbiano un gran bisogno).
E Kaumatua è infatti il nome di una piattaforma on line, appena lanciata a Milano, che fa incontrare la forte domanda di esperienza degli «adulti maturi» (uno dei mille eufemismi che oggi usano per non dire anziani), per esempio nell’insegnamento, nel tutoring dei giovani per le start up, nelle consulenze aziendali, con l’offerta di lavoro volontario di chi non ha più un impiego ma conserva intatte capacità intellettuali ed esperienziali spesso di prima qualità. La terza età è infatti oggi un lungo stato di grazia, per i tanti che hanno la fortuna di essere sani e attivi. E anzi molte ricerche sostengono che certe qualità creative si affinino addirittura col passare del tempo (basti pensare al Falstaff dell’ottantenne Giuseppe Verdi, ai grandi autoritratti della vecchiaia di Picasso, alla seconda vita di regista da Oscar di Clint Eastwood).
Ma se il volontariato, al solito, fa la sua parte, così non è per il potere pubblico. Agli anziani italiani chiediamo giustamente di prestare la loro opera pro bono , ma vietiamo di farlo guadagnando. Alberto Brambilla, uno dei maggiori esperti di previdenza in Italia e consulente della Lega per la riforma della Fornero, ha segnalato l’altro giorno sul Corriere l’assurdità della situazione. Già il governo Renzi stabilì che tutti coloro che sono in pensione non possono avere incarichi pubblici per più di un anno, e comunque gratuitamente (mentre avrebbe molto più senso decurtare la pensione in ragione del reddito che si producono con il loro lavoro, sarebbe un risparmio, ma pare che nessuno lo capisca). Ora il governo Conte sta per rispolverare il divieto di cumulo con un reddito da lavoro per chi andrà in pensione con la quota cento. Che equivale a spingere centinaia di migliaia di persone capaci e in buona salute fuori dal mondo del lavoro o nel «nero», proibendo loro di produrre ricchezza per sé e per la collettività, tanto col Pil che vola che ci importa a noi di produrre ricchezza.
Se provate a dire queste cose sui social, vi accorgerete poi che un drammatico solco è stato scavato tra la generazioni da una retorica giovanilista che, a furia di rottamazioni e prepensionamenti, ha convinto i ragazzi che il loro problema sono gli anziani, quasi come se occupassero indebitamente posti che altrimenti andrebbero a loro. Tanti credono alla favola secondo cui più gente va in pensione e più lavoro ci sarà. Gli anziani vengono così descritti come parassiti, prenditori netti, divoratori di risorse previdenziali e sanitarie. Dopo aver accumulato nei decenni un debito gigantesco sulle spalle delle nuove generazioni, ora stiamo diventando giovanilisti proprio nell’era della longevità, dimenticando che «gli adulti maturi sono l’unica risorsa in aumento sul pianeta», come dice Laura Carstensen, guru degli studi sulla terza età alla Stanford University.
Il risultato è che l’Italia zoppica, sotto il peso di pochi giovani che producono e di troppi anziani che non producono più. È la nostra disruption fatta in casa, una «interruzione» della trasmissione di valori e saperi tra le generazioni. Che rinnega, tra le altre cose, anche il messaggio biblico di recente ricordato dal Papa, in un bel libro in difesa della «saggezza del tempo»: «Gli anziani faranno sogni, i giovani avranno visioni». A parti invertite, non funziona.
SCELTI PER VOI
Riprendiamo volentieri, dal Corriere della Sera di oggi, l’articolo di Antonio Polito, che certamente fa riflettere gli amici grey-panthrs. Per questo vi invitiamo a intervenire con altri spunti di riflessione. vp