Ci sono dischi che entusiasmano, commuovono, mettono in questione tutte le valutazioni, le graduatorie e le classifiche che nella nostra testa ci siamo fatte a proposito di questa o quella interpretazione, di questo o quel capolavoro, ma mai una registrazione ha sconvolto gli universi musicali che da tanti anni ingombrano la mia memoria come questa del Don Giovanni di Mozart diretto da Simone Toni.
Devo premettere che ci ho messo un po’ di tempo a decidere in che chiave parlarne. Non certo da un punto di vista critico o filologica – questo Don Giovanni è al di là di ogni speculazione di tal genere – né impegnandomi in una polemica che, suscitata dai più diversi cenacoli, lo vorrebbe ridurre ai uno di quei fenomeni che animavano i retrobottega del teatro lirico ai tempi lontani dei conflitti Callas/Tebaldi o Di Stefano/Del Monaco.
“Susciterà polemiche ma è già un capitolo della storia critica dell’esecuzione moderna del capolavoro di Mozart” ha scritto su la Repubblica Angelo Foletto, e questa mi sembra, in poche parole, una sintesi efficace di quel che si può – si deve – scrivere in apertura di una cronaca che vorrebbe riassumere, partecipare le mie emozioni e, sopratutto, darvi la voglia, di ascoltare questo Don Giovanni ora che, dopo le due recite al Teatro dell’Arte Triennale di Milano e le tre alla Pergola di Firenze, realizzate sopratutto grazie all’iniziativa di Barnaba Fornasetti che ha inoltre curato la fantastica produzione, Warner Classic lo ha pubblicato in una splendida edizione in 3 CD (più un DVD che presenta un making of dell’opera e due soggetti, sul fortepiano – che è uno dei protagonisti dell’evento – e sul “dietro le quinte”).
Tutto il resto è sentimento. Sono ammiratore entusiasta di Simone Toni da quando l’ho scoperto nei Concerti per oboe di Antonio Vivaldi poi nello Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi, e già in queste splendide registrazioni (sopratutto lo Stabat) egli aveva mostrato questo su prepotente bisogno di rinnovare, di rivelare quel che decenni di raffinate, colte interpretazioni avevano costretto nelle esangui forme del filologicamente corretto, e di farlo a costo di suscitar lo scandalo. E la stessa allucinata necessità l’ha portato al Don Giovanni, l’opera di cui l’adorato Wolfgang Amadeus gli ha personalmente rivelato se non trasmesso tutta la dirompente carica dissacratoria.
Il progetto di Simone era quello di «ricreare con i suoni quel mondo, catturarne l’antico incanto, soffiando via la spessa coltre di polvere depositata dal tempo e dalla morale». Ha voluto fare un «viaggio nel tempo, in cui il manoscritto del Don Giovanni, l’unico pervenutoci di suo pugno, iniziato a Vienna e completato a ottobre durante le prove a Praga (l’Ouverture fu scritta la notte prima della prova generale), costituisce la fonte unica per la registrazione».
E quest’eccesso di rivelazione ci colpisce ora come se, improvvisamente, avessimo recuperato un senso perduto, vedendo d’un colpo in tutta la ricchezze dei colori e della forma qualcosa che si conosceva – e ci si era adattati – grigio e piatto (o piuttosto con colori aggiunti – come un vecchio film rigenerato – e rilievi artificiali).
E ancora c’è l’originalità delle scelte: le dimensioni e il posizionamento dell’orchestra, per esempio, 30 musicisti che suonano non davanti ma trasversalmente alla scena, con gli archi che fronteggiano i fiati secondo la prassi dell’epoca, e sopratutto la scelta del fortepiano – al posto del clavicembalo che viene comunemente usato – per i recitativi e l’accompagnamento. Mozart dirigeva seduto allo strumento e Paul MacNulty ha realizzato una copia fedele di un fortepiano posseduto dal compositore che Luca Oberti anima del suo travolgente e geniale virtuosismo (ascoltate la scena del duello, che apre l’opera, l’impetuoso arrivo di Donn’Anna e la sua tragica scoperta del cadavere de padre: il fortepiano scandisce gli eventi, incalza, tempesta; mai in questa scena, in cui è implicita la condanna del libertino, ha pulsato così profondamente il sangue ed anelato il respiro dei protagonisti …).
Tanto ci sarebbe da aggiungere, ma piuttosto che parlar delle qualità delle voci, preferisco sottolineare, per esempio, la perfetta intelligibilità del testo: non una parola sfugge, e la drammaturgia dell’opera è perfettamente restituita (quel che bisogna sottolineare ed ammirare è l’incredibile lavoro effettuato da Raffaele Cacciolla che è riuscito, mettendo insieme le prese di suono delle tre rappresentazioni fiorentine, a realizzare una registrazione di incredibile fluidità e immediatezza).
Per concludere, a Roma Palazzo Altemps ospita martedì 6 marzo alle 18h00 un incontro incentrato sulle musiche di questo Don Giovanni: un dialogo tra il Maestro Simone Toni e Barnaba Fornasetti, intervallato dall’ascolto del duetto formato da Roberta Ferrari che, al fortepiano, accompagna la soprano Raffaella Milanesi.
(In questa occasione sarà possibile visitare la mostra Citazioni pratiche – Fornasetti a partire dalle ore 17.00).
Mozart
Don Giovanni – Silete Venti, Simone Toni – Warner Classic (56’16 + 54’23 + 37’14 + DVD)
Fornasetti presenta il Don Giovanni di Simone Toni
Bach
An Italian Journey – Luca Oberti: clavecembalo – Arcana (71’18)
Ed ecco un coloratissimo, illustratissimo cd, registrato da uno degli ammirevoli protagonisti del Don Giovanni di cui vi ho appena parlato (e di lui scrissi, con eguale entusiasmo, un paio d’anni fa in occasione del bel disco dedicato a Clerambault e Marchand). Luca Oberti, che nel capolavoro di Mozart ha fatto prodigi al fortepiano, ha messo insieme per Arcana un programma dedicato ad un immaginario viaggio di Johann Sebastian Bach in Italia.
Bach, anche se nella sua lunga esistenza non ha esitato a percorrer le strade – a vent’anni partì a piedi da Arnstadt sino a Lubecca (a circa 400 chilometri di distanza) per incontrare Dietrich Buxtehude, il più famoso organista dell’epoca – in Italia non ci è mai venuto – al contrario di tanti musicisti suoi contemporanei -, ma è forse il compositore che meglio ha compreso ed assimilato lo stile italiano integrandolo ad alcune delle sue composizioni che talvolta gli sono espressamente dedicate.
Luca ha quindi ideato questo viaggio virtuale, dalle trascrizioni dei Concerti di Antonio Vivaldi e Alessandro Marcello, per cominciare, poi le composizioni d’ispirazione italiana come il Capriccio sulla lontananza del suo fratello dilettissimo, la Fantasia e Fugua BWV 904 e l’Aria Variata alla maniera italiana, per arrivare al famosissimo Concerto nach Italienischem Gusto in F major, BWV 971.
Luca è vivo, fantasioso, colorato, non si imbarazza di filologia e di rigori stilistici: il suo Bach canta le luci ed i colori di un’Italia imaginata dai freddi paesi del nord, ricostruita nelle armonie delle sue musiche tanto amate: è come accompagnare il vecchio Bach nell’incontro di paesaggi, panorami ed architetture incontrate soltanto in sogno.
Su YouTube, in un’interessante intervista, Luca Oberti racconta questo suo ultimo cd.
Bedřich Smetana
String Quartets (2) – Pražák Quartet, Nathalia Milstein: pianoforte – Praga Digitals (75’53)
Ricordo i tempi lontani, mitici, della discografia, quando i primi microsolco d’oltre-cortina cominciarono ad arrivare, confidenzialmente, facendoci scoprire solisti ed ensembles che soltanto anni dopo avremmo potuto ascoltare in concerto. Era la Supraphon, se ben ricordo, la casa discografica – rappresentata in Italia dal fratello del celebre Armando Trovaioli – che dalla Cecoslovacchia, col contagocce, importava il suoi ricco catalogo, opere di compositori come Antonín Dvořák, Bedřich Smetana, Leoš Janáček -che, anche se conosciute, non avevamo mai ascoltato in interpretazioni così intense e autorevoli.
Non so se Supraphon esista ancora, ora è Praga Digitals che ci propone quel repertorio, ed il Quartetto Pražák è uno dei protagonisti del suo interessantissimo catalogo. Questo ensemble, creato nella seconda metà degli anni ’70 da quattro studenti de Conservatorio di Praga, è uno dei più celebri al mondo. Recentemente il primo violino, handicappato, è stato rimpiazzato da Jana Vonášková-Nováková, già membro del trio Smetana, ma la bella coerenza del Quartetto è sempre lì, con il suo suono ricco e pieno e l’intensità delle sue letture dei classici.
Per il loro primo cd nella nuova formazione, i Pražák celebrano il centenario della rinascita della Cecoslovacchia dopo tre secoli di dominazione Asburgica con un omaggio a Bedřich Smetana attraverso le sue più importanti composizioni da camera, i due Quartetti ed il Trio per pianoforte, violino e violoncello (per il quale è stata convocata la bravissima Nathalia Milstein).
Non esistono, purtroppo, ancora sul net video del Quartetto Prazák nella nuova formazione. Eccovi, comunque, l’Allegro moderato dal Quartetto n°2 di Bedrich Smetana in una versione di una decina di anni fa, quando ancora Jana Vonásková non faceva parte dell’ensemble.
Bach’s Memento
Charles-Marie Widor – Denis Tchorek: organo – Hortus (79’09)
Un disco singolare che Hortus, nel suo infaticabile lavoro di ricerca ed arricchimento del repertorio organistico, aggiunge al suo già ricco catalogo.
Charles-Marie Widor, uno dei grandi organisti francesi a cavallo tra l’800 ed il ‘900, a Saint Sulpice (Parigi) per 64 anni (e sino a 90 suonò in concerto), professore al Conservatorio – tra i suoi numerosissimi allievi ci furono Albert Schweitzer, Arthur Honegger e Darius Milhaud -, fondatore e direttore del Conservatorio americano di Fontainebleau, appassionato conoscitore della musica di Johann Sebastian Bach, fu uno dei primi a sostenere il ragionamento e la razionalità nell’interpretazione.
Ma Widor, come Gabriel Fauré, era anche convinto che “la malattia di cui soffrono i capolavori è il rispetto eccessivo di cui li si circonda, e che, alla fine, li rende noiosi”. Per cui, a 81 anni, egli scrisse questo Bach’s Memento, sei intensi e fantasiosi arrangiamenti per “rinnovare” altrettante ben note composizioni di Bach – dal Clavicembalo ben temperato, dai Corali Schübler, dalle Sonate per flauto e dalla Passione secondo San Matteo – che assieme alla Suite latina ed ai Tre nuovi pezzi compongono il programma del cd.
Un disco che sarà una scoperta: per i devoti di Johann Sebastian Bach e per gli appassionati dell’organo che diventeranno, lo spero, dei fans di Charles-Marie Widor (e del bravo Denis Tchorek al grandioso Mutin-Cavaillé-Coll della collegiale Saint-Pierre di Douai …).