Abbiamo visto nel primo articolo cosa sono la luce, la lunghezza d’onda, i colori, le loro mescolanze e la temperatura della luce mentre nel secondo articolo abbiamo esaminato l’occhio umano, i tipi di lenti, la lunghezza focale, l’angolo di campo ed affrontato l’obiettivo. In questo articolo proseguiremo approfondendo l’obiettivo fotografico.
Si è già detto che un obiettivo è un gruppo ottico composto da elementi che deviano raggi di luce in funzione delle loro caratteristiche.
Queste componenti sono lenti, convergenti o divergenti, realizzate con materiali che posseggono non solo proprietà ottiche diverse, ma anche proprietà fisiche diverse: la più rilevante è l’indice di rifrazione. Fotocamera Reflex
L’indice di rifrazione è il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e la velocità nella luce nel mezzo ottico: così il vuoto avrà indice di rifrazione 1, l’aria molto vicina all’1, il vetro utilizzato negli obiettivi fotografici tra 1,52 (vetro Crown) e 1,58 (vetro Flint).
All’aumentare dell’indice di rifrazione diminuisce la velocità della luce nel mezzo ottico, e aumenta la deviazione di un raggio di luce non perpendicolare.
Poniamo di mettere una matita in un bicchiere semipieno d’acqua: vedremo la sua immagine “spezzata” dalla superficie dell’acqua e che sotto la superficie prosegue con un angolo diverso.
Questo perché i nostri occhi e la matita sono nell’aria, e quindi non vi è deviazione dei raggi di luce, mentre parte della matita è nell’acqua, che ha un indice di rifrazione maggiore dell’aria: vi è deviazione dei raggi di luce, quindi dell’immagine della matita.
(nella foto a fianco esempio di Rifrazione)
Una lente con le medesime curvature delle superfici all’aumentare dell’indice di rifrazione devierà maggiormente i raggi.
Con un accorta combinazione di lenti convergenti, divergenti e di indici di rifrazione, un obiettivo può deviare i raggi di luce sul sensore in modo, ad esempio, da modificare le sue dimensioni o produrre i minori difetti possibili sull’immagine finale, incluso naturalmente evitare di trattenere la luce.
Oggigiorno ogni obiettivo ha un trattamento antiriflesso sulla lente esterna, una caratteristica che consente di ridurre il riflesso aumentando così la luminosità. Se un obiettivo non ha un trattamento antiriflesso la prima lente apparirà bianca, se ha un trattamento singolo – cioè limitato a una lunghezza d’onda – avrà riflessi blu-ambra mentre se ha un trattamento multiplo, cioè per più lunghezze d’onda, avrà rilessi blu-magenta.
Questi ultimi sono gli obiettivi maggiormente in vendita: al momento dell’acquisto è il caso di fare questa semplice verifica.
Si è già visto che un obiettivo ha un suo centro ottico (il “punto nodale posteriore”), corrispondente a quello che in una singola lente sarebbe il suo centro: è il punto dove qualsiasi raggio di luce non viene deviato.
In quella posizione viene collocato, in parallelo alle lenti, il diaframma, cioè un ventaglio di lamelle che, ruotate contemporaneamente tramite una ghiera esterna, si stringono o si allargano.
Così come fa la pupilla umana ha la funzione di regolare la quantità di luce che attraversa l’obiettivo.
In altri termini il diaframma non devia la luce – è posto in un punto dove la luce non viene deviata – ma ne regola la quantità: più è “chiuso”, meno luce passerà e, inoltre, la luce che passa attraverserà la parte centrale dell’obiettivo non le zone esterne.
Chiudere il diaframma ha quindi conseguenze ottiche decisamente rilevanti.
Nella scelta dell’obiettivo è opportuno porre attenzione sul numero di lamelle. Più è alto, più il diaframma sarà circolare anche quando è molto chiuso; più è basso, più al chiudersi la forma diventerà quella pari al numero di lamelle (ad esempio sei lamelle formeranno un esagono) e questo può introdurre aberrazioni ottiche (che vedremo in un prossimo articolo).
In linea di principio al chiudersi del diaframma si riducono le aberrazioni ottiche e migliora la resa ottica; ma se il diaframma è troppo chiuso la rifrazione della luce sui bordi delle lamelle, soprattutto se sono poche, tende a peggiorare l’immagine.
Se viene utilizzata una apertura intermedia migliora la nitidezza.
Il parametro che misura l’apertura del diaframma viene indicato come “f”: per tradurlo in un esempio, sempre con un sensore full frame, un obiettivo con una lunghezza focale di 200 mm. ed un diaframma aperto di 50 mm. avrà un “f” di 4 (200:50=4) ed un obiettivo di 500 mm. ed un diaframma aperto di 125 mm avrà un “f” … sempre di 4 (500:125=4).
Il risultato è che in quelle condizioni entrambi gli obiettivi faranno passare la stessa quantità di luce, cioè daranno la stessa esposizione sul sensore.
I produttori indicano due valori di “f” il minimo e il massimo: più è basso il valore di “f” minimo, più sarà la quantità di luce che l’obiettivo farà passare e quindi più sarà “luminoso”.
Al diminuire della lunghezza focale aumenta la luminosità minima (è il caso del grandangolo) e viceversa (è il caso del teleobiettivo).
Nell’acquistare un obiettivo è importante considerare la luminosità poiché consente di:
- fotografare in condizioni di scarsa luminosità ambientale;
- evitare di aumentare la sensibilità del sensore, che introdurrebbe “rumore”;
- gestire meglio la profondità di campo;
- aiutare l’operatività dell’autofocus;
Deve essere sottolineato che, a parità di altre condizioni, all’aumentare della luminosità aumentano il peso, l’ingombro ed il prezzo.
Il parametro di luminosità “f” non varia su una scala lineare (quella nella quale 2 è il doppio di 1) ma geometrica in base alla radice quadrata di 2.
La sequenza degli “f”, chiamata in gergo “Stop”, e non è quindi 1, 2, 3 etc. ma 1, 1.41, 2, 4, 5.6, 8, 11, 16, 32 etc.
E’ una notevole semplificazione poiché ad ogni aumento di un valore di “f” si raddoppia l’area libera del diaframma, cioè raddoppia la quantità di luce che lascia passare o, al contrario, si dimezza.
Quindi ha un vantaggio considerevole: è un sistema indipendente dalla lunghezza focale e consente di confrontare tutti gli obiettivi, sia per la esposizione sia per la luminosità.
Abbiamo detto che l’obiettivo mette a fuoco l’immagine di un soggetto all’infinito su un piano, detto “Piano focale”.
Supponiamo di fotografare da seduti un libro aperto sul tavolo davanti a noi, diciamo ad un metro di distanza e di mettere a fuoco una riga nel mezzo della pagina.
Dopo tutto quello che si è detto dovremmo aspettarci che solo quella riga risulti nitida e che un obiettivo sarà tanto più di qualità quanto sarà preciso nel rendere quella riga nitida.
Quello che osserveremo, invece, è che alcune righe superiori e inferiori risulteranno ragionevolmente nitide.
Quindi la messa a fuoco non è su un piano unico, ma in un intervallo all’interno del quale è collocato il piano focale, quello sul quale è a sua volta posizionato il sensore.
L’intervallo tra la riga più vicina e quella più lontana, che comprende il piano focale è la “Profondità di Campo”, una caratteristica ottica utilizzata largamente in fotografia e che è il caso di saper padroneggiare.
La Profondità di Campo dipende da alcuni fattori:
- la lunghezza focale dell’obiettivo: è il fattore che la influenza maggiormente.
Al suo aumentare (è il caso del teleobiettivo) diminuisce la Profondità di Campo e viceversa.
Questa caratteristica viene utilizzata spesso per ritratti in cui si vuole che lo sfondo risulti sfocato e si usano quindi teleobiettivi: sembra un paradosso, ma per dare risalto al soggetto è necessario allontanarsi, usare un teleobiettivo ed ingrandirlo;
- l’apertura o chiusura del diaframma: più è chiuso il diaframma maggiore sarà la Profondità di Campo;
- la distanza del soggetto: a parità di lunghezza focale e di apertura del diaframma, più è lontano il soggetto, maggiore sarà la Profondità di Campo.
Gli effetti di un uso accorto della Profondità di Campo sono decisivi.
Riducendo la profondità di campo è possibile mettere a fuoco, cioè dare risalto, quei soggetti sui quali richiamare l’attenzione, in gergo fotografico chiamato “Fuoco Selettivo”.
Al contrario aumentandola è possibile avere a fuoco un intero panorama o non doversi preoccupare della messa a fuoco in caso di fotografia di “reportage”, quando il tempo disponibile per lo scatto può essere ridotto.
Esaminiamo le fotografie 1 e 2: riprendono un balcone con alle spalle un albero.
e
In entrambi i casi è stato messo a fuoco il balcone e il diaframma è aperto a 5,6.
Cambia solo la lunghezza focale: la fotografia 1 è scattata con una lunghezza focale di 27 mm. (un grandangolare), la fotografia 2 di 80 mm. (un teleobiettivo da ritratto).
E’ facile notare come l’albero, anche se non è stato messo a fuoco, sia più nitido nella fotografia 1 che nella fotografia 2.
A maggiore lunghezza focale, minore Profondità di Campo.
Passiamo alle fotografie 3 e 4: sempre lo stesso balcone messo a fuoco ed entrambe le fotografie sono scattate con una lunghezza focale di 80 mm. (un teleobiettivo da ritratto). e
Cambia solo l’apertura del diaframma: la fotografia 3 ha un diaframma di 36, cioè molto chiuso, mentre la fotografia 4 di 5,6.
E’ facile notare come l’albero, anche se non è stato messo a fuoco, sia più nitido nella fotografia 3 che nella fotografia 4.
A maggior chiusura del diaframma, maggiore Profondità di Campo.
Ma la Profondità di Campo può essere usata in modo ancora più accorto, se si ha tempo per scattare la fotografia.
Poiché la Profondità di Campo è un intervallo, è possibile porre il soggetto non sulla normale messa a fuoco, ma sull’estremo più vicino della Profondità di Campo: così facendo risulterà a fuoco sia il soggetto (perché già in Profondità di Campo) che tutto ciò che è più lontano, ad esempio una pianta e lo sfondo. Si parla di “Iperfocale”.
Se invece si pone la messa a fuoco sull’estremo più lontano della Profondità di Campo risulterà a fuoco quel punto e tutto ciò che è più vicino: ad esempio sarà possibile avere nitido (perché nell’estremo più lontano della Profondità di Campo) il volto di una persona e ciò che è più vicino, ma con lo sfondo sfocato.
Naturalmente, più è chiuso il diaframma e/o minore è la lunghezza focale, maggiore saranno questi intervalli.
Non resta che esercitarsi un poco per realizzare che è un modo di fotografare semplice e con effetti sorprendenti.
Il periodo estivo e la luminosità dell’ambiente aiutano.
Arrivederci al prossimo articolo.