In Sala Verdi, sono protagonisti le formazioni cameristiche d’archi, con il violino di Janine Jansen accompagnata al pianoforte da Sunwook Kim, il Quartetto Belcea con Tabea Zimmermann e il Takács Quartet
Il secondo concerto in programma in Sala Verdi, nella 160° Stagione concertistica della Società del Quartetto di Milano, è un concerto monografico, dedicato a Mozart. Martedì 15 ottobre il Quartetto Belcea coadiuvato dalla violista tedesca Tabea Zimmermann affronta un programma che comprende due quintetti dagli opposti umori: il n. 2 in do minore K 406, nato dalla necessità quale trascrizione della Serenata per fiati K 388; un “magistrale travestimento” (Carli Ballola), il cui nuovo timbro non nasconde il carattere oscuro dell’opera, con i suoi preziosi particolari di scrittura e soprattutto il suo dominante colore drammatico. E il luminoso n. 3 in do maggiore K 515, un capolavoro del genere dove la neutra superficie del do maggiore mozartiano non garantisce però sviluppi prevedibili ma, come avverrà per la “Jupiter”, cela grandiose incognite.
Martedì 5 novembre, sarà il momento dell’atteso recital della straordinaria violinista Janine Jansenche, con il suo Stradivari Shumsky-Rode del 1715 ritorna al Quartetto – a due anni di distanza dal clamore del suo concerto nella stagione 2022-2023. Sarà accompagnata da un nuovo partner al pianoforte, il coreano Sunwook Kim, pianista dall’ampia gamma espressiva e padronanza tecnica, dall’anno della sua vittoria nel 2006 a 18 anni a oggi, rimasto il più giovane vincitore del Leeds International Piano Competition nella storia. Nata e cresciuta in una famiglia di grandi tradizioni musicali, dotata di musicalità intensa e al tempo stesso immacolata, fraseggio eloquente, sorretti da un’incrollabile sicurezza tecnica, la Jansen propone un recital interamente dedicato a un suo autore di elezione qual è Johannes Brahms, di cui esegue le Sonate n. 2 in la maggiore op. 100 e n. 3 in re minore op. 108, accostate alle Tre romanze op. 22 di Clara Schumann, rievocando in musica l’ideale intreccio d’anime tra i due artisti. Camerista lirica devota e appassionata, Jansen ritorna su due opere stabilmente entrate nel suo repertorio fin dalla gioventù, l’op. 100 e l’op. 108, della piena maturità di Brahms (scritte tra il 1878 e il 1888) che riflettono alcune caratteristiche fondamentali della sua poetica, prima fra tutte quel senso intimo, tenero, sentimentale e dolcemente affettuoso del Lied, che è l’elemento base e costante di tutta la produzione del compositore.
A lui legata fin dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, nei mesi dell’agonia della forzata separazione dal marito, Clara Schumann forse già sospettava che Brahms fosse destinato a diventare l’amico e il confidente più prezioso. Le sue Tre romanze op. 22, che completano il programma, terminate e pubblicate con soddisfazione nel 1855, sono senza dubbio dedicate al violinista virtuoso Johann Joachim, allora ventiquattrenne e amico di entrambi, che ne aveva stimolato la scrittura già nel 1853 e con cui la compositrice e pianista le eseguì in concerto, con successo, negli anni successivi. Dopo poco cadute nell’oblio, dall’anno della loro prima ripubblicazione nel 1983 a oggi sono diventate tra le sue opere cameristiche più conosciute e amate.
In apertura: la violinista Janine Jansenche, con il suo Stradivari Shumsky-Rode del 1715
Il Takács Quartet celebra il 50° dalla fondazione martedì 19 novembre con un programma in omaggio alla triade dei “padri” del genere, che affrontano – forti del potere sprigionato dalle loro interpretazioni in grado di “migliorare le nostre vite” (The Guardian) – accostando il Quartetto in do maggiore op. 54 n. 2 Hob.III.57 di Haydn, al Quartetto n. 16 in fa maggiore op. 135 di Beethoven, al Quartetto n. 15 in re minore K 421 di Mozart. Vincitore di Gramophone Awards, Grammy Award, Japanese Record Academy Awards, Disc of the Year ai BBC Music Magazine Awards, primo membro della Hall of Fame di Gramophone, il quartetto fondato nel 1975 alla Franz Liszt Academy di Budapest (per iniziativa dei membri originari Gabor Takács-Nagy, Károly Schranz, Gabor Ormai e András Fejér), oggi formato da Edward Dusinberre, Harumi Rhodes (violini), Richard O’Neill (viola) and András Fejér (vc) ritorna al Quartetto a cinque anni dalla sua ultima performance, “munito di una rinnovata chiarezza di idee, capacità di coinvolgimento e calore di suono, più potente che mai” (BBC Magazine).
Dopo gli archi, il principe incontrastato delle stagioni del quartetto è e resta il pianoforte, che in questa 160° stagione è rappresentato in 6 serate da alcuni dei maggiori protagonisti della scena internazionale, tra gli ospiti storici ed esclusivi del Quartetto, in veste solistica, in formazioni a quattro mani e a due pianoforti. Si inizia con Andrea Lucchesini, tra i più grandi interpreti della scuola pianistica italiana, Accademico di Santa Cecilia, che nel suo decimo recital solistico per il pubblico del Quartetto dal 1984, martedì 29 ottobre, accosta al brano in prima esecuzione di Vacchi, dedicato alla Presidente della Società del Quartetto di Milano Ilaria Borletti Buitoni, due autori da lui frequentati con assiduità fin dagli esordi: Schumann, con la “fantastica e appassionata” Fantasia in do maggiore op. 17 e Chopin, di cui esegue i Ventiquattro preludi op. 28, dietro a cui appaiono in controluce le figure di due “giganti”, quali Beethoven e Bach, sulle cui spalle i Romantici poterono erigersi. Nata nella forma di una Sonata (“Si scrivano dunque sonate o fantasie – che importa il nome, ma non si dimentichi la musica” scrisse in seguito Schumann), nel 1836 per uno scopo pratico – in occasione delle commemorazioni del decennale della scomparsa di Beethoven – e recante inizialmente un’appassionata e crucciata dedica alla moglie Clara, “An die ferne Geliebte”, ma pubblicata solo nel 1839, con dedica a Franz Liszt, la Fantasia di Schumann è infatti «occasione per l’autore di confrontarsi con la figura gigantesca del genio di Bonn, venerato e rispettato per le sue Sonate», osserva Lucchesini. La poetizzazione del preludio, filo conduttore della raccolta di Chopin – considerato da Schumann il più ardito e il più fiero spirito poetico dell’epoca – interpone invece modelli antichi e moderni, che scivolano uno dentro l’altro lasciando emergere, con ironia prettamente romantica, la maschera della discrezione, che non fa che rendere più penetrante la forza delle sue invenzioni immortali.
Per informazioni e biglietti: Società del Quartetto di Milano