Un paio d’anni fa vi parlavo degli inizi, già imponenti, di un’opera singolare nel suo minimalismo poiché dedicata ad un solo strumento – il pianoforte – e suonato con una sola mano – la sinistra. Ma imponente poiché il protagonista ed interprete – Maxime Zecchini – con un lungo e paziente lavoro di ricerca ha raccolto quasi tutto quel è stato composto (o trascritto) nel genere nei quasi due secoli della storia del pianoforte.
Fu la drammatica vicenda bellica che privò della mano destra un gran solista – l’austriaco Paul Wittgenstein, fratello del filosofo Ludwig – a generare numerose composizioni originali (la più nota di tutte è il Concerto pour la main gauche di Maurice Ravel, che Maxime ha registrato nel cd n°4, ma anche – nel cd n°1 – in una sua trascrizione per pianoforte solo), altrimenti originate da incidenti meno drammatici o come puro pretesto all’esibizione.
Dopo due anni di silenzio, ecco il volume n°6, che spazia su un vasto panorama, dalla trascrizione dell’Allegretto della Sinfonia n°7 di Beethoven – un vero tour de force – a quella del Miserere dal Trovatore di Verdi, passando per dei brani sopratutto virtuosi – come l’Hungary’s God di Liszt o la Danse macabre di Saint-Sans – ed altri più ispirati – il Preludio in la min. di Ravel, la Méditation de Thaïs di Massenaet – nei quali non è la difficoltà tecnica superata con disinvoltura che affascina, ma l’intensità d’espressione raggiunta con una tale «austerità», un assoluto minimalismo di mezzi che in nulla sacrifica la vastissima tavolozza di colori e di atmosfere, e la poesia della musica.
Maxime Zecchini é, ancora una volta, l’interprete ideale di queste composizioni. Con la mano destra ben rilassata sul ginocchio, o appoggiata sul bordo del pianoforte per bilanciare il peso del corpo e non squilibrarsi, sopratutto nei passaggi forte ed energici, egli è versatile, intenso e raffinato, e l’exploit tecnico è presto dimenticato, messo in secondo piano dall’appassionata partecipazione alla singolarità del programma. Esemplare, come sempre la qualità della registrazione.
Seguiranno il vol. n°7 dedicato ai contemporanei, poi altri tre cd per la musica da camera.
Quest’anno Maxime, nelle sue tournées che lo porteranno dappertutto intorno al mondo – dal Marocco alla Malesia e da Budapest allo Zimbabwe – suonerà anche a Roma, il 18 agosto, nel quadro dei Concerti del Tempietto, a Piazza Campitelli, con un programma dedicato sia a composizioni per la mano sinistra che per le due mani.
Potete, intanto, vederlo in un video Youtube, presentare – al pianoforte – la collezione registrata per Ad Vitam Records.
Oeuvres pour la main gauche, volume 6
Beethoven, Massenet, Ponce, Verdi, Grieg, Ravel, Liszt … – Maxime Zecchini: pianoforte – Ad Vitam Records (57’14)
Geliebte Dorette
Louis Spohr: works for violin and harp – Arparla: Davide Monti: violino, Maria Christina Cleary: arpa organizzata – Stradivarius (80’49)
Accolgo con gioia, interesse ed entusiasmo ogni nuova registrazione delle musiche di Louis Spohr, questo compositore che – considerato dai suo contemporanei alla pari di Haydn, Mozart e Beethoven – deve al fatto di esser stato contemporaneo di queste glorie – primo tra tutti Ludwig van Beethoven – l’ingiusta ombra che ce l’ha occultato per troppi anni.
E l’«Amata Dorette», chi era costei ? Ebbene questo cd me lo rivela (ce lo rivela) in tutto lo splendore romantico di una storia d’amore e di musica. Dorette (Dorothea Henriette Scheidler) era la figlia diciottenne di un cantore della corte di Gotha quando Louis Spohr vi fu nominato maestro di cappella.
Lui chiese la sua mano dicendole «Vogliamo fare musica insieme per sempre?». Si sposarono dopo un rapido – per l’epoca – fidanzamento: Dorette era arpista, Louis – giovane compositore e direttore d’orchestra – era anche violinista virtuoso (uno dei più apprezzati del suo tempo), e la loro unione fu un lungo, intimo, sodalizio musicale. Compatibilmente agli impegni della Corte – e più tardi del Teatro an der Wien, a Vienna, di cui Spohr fu direttore – formarono un duo che, in Austria, ma anche in Italia, a Parigi e in Inghilterra, si esibì in concerto, ovunque con grandissimo successo. Suonavano sopratutto musiche che Spohr aveva composto e dedicato a Dorette, e che, anche se non sono all’altezza dei Concerti per violino e dei Quartetti e Quintetti, sono capolavori di appassionata delicatezza, testimonianza di un sentimento che illumina il dialogo dei due strumenti.
Già da quindici anni, ormai, il violinista Davide Monti e l’arpista Maria Christina Cleary vivono anch’essi una storia in cui la musica ed il sentimento avanzano intrecciati, nella vita quotidiana, nei concerti e nelle registrazioni e master classes. Era inevitabile che – dopo gli altri loro cd di cui vi ho parlato – un programma dedicato à Louis Spohr e ad alcune delle composizioni che egli ha scritto per Dorette coronasse la loro carriera. E l’affascinante duo Arparla evoca con queste tre Sonate e la Fantasia su temi di Handel e dell’abate Vogler un amore lontano che ancor oggi trova nella musica la sua più bella espressione.
Un cd che avrei dovuto presentarvi per la San Valentino. Mi scuso per il ritardo …
Death and the Maiden
Schubert – Patricia Kopatchinskaja, The Saint Paul Chamber Orchestra – Alpha (59’04)
L’abbiamo ascoltata e amata in un programma impegnato – i Concerti per violino di Bela Bartók, Peter Eötvös, György Ligeti – ora, senza falsi pudori né esitazioni, la splendida virtuosa moldava Patricia Kopatchinskaja, si lascia portare dalle ali del mito con un entusiasmo ed una freschezza che fanno pensare al Kronos Quartet dei bei tempi (ormai lontani). Non sono un purista né un integrista, e quel che di solito mi disturba in questo genere di operazioni è la facilità, il ricorso al luogo comune accattivante, di facile effetto. Tuttavia Patricia non ha bisogno di ricorrere a questi trucchi, e la sua trascrizione per orchestra da camera de La Fanciulla e la Morte – il capolavoro di Franz Schubert per quartetto d’archi – è un fremente e caloroso omaggio più che un’appropriazione indebita. Completano il programma composizioni delle più varie origini, dalle Seven Teares (Sette lacrime) di John Dowland a György Kurtag e da un Canto bizantino sul Salmo 140 (trascritto anch’esso dalla Kopatchinskaja) a un Madrigale di Carlo Gesualdo, principe di Venosa. Un programma gotico, nero senza esser lugubre, e vibrante della giovane energia della solista che qui dirige inoltre la londinese ed eccellente Saint Paul Chamber Orchestra.
Il cd, che si presenta come «un’esplorazione collaborativa», è stato registrato live in concerto.
Chamuyo
Mosalini Teruggi Quarteto – Juanjo Mosalini: bandoneon, Sébastien Surel: violino, Romain Descharmes: pianoforte, Leonardo Teruggi: contrabbasso – Aparté (60’31)
«Il chamuyo è in Argentina l’arte della parola, della chiacchiera, l’arte di convincere, di sedurre. Sottile e maliziosa, questa pratica può intrappolare. Ed è in questo senso che noi abbiamo deciso di percorrere le epoche a contro-corrente, proponendo un approccio unico, ben diverso dal tango d’un tempo. La forza delle nostre radici, i colori, gli accenti, i contrasti ritmici ed espressivi si distillano lungo tutto il repertorio del nostro Quartetto. Argentini ma decisamente cosmopoliti, i sentieri che noi abbiamo tracciato sono la sorgente inestinguibile della nostra ispirazione». Così Juanjo Mosalini presenta questo bel cd, pubblicato da Aparté dopo il successo di Delta y Mar, che l’anno scorso il bandonéonista aveva registrato con il chitarrista Vincente Bögelholz.
Il geniale bandonéon di Juanito è fiancheggiato in questa rivoluzione dai francesi Sébastien Surel (violino) e Romain Descharmes (pianoforte) e dal contrabbasso di Leonardo Teruggi, tre solisti ben noti per le loro incursioni nel repertorio classico cameristico (Teruggi, che è l’autore della metà dei brani registrati, accompagna, inoltre, dal 2012 la cantante Lucilla Galeazzi nel programma «Festa Italiana», presentato con gran successo al Carnegie Hall di New York).
Musiche diverse, reazioni originali, due estetiche, due mondi differenti che si illuminano e si alimentano mutualmente in un repertorio assolutamente inedito, fiammeggiante ed al tempo stesso intimo, nel quale la frontiera tra il popolare ed il colto scompare davanti la raffinatezza e la forza viscerale di un’ispirazione al di fuori di ogni riferimento etnico o temporale.