I personaggi del vicequestore Rocco Schiavone, creato dallo scrittore Antonio Manzini, e la iperdotata Morgan Gillory di Los Angeles scongiurano i propri demoni interiori cercando giustizia per i mali dell’umanità, grazie ai doni di cui dispongono, che sono, però, anche una sempiterna maledizione
“Ma quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così”: le parole di Paolo Conte nella canzone “Genova per noi” vanno prese a prestito in punta di piedi e solo per le occasioni importanti come quella del personaggio del vicequestore Rocco Schiavone nato dalla penna di Antonio Manzini a cui l’attore Marco Giallini presta voce, volto e anima così aderenti all’idea dello scrittore romano da non poter immaginare più l’uno senza l’altro. Scamosciate Clark ai piedi, loden d’ordinanza e sigaretta in bocca, di tabacco o cannabis (un tratto politically incorrect verso cui certa critica punta il dito), un po’ Dylan Dog, un po’ Lupin, un po’ Nathan Never nelle intenzioni del suo creatore doveva essere ancora più ‘nero’. “E’ come stare in trincea, solo il nemico non ha nome e te lo porti dentro”.
Giunto alla sesta stagione, i quattro episodi (“La ruzzica de li porci”, “Ossa loquuntur, le ossa parlano”, “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sudamerica?”), sono disponibili su Raiplay assieme a tutte le precedenti 5 stagioni fin dalla prima iniziata nel 2016, adattate per la tv dallo stesso Manzini con Maurizio Careddu e Marco Dell’Omo, per la regia di Simone Spada, la coproduzione Rai Fiction, Cross Productions e Beta Film e il sostegno della Film Commission Vallée d’Aoste.

“Rocco Schiavone era stato spedito ad Aosta dal commissariato Cristoforo Colombo di Roma” La prima apparizione letteraria dal romanzo “Pista nera” (2013, Sellerio che ha editato tutta la serie – Per acquistarlo online, a questo link) contiene già tutti gli ingredienti che costituiscono la storia: di origine popolane, dotato di grande talento, ma scarso rispetto delle regole, un debole per il sesso femminile e un personale codice etico che include guadagni illeciti di vario tipo. “Rubare solo ai ladri” per prendersi una rivincita sulla vita e una casetta in qualche luogo caldo. Al suo fianco avrebbe voluto l’amatissima moglie Marina che invece gli muore tra le braccia per una vendetta di un giro di narcotraffico da cui si innesta la faida che vede coinvolti i suoi amici fraterni, anche loro abitanti del mondo di sotto Sebastiano, Brizio e Furio, interpretati rispettivamente da Francesco Acquaroli, Tullio Sorrentino e Mirko Frezza, tutti molto credibili nei loro ruoli.
Se è vero come è vero che il giallo ha preso il posto del romanzo storico, Schiavone/Giallini, che in questa sesta stagione appare più cupo e disilluso, affronta ancora i vizi peggiori dell’umanità, di cui si sente parte: la ludopatia, la bramosia di denaro, la pedofilia, il tradimento di un amico, sempre con le costanti visite del fantasma della moglie. Ma sono gli omicidi all’apice della sua “personalissima scala di valutazione delle rotture di coglioni che la vita insensibilmente gli consegnava ogni giorno” (tra le altre parlare in pubblico, i tabaccai chiusi, i centri commerciali, la burocrazia).
“Ogni volta che chiudeva un caso si sentiva lurido (…) come se fosse lui l’assassino”. Forse all’ambivalenza della sua figura, eroe tragico dei tempi moderni, si deve il successo della serie con una media di 2 milioni di spettatori a puntata nei passaggi su Rai2. “Magari un giorno farò pace con me stesso”: quel giorno ci priveremmo di un personaggio che sul piccolo schermo trova una versione molto riuscita per cui sembrano appropriati i versi del grande poeta Giuseppe Ungaretti: “la morte si sconta vivendo”.

Il noir, da Schiavone a Morgan
Agli aficionados del crime non sarà sfuggito “High Potential”, la versione americana dell’originale televisivo franco-belga “HPI-Haut potentielle intellectuel” su Disney+ da gennaio con la regia dell’australiana Alethea Jones. La serie in 13 episodi, uno ogni giovedì, sovverte tutte le regole della tradizione maschile del genere: la protagonista, la bravissima Kaitlin Olson (anche co-produttrice), è Morgan una giovane donna dai gusti eccentrici (e chi l’ha detto che bisogna essere tutte come la Tramel di Basic Instinct?) madre single di tre figli con un ex marito antimacho che si barcamena tra i pannolini, la spesa, una figlia, il carovita. Dotata di un quoziente intellettivo di 160, si occupa delle pulizie notturne per il Los Angeles Police Department dove interviene in un caso aperto fino a contribuire in modo determinante alla sua risoluzione. Tormentata dalla sparizione del compagno Roman 15 anni prima, trova nel capitano Selena Soto, che le promette di investigare sul suo dramma a cambio dei servigi al dipartimento, e nel sensibile collega Adam Karadec (Daniel Sunjata) una nuova famiglia che valorizza il suo dono, fonte anche dalla maledizione di avere un cervello che non si spegne mai. La Erin Brockovich della città degli angeli maneggia la vexata quaestio del patriarcato con umorismo e apparente leggerezza senza risparmiare bordate alla meritocrazia: a noi italiani fa maggior effetto in un Paese come il nostro afflitto dalla poca competitività femminile. Un piacere per gli occhi – ipercolorate le scene – e per il cuore grazie a Morgan, da cleaners a detective, che usa il suo superpotere per il bene sfiorando con nonchalance il tasto del riavvio dell’ascensore sociale. Ma si sa oltreoceano, o anche solo al di là dei Pirenei, è tutta un’altra storia.

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